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  • Mercoledì 31 luglio 2024

Alle Olimpiadi la “coppettazione” è ancora in voga

Le macchie tonde che lascia continuano a vedersi sulle schiene di grandi nuotatori, anche se è considerata da anni una pratica priva di benefici comprovati

Un dettaglio delle spalle di McKee, a bordo piscina
Il nuotatore islandese Anton McKee dopo le qualificazioni per i 200 metri rana alle Olimpiadi di Parigi, il 30 luglio 2024 (AP Photo/ Petr David Josek)
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Dopo la vittoria della medaglia d’oro del nuotatore italiano Nicolò Martinenghi nella finale dei 100 metri rana alle Olimpiadi di Parigi, sui social media e sui giornali si è tornati a parlare di coppettazione, una pratica della medicina alternativa che ha origini nelle culture mediorientali e asiatiche. Molte persone in Italia hanno infatti notato e commentato i segni tipici di questo trattamento – aree circolari in cui la pelle è più scura (discromie cutanee) – sulle braccia, sulla schiena e sull’addome di Martinenghi, rievocando un dibattito che torna ciclicamente sull’efficacia di questa pratica.

La forma dei segni, come anche il nome della pratica, è dovuta alle tipiche coppette circolari di vetro o di plastica (ma le fanno anche di ceramica e di bambù) che agiscono come ventose durante i trattamenti. Una volta posizionate sulla pelle per alcuni minuti, si crea un effetto sottovuoto o perché erano molto calde (la pressione dell’aria all’interno raffreddandosi diminuisce) o usando una pompetta, e provocano la rottura dei capillari sottocutanei (i segni circolari sono di fatto dei lividi superficiali). L’idea di fondo, non sostenuta da sufficienti prove scientifiche, è che l’afflusso di sangue nella parte del corpo “coppettata” favorisca e acceleri i normali processi di recupero della potenza muscolare dopo intensi sforzi fisici, e di guarigione da eventuali lesioni muscolari.

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La coppettazione (o cupping, in inglese) è una pratica relativamente diffusa nonostante la mancanza di benefici medici scientificamente comprovati. Fu resa popolare nel 2016 dallo statunitense Michael Phelps, il più forte e vincente nuotatore di tutti i tempi. E tra i tanti altri che ne fanno o ne hanno fatto uso nel nuoto oltre a lui (e Martinenghi) ci sono la statunitense Dana Vollmer, l’italiano Gregorio Paltrinieri e l’australiano Kyle Chalmers, ma anche atleti di altre discipline, come il ginnasta statunitense Alex Naddour, e persone famose come l’attrice Gwyneth Paltrow e il primo ministro canadese Justin Trudeau.

Naddour si sfrega le mani imbiancate dalla polvere di gesso prima di una gara

Alexander Naddour prima di una gara al cavallo con maniglie alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, il 6 agosto 2016 (Alex Livesey/Getty Images)

La prima volta che i giornali si occuparono lungamente di coppettazione alle Olimpiadi, nel 2016, Phelps disse a Sky Sports che la utilizzava soprattutto per la spalla destra, perché era la parte del corpo che di solito gli faceva più male dopo le gare. Naddour disse a USA Today che lui e i suoi compagni di squadra si applicavano le coppette a vicenda, anche loro nei punti in cui sentivano più dolore. E aggiunse: «Ha funzionato meglio di qualsiasi altra cosa per cui abbia speso soldi».

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Ai tempi Simon Spencer, responsabile della fisioterapia dell’English Institute of Sport, organizzazione che fornisce servizi di assistenza medica agli atleti e alle atlete inglesi di alto livello, spiegò a Sky Sports che non esistevano prove conclusive dell’efficacia della coppettazione basate su studi clinici, ma soltanto prove aneddotiche fornite da alcuni atleti che riferivano effetti terapeutici benefici dopo il trattamento. In generale, disse Spencer, nei contesti in cui viene utilizzata è comunque considerata una forma di terapia complementare e secondaria rispetto ad altri trattamenti.

Le cose non sono molto cambiate da allora. In questi giorni la chirurga vascolare e divulgatrice italiana Alice Rotelli ha ribadito sui social che «non vi è alcuna prova che apporti effettivi benefici per la salute» e ha definito la coppettazione «una pratica esoterica pseudoscientifica».

Quattro coppette posizionate sulla schiena di un uomo steso su un lettino e ritratto di profilo

Un trattamento di coppettazione in una clinica di medicina cinese a Hong Kong, il 10 agosto 2016 (Lam Yik Fei/Getty Images)

Nei termini della medicina tradizionale cinese una lesione equivale a un blocco del Qi, che letteralmente significa “respiro” o “aria”, ma è utilizzato anche per indicare la “forza che scorre attraverso il corpo”, spiegò nel 2017 al National Post l’agopunturista canadese Sarah Kreitzer. La coppettazione, disse, serve «a sbloccare il Qi stagnante». Ed è probabilmente questa la ragione per cui è utilizzata, oltre che per il dolore muscolare, per curare varie condizioni patologiche: dal mal di schiena all’acne, dall’artrite all’herpes zoster (il cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”).

