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  • Venerdì 2 agosto 2024

Il governo vorrebbe dare un ruolo più attivo ai militari italiani in Libano

Nella missione UNIFIL l'Italia ha uno dei contingenti più numerosi, e il ministro della Difesa Crosetto vorrebbe un mandato per intervenire in maniera più muscolare contro Hezbollah

Foto di una soldata italiana in Libano che si fa un selfie con due donne libanesi
Una soldata italiana in missione in Libano, l'8 marzo 2023 (UNIFIL/ANSA)
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Davanti al forte aumento delle tensioni in Libano a causa di una serie di gravi attacchi tra il gruppo religioso e paramilitare libanese Hezbollah e Israele, da alcuni giorni il governo italiano ha iniziato a sollevare perplessità sulla missione delle Nazioni Unite nel paese: la missione UNIFIL (United Nations Interim Force In Lebanon) opera al confine tra il Libano e Israele, e l’Italia vi svolge un ruolo primario.

In particolare il ministro della Difesa Guido Crosetto è tornato a proporre, tramite dichiarazioni ai giornali, una richiesta che avanza da mesi ai dirigenti dell’ONU: quella di modificare il mandato e le regole d’ingaggio della missione, cioè le regole che definiscono il comportamento e la presenza dei soldati sul territorio, per rendere le operazioni di pattugliamento e di intervento sul campo più decise e muscolari di quelle che sono autorizzati a svolgere ora, e di poterle condurre anche in autonomia, senza cioè il coinvolgimento delle forze armate libanesi (cosa a cui attualmente i militari UNIFIL sono obbligati dalle risoluzioni ONU).

L’idea di Crosetto è che, se i militari dell’UNIFIL fossero più autonomi e attivi nel mettere in sicurezza il territorio e soprattutto nel contrastare l’attività di Hezbollah, sarebbe più facile stabilizzare la regione e allontanare la possibilità di un conflitto più ampio. Nonostante questo, ci sono ampi dubbi sulla fattibilità del progetto, ed è difficile che l’ONU accetterà di rafforzare la propria missione di peacekeeping proprio in un momento di così alta tensione, in cui la possibilità di un allargamento del conflitto è la più alta da anni.

Da giorni la situazione in Libano è molto complicata e tesa. Ai mesi di attacchi reciproci tra il gruppo libanese Hezbollah e Israele – in cui sono morti 20 israeliani, soprattutto militari, e 450 libanesi, tra cui un centinaio di civili – si è aggiunta la settimana scorsa l’uccisione di 12 bambini e ragazzini a Majdal Shams nelle alture del Golan, il territorio che Israele occupa dal 1967, e il successivo attacco israeliano a Beirut contro Fuad Shukr, importante comandante di Hezbollah. Nelle ore successive molte compagnie aeree hanno cancellato i voli verso il Libano, per il rischio che la situazione potesse ulteriormente peggiorare. Martedì l’uccisione di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas mentre era in visita in Iran, ha reso la situazione ancora più fragile.

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La missione UNIFIL è presente in Libano dal 1978, e da allora ha cambiato più volte mandato e regole d’ingaggio via via che cambiava la situazione sul campo. Il contingente italiano è il secondo più numeroso dopo quello indonesiano tra quelli che partecipano a UNIFIL, e quello storicamente più radicato nell’area: tra le altre cose ha compiti di assistenza umanitaria, addestramento delle forze locali, ricognizione e controllo sul traffico di armi.

Crosetto non ha fornito dettagli precisi su come ritiene che dovrebbero cambiare le regole d’ingaggio dei soldati UNIFIL ma, come ha ribadito anche giovedì alla Camera durante un’informativa, ritiene che per esempio l’ONU dovrebbe irrobustire il contingente della missione e prevedere la disponibilità di una «riserva operativa schierabile nel Libano del sud con stretto preavviso», cioè di unità militari che siano pronte a entrare in Libano in caso di emergenza.

