Ormai dovreste conoscere Bending Spoons
L'azienda italiana di tecnologia che molti ricordano solo per Immuni si sta allargando con una serie di acquisizioni importanti: l'ultima è WeTransfer
di Viola Stefanello
Da pochi giorni WeTransfer, popolare e diffuso servizio di trasferimento di file online utilizzato ogni mese da decine di milioni di utenti, appartiene all’azienda tecnologica italiana Bending Spoons. Non si sa quanto sia costata l’acquisizione, né quali piani l’azienda abbia per questo servizio, che da anni è la più apprezzata tra le opzioni disponibili per chi deve mandare canzoni, foto, video o qualsiasi tipo di file troppo grande per essere inviato con le email.
Per chi non si interessa al settore tech italiano, la notizia di un’acquisizione del genere potrebbe stupire: molti si ricordano di Bending Spoons principalmente come dell’azienda che aveva sviluppato il gioco per smartphone Live Quiz, che permetteva a chiunque di provare a vincere buoni Amazon rispondendo a una serie di domande, tutti alla stessa ora. Altri probabilmente non la sentono nominare dal 2020, quando l’azienda sviluppò Immuni, l’app di tracciamento dei nuovi casi di coronavirus che faceva parte della strategia del governo italiano per contrastare la pandemia, e che è stata un mezzo fallimento.
Immuni e Live Quiz, che erano state sviluppate da zero dal team di ingegneri e tecnici di Bending Spoons, in realtà andrebbero considerate delle eccezioni nella storia di Bending Spoons. L’azienda, fin dalla sua creazione nel 2013, si è sempre concentrata molto di più nell’individuare app e servizi web sviluppati da altre aziende che, a loro avviso, avevano «un potenziale inespresso», per poi acquistarle e rielaborarle in modo da renderle più profittevoli.
È un modello di business simile a quello dei fondi di private equity, e che può scivolare facilmente in pratiche controverse. Ma ha sicuramente fatto la fortuna di Bending Spoons: negli ultimi anni l’azienda ha raggiunto una dimensione e una fama notevoli, soprattutto dato il contesto del settore tecnologico italiano, che non è mai stato molto entusiasmante.
Oggi Bending Spoons ha 400 dipendenti ed è tra le aziende dove i giovani esperti di tecnologia sperano più ardentemente di poter lavorare, sia perché paga meglio della media del settore in Italia, sia perché si è costruita negli anni la fama di essere un posto di lavoro dinamico e flessibile, più vicino ai campus storici delle compagnie tecnologiche californiane che a una classica azienda italiana.
A febbraio, dopo aver raccolto 155 milioni di dollari (143 milioni di euro), è stata valutata 2,55 miliardi di dollari. Per qualche giorno, nel settore si è quindi aperta una discussione sul fatto che l’azienda potesse essere ora considerata “un unicorno”, termine con cui in finanza si intendono le startup private valutate almeno un miliardo di dollari, rare ovunque ma rarissime in Italia. Un grande esperto del settore, l’imprenditore Gianmarco Carnovale, ha scritto che a suo avviso non lo sarebbe perché non può essere considerata una startup.Una startup, ha detto Carnovale, è «un’azienda che tenta un’innovazione su un prodotto/servizio e su un business model», cosa che Bending Spoons «non è mai stata», dato che «nasce come software house o agenzia IT che fa mille diversi prodotti e servizi digitali e cresce come una conglomerata che acquista altre aziende».
Luca Ferrari, uno dei fondatori dell’azienda, sottolinea che Bending Spoons va comunque considerata un’azienda tecnologica, dato che gran parte dei dipendenti lavora sui prodotti e molti dei ricavi vengono reinvestiti in ricerca e sviluppo, ultimamente soprattutto sull’intelligenza artificiale. Ciononostante, sa che il loro approccio è un po’ anomalo: lo è stato fin dal 2013, quando Ferrari decise di aprire Bending Spoons insieme al socio Matteo Danieli dopo il fallimento di una loro prima startup, chiamata Evertale. «La nostra ambizione è quella di costruire una delle aziende tecnologiche più importanti del mondo adottando questa nostra strategia particolare», ha detto Ferrari in un’intervista con la rivista specializzata Sifted. «Siamo un ibrido: abbiamo un motore di allocazione di capitali e un motore tecnologico. Per quanto ne so, siamo unici».
