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  • Giovedì 1 agosto 2024

E ora i negoziati per una tregua a Gaza?

L’omicidio di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas e uno dei principali sostenitori della necessità di trattare, sembra averli complicati parecchio

Manifestazioni per condannare l'uccisione di Haniyeh in Pakistan
Manifestazioni per condannare l'uccisione di Haniyeh in Pakistan (AP Photo/Fareed Khan)
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L’omicidio di Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas ucciso mercoledì a Teheran probabilmente in un attacco mirato israeliano, potrebbe rallentare gravemente o perfino far fallire i negoziati in corso da mesi per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

Haniyeh era uno dei principali negoziatori di parte palestinese, che aveva partecipato a molte fasi delle trattative e il cui ruolo di capo politico di Hamas, cioè della persona incaricata delle attività politiche e diplomatiche del gruppo, era fondamentale per la credibilità delle trattative. Soprattutto, all’interno della complessa leadership di Hamas Haniyeh era diventato il principale sostenitore della necessità di portare avanti i negoziati con Israele e trovare un accordo per un cessate il fuoco a Gaza.

Haniyeh non era un moderato. Come altri leader di Hamas festeggiò l’attacco contro i civili israeliani del 7 ottobre, e continuò anche dopo a sostenere la necessità della lotta armata. Ma in qualità di capo politico del gruppo, negli ultimi anni Haniyeh si era costruito un ruolo più pragmatico, e in questi mesi di guerra aveva insistito sulla necessità di trovare un accordo per liberare gli ostaggi israeliani e ottenere un cessate il fuoco nella Striscia.

Questo, secondo molte ricostruzioni giornalistiche, l’aveva messo in contrapposizione con la leadership di Hamas all’interno della Striscia di Gaza, e in particolare con Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, che invece è sempre stato convinto che Hamas dovesse logorare il più possibile l’esercito israeliano, a prescindere dalle devastazioni e dalle perdite civili.

Manifestazioni per protestare contro l'uccisione di Haniyeh in Iran

Manifestazioni per protestare contro l’uccisione di Haniyeh in Iran (AP Photo/Vahid Salemi)

Per questo l’uccisione di Haniyeh indebolisce la posizione di chi dentro ad Hamas era pronto a negoziare. Vale certamente sul breve periodo, perché tanto Hamas quanto l’Iran (il paese che ospitava Haniyeh e ha subìto il probabile attacco mirato israeliano) cercheranno di mettere in atto una ritorsione contro Israele.

Ma potrebbe valere anche sul medio e lungo periodo: formalmente, Haniyeh era il capo del Politburo di Hamas, il consiglio di 15 membri che prende le decisioni politiche all’interno del gruppo radicale, e che ha sede in Qatar. In condizioni normali, dentro a Hamas comincerebbe ora una lunga trattativa tra i membri della leadership per trovare un sostituto, ma questo sarà estremamente complicato da fare, perché buona parte dei leader di Hamas è stata uccisa in questi mesi di guerra, e altri, come Sinwar, vivono in clandestinità, probabilmente ancora dentro alla Striscia di Gaza, ed è difficilissimo contattarli.

Molti analisti sostengono che, in queste condizioni di emergenza, il posto di Haniyeh potrebbe essere preso da Khaled Meshal, che era già stato il predecessore di Haniyeh come capo politico di Hamas fino al 2017, e che attualmente è il più importante leader di Hamas fuori dalla Striscia di Gaza. Nel 1998, Meshal si salvò in maniera piuttosto rocambolesca da un tentativo di avvelenamento messo in atto proprio da Israele. Non è chiaro che posizioni potrebbe avere Meshal riguardo ai negoziati con Israele.

Khaled Meshal

Khaled Meshal (AP Photo/Osama Faisal, File)

In ogni caso, la necessità per Hamas di sostituire Haniyeh e il rafforzamento della fazione contraria al cessate il fuoco e capeggiata da Sinwar complica eccezionalmente i negoziati con Israele.

Le trattative per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza erano riprese a luglio, peraltro con aspettative piuttosto favorevoli. Anzitutto perché, dopo essersi ritirato dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il presidente Joe Biden aveva moltiplicato gli sforzi diplomatici, sostenendo che uno degli obiettivi della fine della sua presidenza era trovare un accordo per fermare i combattimenti a Gaza.

In secondo luogo, attorno ai negoziati c’era un certo ottimismo perché all’inizio di luglio i rappresentanti palestinesi avevano ritirato, dopo mesi di pressioni, una delle loro condizioni più rigide, cioè quella di un cessate il fuoco permanente e immediato. Il piano di tregua proposto dagli Stati Uniti, che da maggio è la base dei negoziati, prevede un iniziale cessate il fuoco temporaneo di sei settimane, che si dovrebbe poi trasformare in un cessate il fuoco permanente se tutte le parti mantengono gli accordi.

Fino a poche settimane fa Hamas aveva rifiutato questo accordo perché chiedeva che il cessate il fuoco fosse permanente fin dall’inizio, ma più di recente aveva acconsentito al piano in due fasi proposto da Biden. Gli ultimi negoziati che si sono tenuti la settimana scorsa a Roma, però, avevano ridotto gli ottimismi, perché i negoziatori israeliani erano arrivati con nuove condizioni mai discusse prima di allora, che avevano ancora una volta bloccato le trattative.

Dal punto di vista di Israele, come ha notato l’Economist, l’uccisione di Haniyeh è stata un atto «cinico». Haniyeh era da mesi uno degli obiettivi di Israele, e con ogni probabilità la sua presenza a Teheran ha dato ai servizi israeliani l’opportunità di colpirlo. Ma al tempo stesso «se vuoi una tregua, uccidere il tuo principale interlocutore è un modo curioso di dimostrarlo».

Anche in questo caso non è chiaro come agirà Israele nelle prossime settimane. L’ipotesi più ottimista è che il governo di Benjamin Netanyahu approfitti di questo assassinio di alto profilo per dichiarare una vittoria simbolica nella guerra e avviare nuove trattative. L’opzione più pessimista, e più probabile al momento, è che Netanyahu approfitti dell’uccisione di Haniyeh e della confusione che ne seguirà per rallentare o perfino interrompere almeno temporaneamente i negoziati, a cui Israele ha sempre partecipato anche perché spinto dagli Stati Uniti.

Seth Jones, un analista del centro studi statunitense Center for Strategic and International Studies, parlando con il Washington Post ha detto: «Alla fine, se i negoziati fossero affossati, a Netanyahu non importerebbe granché».