Il “metodo Giorgetti”

Il ministro dell'Economia leghista ha un modo tutto suo per mandare via i dirigenti del suo ministero: evitando polemiche, usando toni garbati, e ottenendo quasi sempre ciò che vuole

Foto di Giorgetti
Il ministro dell'Economia Giorgetti, 19 settembre 2023 (Matteo Minnella / A3 / Contrasto)
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Il ragioniere generale dello Stato, il funzionario pubblico che controlla sulla corretta gestione delle finanze pubbliche, non è più Biagio Mazzotta. Giovedì pomeriggio è stato nominato presidente di Fincantieri dal Consiglio di amministrazione dell’azienda pubblica di cantieristica navale, e poche ore dopo ha comunicato al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, da cui la Ragioneria generale dello Stato di fatto dipende, di voler lasciare l’incarico che aveva dal maggio 2019. La sua sostituta sembra già designata: è Daria Perrotta, attuale capo dell’ufficio legislativo del ministero dell’Economia e persona di fiducia di Giorgetti.

Se venisse confermato, sarebbe un avvicendamento decisamente degno di nota: la Ragioneria generale dello Stato è uno degli organi più importanti della Repubblica, e chi la dirige ha un grande potere ed enormi responsabilità. Ma la nomina sarebbe rilevante anche dal punto di vista politico. Giorgetti riuscirebbe infatti a promuovere in un ruolo apicale dello Stato una funzionaria a lui molto vicina, adottando tra l’altro quello che si potrebbe definire un “metodo Giorgetti”. È un modo che Giorgetti ha di rimuovere alti dirigenti ministeriali a lui poco graditi con modi felpati, garbati e diplomatici, senza fare clamore, evitando polemiche, e anzi mantenendosi ambiguo fino all’ultimo. Spesso persino facendo pubbliche dichiarazioni di stima nei loro confronti prima di mandarli via.

Non è una sorpresa, questo atteggiamento di Giorgetti. Dirigente storico della Lega con trascorsi giovanili nella destra radicale, Giorgetti rappresenta la parte più istituzionale di un partito che è stato spesso in aperto conflitto con le istituzioni repubblicane. «Il più comunista dei leghisti, e il più leghista dei comunisti», lo definiva Silvio Berlusconi, proprio per indicare questa sua capacità di farsi un po’ concavo e convesso, a seconda delle necessità e delle convenienze. Stimato da Giorgio Napolitano, è stato uno degli artefici del governo di Mario Draghi, che lo stimava e lo teneva in grande considerazione (era uno dei pochi ministri a cui dava del tu).

Giancarlo Giorgetti insieme a Mario Draghi, durante una conferenza stampa del governo, il 12 luglio 2022 (Mauro Scrobogna /LaPresse)

Il suo “metodo” insomma è in linea col suo profilo politico, ma allo stesso tempo contrasta fortemente con l’approccio che altri ministri, specialmente quelli di Fratelli d’Italia, stanno dimostrando in questi mesi.

Giorgia Meloni ha spesso fatto riferimento a un deep state cosiddetto, cioè l’insieme dei burocrati e dei funzionari statali, parlandone come di un corpo ostile al suo partito e al suo governo. Il suo consigliere più fidato, Giovanbattista Fazzolari, è noto per alcune sue vecchie dichiarazioni polemiche e offensive nei confronti di Sergio Mattarella (tra le altre cose, definì il capo dello Stato «un rottame»), e da quando è sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha fatto polemica anche con la Banca d’Italia. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, proprio parlando della necessità di rinnovare i dirigenti pubblici in istituzioni e ministeri vari, poco dopo la nascita del governo guidato da Meloni disse che bisognava «tagliare con il machete alcune catene che bloccano lo sviluppo dell’Italia».

Giorgetti ha sempre evitato questi toni, invece, sebbene nei fatti abbia rinnovato i vertici del ministero dell’Economia. Lo aveva già fatto, sempre con modi discreti e con toni accomodanti, anche quando guidava il ministero dello Sviluppo economico nel governo di Draghi, cambiando dirigenti senza mai fare polemica. Ma non era scontato che sarebbe riuscito a farlo anche in un ministero, l’Economia, considerato uno dei più refrattari ad assecondare i cambi di orientamento politico dei governi. La sostituzione di Mazzotta, peraltro, non è neanche la prima.

Giancarlo Giorgetti ha giocato come portiere nella squadra dei politici alla “Partita del Cuore” del 16 luglio 2024 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Subito dopo la nascita del suo governo, Meloni e i suoi collaboratori lasciarono intendere di voler sostituire il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, uno dei più importanti e potenti funzionari del ministero dell’Economia. Alcuni dirigenti di Fratelli d’Italia gli rimproveravano presunte simpatie per la sinistra, altri (compresa Meloni) imputavano a Rivera una cattiva gestione di alcune crisi bancarie, in particolare quella di Monte dei Paschi di Siena.