Anche la cultura aziendale è sempre stata raccontata come molto particolare dato il contesto: «più anglosassone che italiana», come dice il fondatore. L’Italia non è esattamente nota per il suo settore tecnologico: non siamo neanche nei primi venti posti nella classifica dei paesi europei che attraggono maggiori investimenti nelle startup. Storicamente, anzi, agli imprenditori italiani che volevano fondare un’azienda tech è stato spesso consigliato di andare negli Stati Uniti, nel Regno Unito o al limite in Francia per farlo.
Ancora oggi, la maggior parte delle persone che lavorano nel settore della tecnologia in Italia è impiegata da piccole aziende che operano in altri settori ma hanno bisogno di qualche persona che si occupi degli aspetti informatici. L’altra principale alternativa sono le grandi società di consulenza, soprattutto estere, che si occupano dei sistemi informatici di clienti quali banche, assicurazioni, grande industria e pubblica amministrazione, spesso accusate di costringere i propri ingegneri informatici a svolgere lavori ripetitivi e poco qualificati, rendendo molto difficile una loro specializzazione e, quindi, una progressione di carriera soddisfacente.
In questo contesto, Bending Spoons viene descritta come una sorta di oasi felice: la sua sede milanese, che da poco si è spostata in un edificio più grande e più nuovo, è colma del genere di comfort che ci si aspetta dalle grandi aziende tech californiane come Google o Facebook, tra tavolini da ping pong e “sale pisolino”. La pagina Instagram dell’azienda in passato pubblicava post per dare il benvenuto ai nuovi assunti, mostrandone la faccia ed elencandone le qualità.
I salari sono alti per gli standard italiani, nella fascia alta per gli standard di paesi come Germania e Francia, e leggermente più bassi di quelli di una startup di successo negli Stati Uniti: a inizio anno Ferrari in un commento su Reddit ha scritto che «nessun software engineer che lavora a tempo pieno a Bending Spoons guadagna meno di 63.965 euro». Tra il 2019 e il 2022 l’azienda ha vinto vari premi come “miglior posto di lavoro in Italia”. Tutto questo rende l’azienda molto attraente: Ferrari dice che nell’ultimo anno più di 200mila persone si sono candidate per lavorarci, di cui più della metà non italiani. Bending Spoons partecipa peraltro spesso agli eventi che mettono a contatto gli studenti di grosse università del settore con possibili datori di lavoro.
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Ferrari dice che l’azienda già nei primi anni risultava profittevole secondo il criterio “EBITDA”, ovvero in termini di utili prima di applicare interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti. Per il resto, Bending Spoons si è a lungo mantenuta reinvestendo i guadagni ottenuti dalle prime app acquistate e contraendo debito con le banche fino al 2022, quando ha aperto per la prima volta un “equity round”, ovvero un giro di investimenti in cui gli investitori acquisiscono quote della società. Durante quella fase ottenne 340 milioni di dollari (circa 280 milioni di euro).
Da allora Bending Spoons è diventata molto più ambiziosa nell’individuare app e servizi da acquisire: «man mano che cresciamo, sblocchiamo alcuni benefici dell’economia di scala, e molti costi si abbassano perché possiamo riutilizzare alcune funzionalità che abbiamo costruito per un prodotto anche sugli altri, invece di costruirle da zero ogni volta», ha spiegato Ferrari a Sifted. «Questo vuol dire che anche i nostri margini di guadagno sono aumentati nel tempo. Ma nel 2023 i nostri ricavi sono molto accelerati: una buona parte di questi è derivata dalle nostre acquisizioni, e una buona parte è derivata dalla crescita organica dei nostri prodotti esistenti».
