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  • Mercoledì 31 luglio 2024

I molti omicidi mirati di Israele dopo il 7 ottobre

Compreso con ogni probabilità quello di Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, che è l'ultimo di una lunga e deliberata lista

Un uomo sfila a Teheran con una foto di Ismail Haniyeh
Un uomo sfila a Teheran con una foto di Ismail Haniyeh (AP Photo/Vahid Salemi)
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L’uccisione del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh in un attacco mirato a Teheran, la capitale dell’Iran, è il momento più importante finora di una campagna di uccisioni mirate portata avanti da Israele dopo l’attacco di Hamas contro i civili del 7 ottobre del 2023. Israele non ha ancora riconosciuto ufficialmente di aver ucciso Haniyeh, ma ci sono pochi dubbi sulla responsabilità dell’operazione, e sulle televisioni israeliane alcuni funzionari militari ne hanno parlato come di un «eccellente successo» del paese.

Dopo l’attacco del 7 ottobre vari leader politici e militari israeliani avevano promesso che avrebbero rintracciato e ucciso tutti i capi di Hamas responsabili del massacro di civili israeliani. Gli obiettivi (mai descritti esplicitamente, ma resi abbastanza chiari da vari resoconti giornalistici) erano due: anzitutto uccidere i leader militari di Hamas che si trovano nella Striscia di Gaza e che erano ritenuti direttamente responsabili del 7 ottobre, e in seguito uccidere tutti gli altri leader implicati nel massacro, anche all’estero. Lo scorso novembre il ministro della Difesa Yoav Gallant disse, parlando dei leader di Hamas: «Hanno i giorni contati, in qualunque parte del mondo si trovino: sono tutti uomini morti».

All’intenzione di uccidere i leader di Hamas si sono poi affiancate le uccisioni mirate dei capi militari del gruppo radicale libanese Hezbollah (l’ultima è avvenuta martedì notte), e dei leader delle Guardie rivoluzionarie, la principale forza militare dell’Iran, paese alleato di Hamas e di Hezbollah.

Per cercare di raccapezzarci in mezzo a tutte queste uccisioni dobbiamo considerare tre cose: gli obiettivi militari di Israele dopo il 7 ottobre; le risposte ad attacchi e provocazioni esterni nel corso di questi mesi di guerra, come quelle di Hezbollah e dell’Iran; e le opportunità pratiche di uccidere un determinato leader quando se ne presenta l’occasione. Bisogna anche considerare un altro elemento: Israele ha sempre usato gli omicidi mirati per colpire i paesi e i gruppi che considera nemici. Nel corso dei decenni i servizi e l’esercito israeliani hanno ucciso leader di Hamas, ufficiali di Hezbollah, scienziati e funzionari iraniani. Il 7 ottobre e la guerra che ne è seguita hanno tuttavia rafforzato queste dinamiche.

Fin dai primi giorni dopo il 7 ottobre l’obiettivo esplicito di Israele è stato quello di «distruggere Hamas». È con questa motivazione che l’esercito israeliano ha bombardato invaso la Striscia di Gaza, dove più di 39 mila palestinesi, in gran parte civili, sono stati uccisi, e le città sono state devastate. Tra gli obiettivi immediati dell’operazione militare israeliana nella Striscia, oltre alla distruzione della capacità e delle infrastrutture militari del gruppo radicale, c’era anche l’uccisione dei leader locali di Hamas, che sono quelli che con ogni probabilità hanno operativamente organizzato l’attacco del 7 ottobre. Nei primi mesi di guerra, i giornali si erano concentrati soprattutto su tre nomi: Yahya Sinwar, il capo di Hamas nella Striscia di Gaza; Mohammed Deif, che è capo delle brigate al Qassam, l’ala armata di Hamas; e Marwan Issa, il vice di Deif.

Di questi tre inizialmente era stata confermata soltanto la morte di Marwan Issa, ucciso in un bombardamento israeliano a marzo: Israele aveva anche tentato di uccidere Deif, lanciando due settimane fa un pesante bombardamento contro al Mawasi, un’area indicata dall’esercito stesso come sicura per i civili. Hamas aveva detto che Deif era sopravvissuto, mentre nel bombardamento erano stati uccisi 90 civili, ma successivamente l’esercito israeliano ha detto di essere certo di averlo ucciso. Non ci sono notizie pubbliche su tentativi di assassinio del terzo obiettivo, Yahya Sinwar.