Giorgetti, che pure aveva messo in conto di rimuovere Rivera, lasciò che fosse Fratelli d’Italia a battersi per farlo. Fece trapelare segnali contrastanti: da un lato il suo staff elogiava il lavoro svolto da Rivera per negoziare il Patto di stabilità con la Commissione Europea, dall’altro precisava come fosse prerogativa del ministro valutare un rinnovamento nelle strutture del ministero. Giorgetti tenne Rivera in bilico fino alla fine, rendendo le sue reali intenzioni poco intelligibili persino per Rivera stesso. Poi, in un pomeriggio di fine gennaio del 2023, lo convocò nel suo studio e gli comunicò che sarebbe stato rimosso. Ma non per un qualche suo risentimento, bensì perché così volevano “a Palazzo Chigi”, la sede della presidenza del Consiglio.

È una tesi peraltro fondata. Giorgetti non è un temerario, tende ad assecondare davvero le volontà di Meloni e di Fazzolari. A volte lo fa dopo aver tentato di far valere le sue ragioni: come quando dovette cedere sulla scelta del nuovo comandante generale della Guardia di Finanza, che sarebbe stata di sua diretta competenza e che invece di fatto scelse Fratelli d’Italia. In generale quasi sempre Giorgetti accetta di buon grado gli indirizzi della presidente del Consiglio, come dimostra il fatto che spesso delega alcune sue funzioni, in particolare quelle che riguardano il fisco, al viceministro Maurizio Leo, che è l’uomo di fiducia di Meloni per quel che riguarda i conti pubblici.

Al tempo stesso però la cedevolezza di Giorgetti è un’altra faccia della sua capacità negoziale. Quando rimosse Rivera ottenne di sostituirlo a modo suo e a suo vantaggio, e non secondo le aspettative della presidenza del Consiglio. Le funzioni di Rivera furono divise tra Riccardo Barbieri Hermitte, nuovo direttore del Tesoro, e Marcello Sala come direttore di un nuovo dipartimento dell’Economia, con competenze dirette sulle società partecipate dallo Stato e sulle privatizzazioni: due uomini scelti da Giorgetti.

Il ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta nell’aula magna del rettorato dell’università La Sapienza di Roma, il 25 maggio 2023 (Giuseppe Lami/ANSA)

Con Mazzotta e la Ragioneria generale dello Stato sta succedendo qualcosa di simile. Negli ultimi tre anni la Ragioneria ha svolto una pessima opera di vigilanza e previsione della spesa sul Superbonus, il costosissimo piano di agevolazioni fiscali per la ristrutturazione degli immobili privati. Come per tutti i progetti di legge, anche per il Superbonus, promosso dal secondo governo di Giuseppe Conte nel maggio del 2020, spettava alla Ragioneria stimare i costi e la sostenibilità finanziaria. Quell’anno la struttura guidata da Mazzotta aveva previsto che nel complesso i vari bonus edilizi (di cui il Superbonus era il più corposo) sarebbero costati al massimo 71 miliardi in tre anni. Una cifra già di per sé considerevole, che si rivelò però sbagliata di grosso: di quasi 150 miliardi, visto che i dati del Superbonus, aggiornati all’aprile del 2024, mostrano una spesa di 219 miliardi.

È il più rilevante errore di previsione della Ragioneria da decenni a questa parte: ed è un errore che ha messo in seria difficoltà la sostenibilità delle finanze pubbliche, compromettendo buona parte della politica economica del governo.

Si è capito mesi fa, dunque, che il governo avrebbe voluto rimuovere Mazzotta. Ma anche in questo caso Giorgetti ha adottato i suoi metodi felpati. Lo si capì lo scorso aprile, quando il suo staff fece trapelare l’intenzione di nominare Mazzotta presidente di Ferrovie dello Stato, la società che si occupa di infrastrutture controllata dallo stesso ministero dell’Economia. L’ipotesi non venne accolta benissimo, visto che in questo modo un funzionario pubblico accusato di aver vigilato male sui conti pubblici sarebbe andato a presiedere una società pubblica che fattura 14 miliardi all’anno.

In ogni caso non se ne fece niente. A fine giugno, dopo la morte del generale e presidente di Fincantieri Claudio Graziano, prese consistenza un’altra ipotesi: promuovere Mazzotta in quel ruolo. Non è chiaro quale competenza abbia Mazzotta in tema di cantieristica navale e industria militare, ma l’operazione si è infine conclusa giovedì pomeriggio, con la deliberazione del Consiglio di amministrazione di Fincantieri, convocato in via straordinaria.

Il capo dell’ufficio legislativo del MEF, Daria Perrotta (MASSIMO PERCOSSI/ANSA)

A questo punto per Giorgetti la candidata designata a sostituirlo è Daria Perrotta. Anche in questo caso non sarebbe la scelta ideale per Meloni e Fazzolari, che preferirebbero probabilmente Renato Loiero, consigliere economico della presidente del Consiglio. Perrotta non è esattamente sgradita ai dirigenti di Fratelli d’Italia, però viene percepita come troppo trasversale: conosciuta e stimata da anni da Giorgetti, è stata anche consigliera giuridica dell’ex ministra di centrosinistra Maria Elena Boschi, e capo di gabinetto di Roberto Garofoli, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo di Draghi.

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