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  • Mercoledì 31 luglio 2024

Il complicato rapporto tra la Sardegna e i parchi eolici

Gli oltre 800 progetti presentati negli ultimi anni hanno alimentato un'opposizione estesa e convinta, assecondata dalla politica, contro quello che è stato definito un «assalto»

Un parco eolico
Un parco eolico (AP Photo/Alessandra Tarantino)
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Da quando è stata eletta presidente della Sardegna, Alessandra Todde ha detto più volte che una delle sue priorità è fermare quello che ha definito «l’assalto dell’eolico». Todde è un’esponente del Movimento 5 Stelle, ma nell’ultimo anno la stessa parola – assalto – è usata da politici di sinistra e di destra. L’ultimo a farlo è stato il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, segretario della Lega, che martedì ha definito la mobilitazione contro il settore delle energie rinnovabili «una battaglia di buonsenso».

Nonostante la Sardegna sia per natura la regione italiana più adatta a sfruttare le fonti rinnovabili di energia, in particolare il vento, è diventato quasi impossibile discutere della costruzione di nuovi impianti. Contro i parchi eolici e fotovoltaici c’è un’opposizione estesa, radicata e in parte motivata da questo «assalto» di cui parlano Todde e Salvini. Quello tra la Sardegna e la transizione energetica, insomma, è un rapporto complicato e ormai degenerato verso posizioni sempre più intransigenti.

Già durante la campagna elettorale Todde aveva promesso una moratoria sull’installazione di nuovi impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: una volta eletta, la moratoria è stata uno dei primi provvedimenti della sua maggioranza, sostenuta anche dal Partito Democratico. La nuova legge approvata dal Consiglio regionale lo scorso 2 luglio ha sospeso per 18 mesi la realizzazione di nuovi impianti gestiti dalle aziende energetiche, mentre non ha limitato la produzione legata all’autoconsumo e alle cosiddette comunità energetiche.

Todde ha detto che l’obiettivo della moratoria è fermare «la modifica irreversibile del territorio» sardo, cioè il consumo di suolo e l’impatto ambientale causato dalla costruzione di nuovi impianti, e limitare il «“far west” causato dal vuoto normativo e dall’inerzia della Regione», governata dal centrodestra nei cinque anni precedenti. Pur sostenendo l’opposizione nei confronti dei nuovi impianti, infatti, l’ex presidente Christian Solinas e la sua maggioranza si erano limitati ad approvare ordini del giorno non vincolanti, che invitavano a ridiscutere con il governo i piani per la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici. Gli ordini del giorno erano stati votati da quasi tutti i consiglieri, compresi quelli del centrosinistra, a dimostrazione che su questo tema c’è una condivisione trasversale.

Il riferimento al far west o all’assalto riguarda l’aumento di richieste di autorizzazione presentate dal 2022 al 2024 da società energetiche piccole e grandi. Tutto è cominciato con una serie di semplificazioni approvate dal governo di Mario Draghi, di cui Todde faceva parte in qualità di viceministra dello Sviluppo economico. Sabato scorso Todde ha detto che all’epoca non avrebbe potuto prevedere come sarebbe andata, perché le regole sulle autorizzazioni erano competenza del ministero dell’Ambiente. «Non mi sono probabilmente accorta di quanto fosse complicato da gestire successivamente», si è giustificata Todde.

Queste semplificazioni hanno permesso di presentare richieste per connettere alla rete elettrica nazionale gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. In Sardegna sono state create centinaia di società per lo più improvvisate, con un capitale sociale di poche migliaia di euro, che hanno acquisito i diritti di superficie dei terreni dove costruire gli impianti. Per la maggior parte sono campi incolti, poco redditizi e di cui la regione abbonda. Una volta acquisito, il diritto di superficie può essere messo sul mercato, venduto al miglior offerente a un prezzo molto maggiore rispetto all’investimento iniziale e senza nessun tipo di controllo da parte dei comuni interessati o della Regione Sardegna. Questa proliferazione di piccole società è stata in parte criticata anche da aziende più grandi, secondo le quali il mercato in questo modo è stato falsato.

La principale conseguenza di questa liberalizzazione è stato un aumento significativo delle richieste di connessioni alla rete elettrica. Nel giro di due anni Terna, la società pubblica che in Italia si occupa di gestire la rete, ha ricevuto 824 richieste di connessione di nuovi impianti pari a 54,3 gigawatt di potenza (dato aggiornato al 30 giugno 2024): 547 sono relative a impianti fotovoltaici per una potenza di 23,8 gigawatt, 248 per impianti eolici per una potenza di 16,7 gigawatt e 29 richieste per impianti eolici offshore, cioè costruiti in mare, per una potenza di 13,8 gigawatt.

I potenziali 54,3 gigawatt sono molto superiori rispetto agli obiettivi fissati dal governo e dall’Unione Europea con il piano contro il riscaldamento climatico chiamato Fit for 55: secondo le quote decise dal governo con il decreto “Aree idonee” approvato all’inizio di maggio, la Sardegna dovrebbe installare 6,2 gigawatt di potenza entro il 2030. Il divario è così ampio che al momento la Sardegna non riuscirebbe nemmeno a gestire l’energia elettrica prodotta, perché mancano le infrastrutture adatte: in sostanza, non ci sono cavi che possono trasportare tutta quella energia. Questa mancanza sarà in parte colmata con il nuovo elettrodotto Tyrrhenian link, che collegherà la Sardegna alla Sicilia.