Non è una richiesta inedita da parte di Crosetto. Lo scorso novembre il ministro della Difesa ne aveva parlato a New York direttamente con il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, e con il suo sottosegretario con delega alle operazioni di pace, Jean-Pierre Lacroix. L’idea era di rendere più esplicito che l’obiettivo di UNIFIL sia disarmare Hezbollah o quantomeno limitarne significativamente la potenza di fuoco, tramite operazioni militari dell’ONU più efficaci e incisive, e di conseguenza fornire dotazioni e regole d’ingaggio adeguate a questo scopo ai militari presenti nell’area.

Pochi giorni dopo, in visita a Tel Aviv, Crosetto aveva usato toni ancora più perentori, quasi provocatori: dicendo in sostanza, cioè, che se non si davano alla missione mandato e strumenti adeguati per limitare la presenza di Hezbollah nella Blue Line (cioè la linea del confine temporaneo tra Libano da una parte e Israele e Alture del Golan dall’altra, ma ci torniamo) e impedirne le attività militari, allora tanto varrebbe chiedersi se abbia davvero senso mantenere attiva la missione.

È difficile però che una richiesta del genere, che imporrebbe nuove delibere del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e che è stata ignorata finora dalle Nazioni Unite, possa essere accolta in tempi rapidi proprio adesso che la situazione va deteriorandosi e gli scontri armati tra l’esercito israeliano e le milizie di Hezbollah si fanno più intensi.

Foto di Crosetto che stringe la mano ai militari

Guido Crosetto visita il contingente italiano attivo in Libano nella missione UNIFIL, il 23 ottobre 2023 (Ufficio stampa della Difesa/ANSA)

La missione UNIFIL fu istituita nel 1978 per garantire un ritiro pacifico dell’esercito israeliano, che nel marzo di quell’anno aveva invaso il sud del Libano (con la prima di tre invasioni successive) per allontanare il più possibile dal confine le forze dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) guidata da Yasser Arafat, che perseguiva la causa del popolo palestinese anche tramite la lotta armata e attacchi terroristici. L’OLP pochi anni prima aveva spostato la sua base operativa proprio in Libano, e da lì metteva in atto attacchi contro Israele. In particolare, l’invasione fu la risposta al cosiddetto massacro della strada costiera, in cui alcune unità palestinesi penetrarono in territorio israeliano e uccisero 38 persone.

Da allora la missione UNIFIL è sempre rimasta attiva, anche nei momenti più complicati per il paese.

Dal 2006 tuttavia il mandato e gli obiettivi di UNIFIL sono decisamente cambiati. Nell’agosto di quell’anno il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione 1701 che aveva l’obiettivo di mettere fine alla guerra tra Hezbollah e Israele, che aveva invaso il Libano per la terza volta dopo un pesante attacco del gruppo libanese. Peraltro nel mese precedente, mentre già erano in corso duri scontri con Hezbollah, Israele aveva attaccato più volte le postazioni dell’UNIFIL, sostenendo di averle scambiate per basi di Hezbollah. Questo rese ancora più chiaro che, se l’ONU voleva mantenere la sua missione di peacekeeping nel sud del Libano, sarebbe stato necessario rafforzarla.

Con la risoluzione 1701, l’ONU volle rinforzare una missione che negli anni precedenti era stata progressivamente indebolita a causa del ritiro di diversi paesi. La risoluzione chiedeva la fine delle ostilità tra Israele e Hezbollah, il ritiro di Israele dal territorio libanese e il disarmo di Hezbollah, tra le altre cose. Per ottenere questi risultati la missione UNIFIL veniva rafforzata, al punto che si parlò anche di UNIFIL II, per indicarne il rinnovamento.