Oggi Bending Spoons possiede oltre 50 app, quasi tutte sviluppate da altre aziende e poi acquisite e «reimmaginate» dai loro ingegneri informatici. Nel 2021 acquistò l’app cinese Remini, che consente di modificare le foto con l’intelligenza artificiale: era quell’app che lo scorso luglio milioni di persone utilizzarono per inserire la propria faccia all’interno di situazioni irrealistiche. Tuttora è tra le app basate su sistemi di intelligenza artificiale generativa più diffuse al mondo: la utilizzano circa 100 milioni di utenti al mese, secondo Ferrari.
La maggior parte delle grandi acquisizioni è cominciata dal 2022, quando il settore tecnologico cominciò a entrare in relativa crisi, rendendo possibili contrattazioni a prezzi che in precedenza sarebbero stati considerati troppo bassi. Nel 2022 l’azienda acquisì Filmic, sviluppatrice di app per editare foto e video, ed Evernote, storica applicazione per prendere appunti, prendere nota di pagine web interessanti, creare liste, gestire PDF e organizzare le immagini.
All’inizio del 2024 ha speso 160 milioni di dollari per Mosaic, sviluppatrice di oltre 40 app, e ha acquistato anche Meetup, piattaforma per organizzare incontri tra persone che condividono uno stesso interesse, che in Italia divenne famosa perché era il sito su cui il Movimento 5 Stelle degli inizi organizzava i propri incontri. Ad aprile ha comprato Hopin, che produce vari strumenti per lo streaming video, e a luglio Issuu, che permette di caricare online libri, cataloghi e riviste sfogliabili. Quella di WeTransfer, qualche giorno fa, è però stata definita l’acquisizione più ambiziosa finora.
«Generalmente, acquisiamo solo un’azienda ogni mille valutate. Dal momento in cui iniziamo a studiare un’azienda a quando l’acquisiamo possono passare anche anni», ha spiegato Ferrari al Post. «Non appena prendiamo il timone, studiamo l’azienda acquisita in ogni sua parte: la tecnologia, l’esperienza utente, il marketing, l’organizzazione e così via. Cerchiamo poi di immaginare come dovrebbe essere l’azienda per avere il massimo successo. Dopodiché, lavoriamo sodo per realizzare questa visione nel minor tempo possibile. Tipicamente, questo comporta di modificare tanti aspetti dell’azienda. La sicurezza informatica è uno ricorrente. Altri sui quali lavoriamo in modo estensivo sono l’intuitività dell’interfaccia utente, la robustezza e la performance del software e dell’infrastruttura cloud, la qualità delle funzionalità accessibili all’utente, l’efficienza della monetizzazione e la produttività dell’organizzazione». Su quest’ultima, l’azienda «non fa compromessi», il che vuol dire «non solo avere il giusto numero di persone, ma anche le persone giuste dato lo specifico contesto». L’approccio di Bending Spoons, riassume, è composto di due parti: «da un lato, miglioriamo il prodotto il più possibile, dall’altro, cerchiamo di monetizzarlo nel modo più efficiente».
Dopo essere state acquistate, insomma, a queste applicazioni succedono molte cose. Si riscrivono porzioni dell’app, se ne rafforzano gli aspetti legati alla sicurezza informatica e ci si assicura che il servizio rispetti le regolamentazioni nazionali ed europee sulla privacy e sulla trasparenza.
Una delle modifiche più significative che vengono attuate sulle app acquisite, però, è relativa al business model. «Bending Spoons è nota per il suo approccio spietato quando si tratta di migliorare la rendita economica delle sue acquisizioni», ha scritto Sifted. «L’acquisizione di Evernote nel 2023 è un esempio calzante. Quando Bending Spoons ha acquisito l’azienda lo scorso anno, vantava 100 milioni di dollari di entrate ricorrenti e milioni di clienti, ma non era redditizia da anni».