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La moratoria contro l’installazione di nuovi impianti è stata criticata dai sostenitori delle rinnovabili, tra cui l’associazione ambientalista Legambiente, perché in contrasto con la necessità di limitare l’utilizzo delle fonti fossili sfruttando sempre di più le fonti rinnovabili di energia, come il sole e il vento. Tra le altre cose in Sardegna sono ancora attive due centrali a carbone molto inquinanti, la cui dismissione va a rilento.

Todde ha assicurato in più occasioni di non essere contraria alla transizione energetica, ma di aver agito per evitare le speculazioni. «La Sardegna deve produrre energia per sé stessa ed essere grossista sul mercato, per fare in modo di poter dare l’energia elettrica a poco prezzo alle nostre comunità e alle imprese», ha detto. «Noi siamo per la transizione ecologica, ma va fatta nei posti giusti, non contro i comuni. Gli impianti vanno messi nelle aree opportune e vanno definite le misure di compensazione dove sarà necessario».

All’inizio di luglio il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato che il governo valuterà un’impugnazione della moratoria alla Corte Costituzionale. Pichetto Fratin sostiene che la Regione non abbia il potere di vietare i nuovi impianti eolici e che un blocco del genere non sia ammissibile. Finora però il governo non ha impugnato la nuova legge regionale. Dopo l’approvazione definitiva del decreto “Aree idonee”, la Sardegna ha iniziato a discutere di dove dovranno essere costruiti gli impianti per raggiungere i 6,2 gigawatt fissati dal governo, limitando tutte le altre richieste presentate negli ultimi due anni. La Regione ha 180 giorni per capire quali sono le aree più adatte e quali invece dovranno essere escluse.

Una delle certezze è che la moratoria non ha effetti sugli impianti eolici offshore, sostenuti da fondazioni oppure da piattaforme galleggianti ancorate al fondale, con un impatto ambientale inferiore rispetto a quelli installati a terra.

Tre tra i progetti più grandi sono stati presentati da Nadara, il nuovo gruppo nato dalle aziende Renantis (ex Falck Renewables) e Ventient: si chiamano Nora Energia 1, Nora Energia 2 e Tibula Energia. Il primo, da 53 turbine, sarà installato a sud ovest del Golfo di Cagliari, più precisamente tra Sant’Antioco e Santa Margherita di Pula, a una distanza tra 22 e 34 chilometri dalla costa; il secondo da 40 turbine a sudest del golfo di Cagliari, circa 30 chilometri a sud di Capo Carbonara nel comune di Villasimius; il terzo più a nord, almeno a 25 chilometri al largo della costa tra Olbia e Siniscola. Solo questi tre parchi eolici avrebbero una potenza complessiva di 2,4 gigawatt e l’autorizzazione spetta allo Stato, non alla Regione. Nonostante la resa notevole e il basso impatto ambientale, alcune associazioni ambientaliste come il Gruppo d’intervento giuridico si sono opposte a questi impianti.

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La crescita della mobilitazione contro gli impianti che sfruttano le fonti rinnovabili è una delle conseguenze della gestione caotica degli ultimi anni. In Sardegna – più che in altre regioni – l’opposizione agli impianti eolici e l’adesione a comitati e associazioni è più convinta rispetto al passato e più estesa rispetto a una quota fisiologica di proteste legate a comunità definibili come “Nimby” (acronimo di Not in my backyard, “non nel mio giardino”), cioè contrarie a qualsiasi tipo di intrusione nel proprio territorio. Questa peculiare opposizione è stata alimentata sia dalla politica che dalla stampa: l’Unione Sarda, il principale giornale dell’isola, sta portando avanti una campagna piuttosto aggressiva contro «l’assalto» all’eolico. Uno dei giornalisti più impegnati in questa campagna è Mauro Pili, già presidente della Sardegna di centrodestra tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila.

Secondo molti comitati e attivisti la moratoria approvata dalla Regione non basta, anzi molti la considerano inutile perché non può nulla contro i cantieri già iniziati. Come ha chiarito Todde, la nuova legge blocca le autorizzazioni, ma non può fermare la costruzione degli impianti eolici già autorizzati. Il chiarimento era stato chiesto dai comitati dopo l’arrivo di enormi pale eoliche nel porto di Oristano per la costruzione di un contestato impianto a Villacidro, approvato nell’aprile del 2020 dall’allora presidente Solinas.

Sabato scorso una ventina di sindaci, oltre a comitati e associazioni, ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare per risolvere la possibile illegittimità della moratoria approvata dalla Regione, e tutelare alcune aree, tra cui siti archeologici e terreni agricoli. La proposta è stata chiamata “legge di Pratobello”, dal nome di una protesta antimilitarista portata avanti dagli abitanti di Orgosolo, alla fine degli anni Sessanta, contro la costruzione di un poligono fisso per esercitazioni militari nella zona di Pratobello.

La proposta fa leva sull’articolo 3 dello statuto sardo sull’urbanistica e sul paesaggio. «La Regione può legiferare in materia fino a spingersi a bloccare i cantieri già in essere, cosa che per lo Stato è più difficile da impugnare davanti alla Corte Costituzionale rispetto alla moratoria», ha detto Pasquale Mereu, il sindaco di Orgosolo. «Sta alla Regione individuare le aree idonee su cui fare la transizione: aree dismesse, cave. Dobbiamo essere noi a gestire la transizione». La legge può essere presentata con 10mila firme autenticate: l’obiettivo dei promotori è arrivare a 50mila.