Le ricevute del voto elettronico che Maduro non vuole diffondere
Perché molto probabilmente dimostrerebbero che le elezioni in Venezuela sono state vinte – o forse stravinte – dall'opposizione
Negli ultimi giorni sono cresciute le richieste rivolte al governo autoritario del presidente venezuelano Nicolás Maduro di rendere pubblici i documenti che proverebbero la sua vittoria alle ultime elezioni, tenute quattro giorni fa. Il Consiglio elettorale nazionale aveva dichiarato Maduro vincitore con il 51,2 per cento dei voti, davanti al candidato dell’opposizione, l’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, che avrebbe preso il 44 per cento. I risultati ufficiali erano stati però assai contestati dall’opposizione, che aveva parlato di brogli su larga scala, anche perché i sondaggi indipendenti pre-elettorali davano González avanti di una ventina di punti percentuali su Maduro.
Le opposizioni, così come alcuni governi stranieri, hanno quindi chiesto provocatoriamente a Maduro di pubblicare le ricevute del voto elettronico per dimostrare la veridicità delle affermazioni del Consiglio elettorale, che comunque – è importante tenerlo a mente – agisce sotto il controllo del regime.
Finora non è stato ancora pubblicato alcun documento, anzi: mercoledì, davanti alla stampa internazionale, Maduro ha letto un verso del Vangelo che dice: «Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno». Martedì il Carter Center, l’unico osservatore indipendente a cui era stato permesso di monitorare il voto, ha scritto in un comunicato che le elezioni «non soddisfano gli standard internazionali», «non possono essere considerate democratiche» e che la mancata diffusione del conteggio dei voti per ciascun seggio è una «seria violazione dei principi elettorali».
Le ricevute che il governo non vuole pubblicare sono quelle rilasciate dalle macchine per il voto elettronico. Per le elezioni in Venezuela ne erano state installate più di 30mila in tutto il paese. Funziona così: una volta che l’elettore o l’elettrice ha votato, la macchina emette una ricevuta dove è indicato il nome del candidato scelto, da consegnare poi al seggio.
Alla fine della giornata di elezioni la macchina per il voto elettronico emette un’altra ricevuta, quella con il conteggio finale, che mostra quanti voti ha ricevuto ciascun candidato in quella singola macchina. I rappresentanti dei partiti, che dovrebbero essere presenti ai seggi per vigilare sul corretto svolgimento del voto, hanno diritto a una copia di questo documento. Domenica però in diversi avevano denunciato che era stato impedito loro l’accesso ai seggi e, quindi, anche alle copie delle ricevute.
Negli ultimi tre giorni, per giustificare il ritardo nella diffusione delle ricevute, il presidente del Consiglio elettorale Evan Amoroso aveva sostenuto che il sistema usato per il voto aveva subìto un attacco informatico: il concetto era stato poi ribadito anche da Maduro di fronte alla stampa.
Dal momento che il regime molto probabilmente continuerà a non pubblicare le ricevute, un gruppo di ricercatori del progetto AltaVista ha realizzato una stima indipendente.
Proprio come fanno gli istituti di sondaggio con le proiezioni di voto, ha scelto 1.500 macchine per il voto elettronico, circa il 5 per cento del totale, distribuite in maniera rappresentativa della geografia e delle preferenze politiche del paese. Non appena i seggi hanno chiuso, ha iniziato a raccogliere le ricevute di quelle 1.500 macchine, con l’aiuto dei rappresentanti dell’opposizione presenti ai seggi. Alla fine il gruppo è riuscito a raccoglierne circa il 70 per cento, appunto perché in molti casi ai rappresentanti era stato impedito l’accesso. Sulla base di quei dati ha ottenuto una proiezione che dà González al 66 per cento, e Maduro al 31.
I ricercatori di AltaVista sono vicini all’opposizione, ma per questa stima hanno collaborato con analisti indipendenti all’estero. Due esperti di statistica sentiti dal New York Times hanno confermato che la metodologia utilizzata dai ricercatori è corretta e affidabile.
Appena dopo le elezioni, il Perù di Dina Boluarte era stato il primo paese a riconoscere González come il presidente eletto del Venezuela, e aveva accusato Maduro di essere un dittatore. Lo stesso aveva fatto l’Argentina di Javier Milei. Mercoledì il presidente colombiano Gustavo Petro, solitamente vicino al presidente venezuelano, aveva invitato Maduro a rendere pubbliche le ricevute del voto, e lo stesso avevano fatto anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, quello del Brasile Luis Inácio Lula da Silva e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea Josep Borrell.
L’Organizzazione degli stati americani (Argentina, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Guatemala, Panama, Paraguay, Perù e Uruguay) aveva convocato una riunione del consiglio permanente per discutere della situazione, su cui aveva espresso «gravi preoccupazioni».
Nel frattempo il regime di Maduro sta continuando a reprimere le proteste interne con la violenza. L’organizzazione per i diritti Human Rights Watch ha detto che almeno 20 persone sono state uccise negli scontri e la procura venezuelana dice di aver arrestato più di mille persone, tra cui sembra anche molti dei rappresentanti dell’opposizione ai seggi. Il governo ha anche invitato i suoi sostenitori a segnalare, tramite un’app e un canale Telegram, i «delinquenti» che partecipano alle proteste, per aiutare le autorità a identificarli e arrestarli.