Da un punto di vista biologico non è chiaro come l’aspirazione dell’aria nelle coppette e la concentrazione sottocutanea di sangue in determinate zone del corpo possa fornire tutti questi benefici, ha scritto in questi giorni il medico statunitense Robert H. Shmerling, membro del comitato editoriale delle pubblicazioni della Harvard Medical School. In ambito scientifico le prove dell’efficacia della coppettazione, a volte combinata con altre tecniche come l’agopuntura, riguardano perlopiù il trattamento del dolore ma sono limitate e dubbie, principalmente a causa della scarsa attendibilità degli studi che se ne sono occupati negli ultimi decenni.

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Una revisione di 22 studi pubblicati tra il 1990 e il 2019 concluse nel 2023 che la coppettazione potrebbe avere una qualche utilità nella riabilitazione muscolo-scheletrica e sportiva, ma che le prove a sostegno di questa ipotesi sono deboli e di scarsa qualità. Più o meno alla stessa conclusione era arrivata una precedente revisione di 135 studi usciti tra il 1992 e il 2010, pubblicata nel 2012 sulla rivista Plos One, che aveva riscontrato pregiudizi e imprecisioni nella maggior parte delle ricerche esaminate.

Phelps, fotografato frontalmente, esce dall'acqua durante una gara

Michael Phelps durante la gara dei 200 metri farfalla alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, l’8 agosto 2016 (AP Photo/Michael Sohn)

Una delle difficoltà nella valutazione degli effetti della coppettazione tramite studi clinici rigorosi è la mancanza di trattamenti alternativi da poter usare come placebo per i gruppi di controllo. Che è una condizione necessaria per poter condurre studi controllati randomizzati (randomized controlled trial, RCT), cioè il tipo di studio clinico più adatto a ridurre pregiudizi e distorsioni nella valutazione dei risultati della sperimentazione di una cura. La coppettazione sembra peraltro avere un effetto placebo molto potente, ha scritto Shmerling: l’aspettativa del paziente di ottenere un beneficio ha cioè di per sé effetti molto rilevanti di autosuggestione, indipendentemente da eventuali effetti fisiologici del trattamento.

I segni circolari lasciati sulla pelle possono durare da circa tre giorni a diverse settimane. A parte questo, gli effetti collaterali sono tendenzialmente pochi, ma molto dipende dalle modalità di applicazione delle coppette, dalla competenza degli operatori e dalla tecnica utilizzata, variabili che possono aumentare il rischio di bruciature, infezioni, cicatrici e pannicolite (un’infiammazione del grasso sottocutaneo). Una variante della coppettazione più pericolosa di quella “a secco”, per esempio, è quella “umida”: prevede di incidere o pungere la parte di pelle aspirata in modo da provocare una piccola fuoriuscita di sangue.

Paltrinieri con le mani sul volto, seduto vicino al bordo di una piscina

Gregorio Paltrinieri dopo aver vinto la gara dei 1.500 metri stile libero maschili ai Mondiali di nuoto a Budapest, il 25 giugno 2022 (AP Photo/Petr David Josek)

Nel 2021 Nicholas B. Tiller, ricercatore in fisiologia applicata della University of California, Los Angeles, e autore per la rivista Skeptical Inquirer, scrisse sul sito The Conversation della tendenza sorprendente di molti atleti professionisti a credere nella coppettazione o in altre pratiche della medicina alternativa: pratiche che sembrano riscuotere persino più successo tra gli atleti che nella popolazione generale.

La maggior parte di queste terapie alternative, scrisse Tiller, condivide tre caratteristiche. Si basano su «affermazioni forti e prove deboli»; utilizzano parole dal suono vagamente scientifico come «energia», «metaboliti» e «flusso sanguigno», per sembrare autorevoli; e citano studi di bassa qualità, poco controllati e con campioni molto piccoli. Questo rende complicato, se non impossibile, distinguere i benefici reali delle terapie da quelli percepiti o immaginati.

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Gli esseri umani si sono evoluti per essere guidati da euristiche, cioè «scorciatoie mentali che portano a soluzioni rapide ma imperfette», soprattutto quando si tratta di decisioni sulla salute e sulla forma fisica, scrisse Tiller. I sostenitori delle terapie alternative sfruttano questa vulnerabilità umana per offrire grandi ricompense a fronte di investimenti relativamente piccoli (i kit per la coppettazione sono venduti anche online per poche decine di euro).

Molti atleti professionisti sono particolarmente esposti al fascino delle affermazioni altisonanti, secondo Tiller, proprio perché sono sempre alla ricerca di miglioramenti delle loro prestazioni, anche minimi, che possono fare la differenza tra vincere e perdere una medaglia. In alcuni casi la mancanza di prove scientifiche riguardo a una certa terapia alternativa può essere proprio ciò che la rende attraente per alcuni di loro. In altri casi, quando una certa pratica è correlata a uno o più successi sportivi ottenuti in passato, può anche diventare parte di rituali scaramantici.

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