Nell’arco di pochi mesi Bending Spoons licenziò quasi tutti i dipendenti di Evernote, 129 persone che si trovavano negli Stati Uniti e in Cile. Poi ridusse all’improvviso i servizi offerti agli utenti non paganti, in modo da spingerli a iscriversi ai piani a pagamento. Al contempo, aumentò molto i prezzi annuali dei piani a pagamento, raddoppiandoli rispetto a quanto erano costati nel 2016. Il massimo numero di “note”, ovvero pagine di appunti, accessibili gratuitamente agli utenti scese a 50, quando prima se ne potevano tenere centinaia. La mossa, effettuata con poco preavviso, venne considerata particolarmente ostile verso gli utenti non paganti.
Molti degli utenti storici che avevano usufruito fino a quel momento dell’app, che offriva dei servizi gratuiti piuttosto generosi, se ne andarono: «Utilizzo Evernote dal 2017 a intermittenza e ho accumulato 1262 note», scrisse per esempio un utente sul forum dell’app. «Nel corso degli anni Evernote è diventato sempre più lento ed è diventato molto più invadente con annunci e “offerte una tantum” che continuano ad apparire ogni volta che apri l’app, ma finora l’ho sopportato perché usavo l’app da così tanto tempo, pur sapendo che altrove ce n’erano di molto migliori. Il limite di 50 note è stato l’ultima goccia: sposto tutti i miei appunti su un’altra app, lascio questa per sempre».
Ferrari ha detto a Sifted che è consapevole del fatto che «un aumento dei prezzi porterà generalmente a una perdita di clienti». Altre app appartenenti a Bending Spoons hanno dei prezzi di abbonamento particolarmente alti per il settore: Filmic Pro costa 3,49 euro alla settimana o 49,55 euro l’anno, Remini è gratis per la prima settimana e poi costa 9,99 euro alla settimana. «Se lo fai bene, però, il risultato al netto di tutto è positivo, perché stai fidelizzando i clienti che ci tengono di più, e quindi hai maggiori ricavi che puoi reinvestire nel prodotto».
Nel settore della tecnologia, alzare i prezzi così tanto e ridurre i servizi gratuiti è una mossa che talvolta equivale a riconoscere che l’applicazione abbia raggiunto il proprio potenziale e che non possa più crescere granché. Solitamente le aziende che lo fanno intendono smettere di investire sul miglioramento del prodotto e, nel frattempo, ottenere quanti più soldi possibili dagli utenti rimasti. Su Hacker News, forum frequentato dagli esperti di informatica di tutto il mondo, un utente ha scritto che chi lo fa «assomiglia un po’ a quegli investitori che acquistano vecchi centri commerciali in via d’estinzione a buon mercato in modo da spremere le ultime entrate».
Ferrari, però, dice che Bending Spoons ha fatto molto lavoro per migliorare le app che ha acquistato finora: «lo Splice di oggi è su un altro pianeta rispetto a quello che abbiamo acquisito da GoPro anni fa. Lo stesso vale per Remini, che è migliorato talmente tanto che sarebbe difficile riconoscerlo rispetto al prodotto originario. Anche con Evernote abbiamo fatto ingentissimi investimenti nella tecnologia e nell’esperienza utente. In ogni caso, avere prodotti eccellenti è un requisito minimo per attrarre e ritenere centinaia di milioni di utenti».
«Per quanto concerne la monetizzazione, applichiamo un metodo scientifico rigoroso: mettiamo alla prova numerose combinazioni di prezzo e funzionalità gratuite e a pagamento», spiega. «Poi, in base a come ciascuna combinazione viene recepita dagli utenti, scegliamo quella che massimizza il successo dell’azienda nel lunghissimo termine. Per esempio, su Evernote abbiamo scoperto che la combinazione migliore era alzare il prezzo, ridurre il numero di note che si possono prendere senza abbonarsi, ma al contempo rendere disponibili gratuitamente quasi tutte le funzionalità che, precedentemente, erano disponibili solo agli abbonati».
Aggiunge che WeTransfer, attualmente utilizzato gratuitamente dal 95 per cento degli utenti, continuerà a essere disponibile gratuitamente, ma aggiunge: «non sappiamo se ci saranno cambiamenti all’offerta gratuita, ma è plausibile. Di certo, dipenderà dal risultato dei suddetti esperimenti».
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