Le ragioni di quelli che protestano occupando le spiagge

Spesso comitati e associazioni si piazzano con i loro asciugamani e ombrelloni, per manifestare contro la proroga delle concessioni in molti stabilimenti italiani

Uno stabilimento balneare in Sicilia
Uno stabilimento balneare in Sicilia (Fabrizio Villa/Getty Images)
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Negli ultimi mesi gli attivisti dell’associazione Mare Libero hanno organizzato molti presidi sulle spiagge italiane con modalità piuttosto efficaci: piazzano i loro ombrelloni e i loro teli sulle spiagge date in concessione agli stabilimenti balneari, con l’obiettivo di rivendicare il diritto di utilizzare un bene pubblico liberamente, senza dover pagare. Anche altri comitati locali e associazioni, oltre al partito dei Radicali, hanno seguito il loro esempio iniziando a protestare in maniera molto simile.

La reazione dei balneari è quasi sempre la stessa: all’inizio rimangono più che altro straniti di fronte a quella che ritengono un’occupazione abusiva, poi in molti casi passano alla violenza verbale e talvolta a quella fisica. In realtà molte sentenze della giustizia civile hanno stabilito che sono proprio gli stabilimenti balneari a occupare un bene pubblico senza averne diritto, in quanto il rinnovo automatico delle concessioni è stato giudicato illegittimo. Secondo le associazioni, insomma, le spiagge non sono da liberare, perché la legge dice che già ora sono libere.

Gli stabilimenti balneari occupano spiagge e tratti di costa che sono parte del demanio pubblico, una proprietà dello Stato che non può essere venduta, ma solo data in concessione. Le concessioni balneari sono quindi pubbliche, e come tali dovrebbero essere assegnate con gare aperte e sulla base di criteri trasparenti perché permettono lo sfruttamento economico di un bene che appartiene a tutti.

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Da decenni invece le concessioni balneari vengono spesso prorogate in modo automatico agli stessi proprietari, peraltro con canoni d’affitto molto bassi. Nulla è cambiato dopo l’approvazione nel 2006 della direttiva sulla concorrenza detta “Bolkestein” da parte della Commissione Europea, né tanto meno dopo la procedura di infrazione avviata dalla stessa Commissione nel 2020. Ogni volta che si è trovato davanti a una decisione da prendere, ogni governo italiano – di qualsiasi parte politica – ha scelto di prorogare la scadenza delle concessioni già esistenti, rinviando il problema ai governi successivi. Ma dal 2021 diverse sentenze del Consiglio di Stato, l’organo di secondo grado della giustizia amministrativa italiana, hanno imposto di far finire le attuali concessioni entro il 31 dicembre del 2023, limite ulteriormente prorogato dal governo di Giorgia Meloni al 31 dicembre 2024.

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«Ora chiamo i carabinieri», è una delle frasi che gli attivisti si sono sentiti dire più volte durante le loro azioni sulle spiagge. L’associazione Mare Libero, nata nel 2019 a Firenze e ora presente in molte città italiane, dice che la legge è dalla sua parte perché il diritto dell’Unione Europea prevale sulle norme italiane, come stabilito dal Consiglio di Stato che ha giudicato tutte le proroghe illegittime.

L’unico caso particolare in cui le proroghe fino al 31 dicembre 2024 possono essere legittime si verifica quando i comuni hanno già avviato le procedure per le gare internazionali: al momento non l’ha fatto nessuno. «Siccome i gestori sanno di essere nel torto, raramente alzano la voce», dice Agostino Biondo, uno dei referenti di Mare Libero. «Inoltre non creiamo problemi di ordine pubblico e non utilizziamo le strutture degli stabilimenti: semplicemente ci mettiamo in spiaggia come dovrebbe essere sempre legittimo fare. Noi siamo per la fruizione libera delle spiagge: quelle date in concessione dovrebbero essere una minima parte». Finora gli attivisti non hanno ricevuto diffide, querele o denunce.

Quasi sempre i comuni, che hanno anche loro una responsabilità nell’amministrare il demanio pubblico, sostengono di non poter fare le gare perché mancano le regole nazionali. Spetta al governo pensarle e approvarle, ma finora non lo ha fatto. Dall’altra parte però ci sono anche moltissimi comuni che al momento non hanno abbastanza personale per gestire la liberalizzazione. Due anni fa il presidente dell’ANCI (l’associazione dei comuni italiani), Antonio Decaro, aveva detto in parlamento che per molti comuni sarebbe stato impossibile rispettare le scadenze perché gli uffici hanno pochi funzionari e tecnici per lavorare alle gare (Decaro è del PD, quindi allineato con il resto dell’opposizione su posizioni contrarie alle proroghe).

La posizione dell’associazione è chiara: non esiste nessuna legge che imponga ai comuni di aspettare le regole nazionali, perché esiste già il codice degli appalti che può essere applicato senza problemi. Il codice degli appalti – l’ultima versione è stata approvata alla fine del 2022 – disciplina il funzionamento degli appalti pubblici. «E poi nessuno obbliga i comuni a rilasciare le concessioni demaniali: se un comune ritiene di non riuscire a fare le gare ha il dovere di gestire direttamente le spiagge come bene pubblico», continua Biondo.

Uno dei problemi che spiegano quest’inerzia generale è l’influenza esercitata dai gestori degli stabilimenti balneari sulle amministrazioni. Nei comuni più piccoli il legame tra politica ed economia è molto forte sia dal punto di vista del consenso elettorale che per i legami personali e di parentela. L’attività che più impegnerà gli attivisti di Mare Libero nei prossimi mesi sono proprio i controlli sulle regole delle gare bandite dai comuni.

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Un caso esemplare citato da Biondo riguarda la Regione Toscana, che ha approvato la nuova legge regionale sui balneari per introdurre un indennizzo per gli imprenditori e un aumento del punteggio nelle gare sulla base dell’esperienza acquisita negli anni. «Si punta solo a salvaguardare la categoria», dice. «In che modo si garantisce la concorrenza con punti che premiano solo i gestori uscenti? Questo si chiama ingiusto vantaggio. Se nessuno interverrà saremo costretti ad andare al TAR [il tribunale amministrativo regionale, ndr]».

Proprio all’inizio della settimana Mare Libero ha vinto al TAR una causa fatta al comune di Napoli, che aveva introdotto un sistema di prenotazione a numero chiuso per accedere alle spiagge comunali Donn’Anna e delle Monache, sulla costa di Posillipo. I giudici hanno stabilito che il comune ha 15 giorni di tempo per rivedere le regole e garantire l’accesso a tutte le persone di «un bene connesso ad un interesse di rilevanza costituzionale».

Negli ultimi mesi, anche grazie all’attenzione mediatica, sempre più persone hanno aderito in generale alla mobilitazione e a Mare Libero, che ogni giorno riceve segnalazioni di abusi da molte coste italiane. Nell’ultima settimana l’associazione ha chiesto ai turisti italiani di condividere esempi di come funzionino le cose all’estero: sono arrivate foto di spiagge libere con ombrellone e sdraio a prezzi contenuti da molti paesi del Mediterraneo come Spagna, Grecia e Portogallo, dai Caraibi e anche dagli Stati Uniti.

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