Tra i nuovi obiettivi di UNIFIL fu inserito quello di assistere le forze armate libanesi a operare nel sud del paese fino al confine con Israele per ristabilire la sicurezza, prevenire il traffico illegale di armi dirette perlopiù a Hezbollah, e garantire il rispetto della cosiddetta Blue Line, cioè una linea di demarcazione che funge un po’ da confine tra Libano e Israele nell’attesa che se ne individui uno riconosciuto da entrambi i paesi e dalla comunità internazionale.

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Lunga circa 120 chilometri, la Blue Line corre lungo la frontiera meridionale del Libano, tra il mar Mediterraneo a ovest e le alture del Golan e la Siria a est. Fu individuata dall’ONU nel 2000, dopo il ritiro delle forze armate israeliane che occupavano varie aree del sud del Libano in maniera più o meno continuativa a partire dal 1982 (la seconda invasione israeliana del Libano).

Per questo la Blue Line venne indicata non come una vera linea di confine, ma come una “linea di ritirata”: serviva a indicare la zona oltre la quale l’esercito israeliano sarebbe dovuto indietreggiare e poi assestarsi per considerare conclusa l’invasione. Individuarla non fu semplice: per definire il confine tra i due paesi, i cartografi delle Nazioni Unite dovettero basarsi in parte sulla linea di confine risalente al 1923, quando i due territori erano controllati da Francia e Regno Unito, in parte su quello definito dopo l’armistizio tra Libano e Israele del 1949. Il tutto su mappe vecchie e approssimative, che ponevano dubbi interpretativi e lasciavano spazio alle rivendicazioni di entrambe le parti in causa. Si tratta insomma, tuttora, di una linea di confine temporanea, in attesa che se ne definisca una definitiva, anche se non è chiaro quando questo avverrà.

Una mappa che mostra la Blue Line, al confine tra Israele, Siria e Libano (Wikipedia)

Nell’attesa che i contenziosi diplomatici si risolvano ufficialmente, entrambi i paesi hanno consolidato le aree di confine: il Libano perlopiù con torrette di avvistamento e posti di guardia intorno alle aree più popolate o ai passaggi più strategici, Israele con strutture più complesse di difesa militare. I vari contingenti di UNIFIL sono stanziati proprio tra questa linea e il fiume Litani (o Leonte), una trentina di chilometri a nord, in territorio libanese.

L’Italia partecipa a UNIFIL da luglio del 1979, quando inviò quattro elicotteri e 50 militari dell’Esercito, con compiti di ricognizione e assistenza umanitaria. Negli anni poi la partecipazione italiana alla missione è cresciuta, sia in termini assoluti sia relativi, diventando la più importante insieme a quella francese. Dei 10.031 militari forniti a UNIFIL da 49 diversi paesi, più di mille sono italiani (ma nel 2007 arrivarono a essere più di 2.500). L’Italia impiega nella missione 375 mezzi terrestri, una nave e 7 tra aerei e elicotteri, per una spesa complessiva che per il 2024 è stimata in circa 160,5 milioni di euro.

Sergio Mattarella in visita in Libano insieme all’allora ministra della Difesa Roberta Pinotti, il 13 maggio 2016 (Paolo Giandotti/LaPresse)

Sono numeri importanti, se si pensa che nel complesso l’Italia impiega in media poco meno di 8.000 militari in una quarantina di missioni all’estero. E oltre al contingente di UNIFIL, l’Italia è attiva in Libano anche con una missione bilaterale, definita sulla base di un accordo tra i due paesi. Si chiama MIBIL e prevede l’impiego di un contingente di 105 persone che ha il compito di addestrare le forze di sicurezza locali.

Anche per via di questo ruolo, che riflette una tendenza piuttosto consolidata dell’Italia a porsi come interlocutrice privilegiata dei paesi arabi dell’area del Mediterraneo nel corso della seconda metà del Novecento, dal 2006 a oggi per quattro volte il comandante di UNIFIL è stato un italiano: Claudio Graziano tra il 2007 e il 2010, Paolo Serra tra il 2012 al 2014, Luciano Portolano tra il 2014 e il 2016, Stefano Del Col tra il 2018 e il 2022. Attualmente il comando è affidato allo spagnolo Aroldo Lazaro.

La missione che svolge UNIFIL di fatto ha due scopi, uno più strettamente militare e l’altro con una valenza più diplomatica.

Il primo consiste nel pattugliare la Blue Line. È un’attività complessa e delicata di pattugliamento e di diplomazia, che prevede di coordinare tutte le operazioni delle autorità libanesi e israeliane a cavallo della linea di confine, cercando di evitare che producano tensioni. Inoltre, lungo tutta l’estensione della linea i soldati installano dei pilastri blu, i cosiddetti blue pillar, che servono proprio a demarcare il confine temporaneo. Inoltre, nelle aree a cavallo della linea, dove ancora ci sono residui bellici e mine risalenti al periodo dell’occupazione israeliana, si svolge un’opera di bonifica e sminamento.

I militari di UNIFIL devono inoltre cooperare con le forze armate libanesi e contenere le attività logistiche e militari di Hezbollah. Sono attività che dovrebbero aiutare le forze governative libanesi a prendere progressivamente il controllo di quelle zone, riducendo il ruolo e l’influenza delle milizie di Hezbollah, che è al tempo stesso un partito politico islamista sciita, un’organizzazione paramilitare estremamente potente e un gruppo radicale che negli scorsi decenni ha compiuto diversi attacchi terroristici e che è considerato un’organizzazione terroristica da molti paesi, tra cui gli Stati Uniti. Per l’Unione Europea soltanto «l’ala militare» di Hezbollah è da considerarsi gruppo terroristico, anche se negli anni ci sono stati numerosi appelli a estendere questa definizione a tutta l’organizzazione.

Hezbollah è sostenuto dall’Iran con armi e finanziamenti e sostiene a sua volta numerosi gruppi radicali islamisti in tutto il Medio Oriente e non solo: tra questi c’è Hamas. In Libano, dove ha un’enorme influenza militare, politica e sociale, Hezbollah è di fatto più potente dell’esercito regolare e controlla militarmente ampie zone del paese, tra cui buona parte del sud.

Anche per questo la risoluzione 1701, che sta alla base della missione UNIFIL, stabilisce che gli unici autorizzati ad avere armi e a fare operazioni militari nel sud del Libano siano le forze militari istituzionali libanesi, togliendo dunque legittimità a qualsiasi operazione da parte dell’esercito israeliano da un lato, e negando dall’altro la possibilità, almeno in teoria, che Hezbollah svolga attività militare in quell’area. In realtà questo non avviene, perché l’esercito regolare libanese è estremamente debole e i soldati UNIFIL non hanno i mezzi o il mandato di ostacolare attivamente i miliziani di Hezbollah.

Il secondo scopo della missione, quello per così dire diplomatico, si compone di un lavoro costante e spesso sottotraccia di dialogo e di scambio di informazioni sensibili tra le istituzioni libanesi, gli israeliani, e alcuni rappresentanti di Hezbollah (anche se formalmente ai contingenti dell’ONU è vietato avere rapporti ufficiali con istituzioni politiche e militari che non siano espressione dei due governi). Anche il sostegno umanitario, l’assistenza sanitaria e le attività di addestramento servono spesso a cercare di facilitare i rapporti e distendere le tensioni sul territorio.

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Il problema è che, dopo le stragi compiute da Hamas il 7 ottobre 2023 e i conseguenti bombardamenti e stragi di civili di Israele nella Striscia di Gaza, anche il conflitto sempre latente tra Israele ed Hezbollah si è intensificato. Per i contingenti di UNIFIL sta diventando sempre più complicato svolgere quel ruolo di interposizione che dovrebbe garantire la sicurezza nell’area. E da qui nascono le richieste da parte del governo italiano, che tuttavia finora non hanno trovato grande accoglienza a livello internazionale.