Haniyeh e Yahya Sinwar, con il cappellino, nel 2017

Haniyeh e Yahya Sinwar, con il cappellino, nel 2017 (AP Photo/ Khalil Hamra)

Come detto, oltre a questi tre obiettivi più immediati nella Striscia di Gaza, il governo israeliano ha dato l’ordine di uccidere tutti i leader di Hamas coinvolti in ogni maniera con il 7 ottobre, anche quelli che si trovano all’estero. Questa campagna di uccisioni è stata descritta da vari giornali e confermata tra gli altri anche da Ronen Bar, il capo dello Shin Bet, cioè i servizi segreti interni di Israele: «Il gabinetto di guerra ci ha dato un obiettivo, eliminare Hamas. Questa è la nostra Monaco. Lo faremo ovunque, a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Turchia, in Qatar. Ci vorrà qualche anno ma lo faremo».

Il piano è quindi una operazione coordinata e a lungo termine per uccidere i leader di Hamas ovunque si trovino, da portare avanti nel corso di vari anni. Il riferimento a “Monaco” è proprio questo: a partire dal 1972, quando un gruppo terroristico palestinese uccise 11 israeliani durante le Olimpiadi di Monaco, i servizi israeliani misero in atto una lunga e deliberata operazione di vendetta e di uccisioni mirate, in cui nel corso di quasi 20 anni uccisero decine di persone coinvolte nell’attacco.

Anche in questo contesto, tuttavia, l’uccisione di Ismail Haniyeh è difficile da comprendere. Haniyeh era un capo politico di Hamas, viveva all’estero (in Qatar) e ci sono perfino alcuni dubbi se fosse davvero coinvolto nell’organizzazione dell’attacco del 7 ottobre. Inoltre aveva un ruolo fondamentale nei negoziati per un cessate il fuoco in corso nella Striscia di Gaza, che adesso rischiano di fallire o di essere ritardati a lungo termine.

Un’ipotesi possibile (ma è ancora presto, e ci mancano molti elementi per capire davvero cos’è successo) è che Israele abbia ucciso Haniyeh perché ne ha avuto l’occasione. Haniyeh viveva in Qatar, un paese dove storicamente Israele non ha mai condotto uccisioni mirate sotto copertura e che ha in Medio Oriente uno storico ruolo di mediazione: uccidere un leader di Hamas in Qatar avrebbe significato per Israele inimicarsi un paese diplomaticamente importante, e operare in un contesto in cui i suoi agenti hanno poca esperienza. Il viaggio di Haniyeh a Teheran, però, è diventata una possibile occasione: in Iran i servizi israeliani hanno informatori ed esperienza, e nel corso degli anni hanno condotto numerosissime operazioni sotto copertura.

Fin qui abbiamo parlato delle uccisioni dei leader di Hamas. Dal 7 ottobre in avanti, tuttavia, Israele ha portato avanti omicidi mirati anche di capi di Hezbollah e delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Questi omicidi si inseriscono da un lato nel contesto di ostilità storiche tra Israele e i gruppi che considera nemici, e dall’altro sono attacchi o risposte avvenuti in mezzo a grosse tensioni regionali cominciate dopo il 7 ottobre. Per esempio l’attacco di martedì notte a Beirut, in cui Israele ha ucciso il comandante di Hezbollah Fuad Shukr, è la risposta al lancio del razzo che lo scorso sabato aveva ucciso 12 bambini e ragazzi a Majdal Shams, una cittadina sulle alture del Golan, territorio conteso ma controllato da decenni da Israele.

In altri casi, Israele ha preso l’iniziativa attaccando capi militari ritenuti pericolosi o coinvolti in attività che avrebbero potuto danneggiare la propria sicurezza. È il caso per esempio di Mohammad Reza Zahedi, un generale delle Guardie rivoluzionarie ucciso lo scorso aprile in un bombardamento in Siria. Per rispondere a quell’attacco l’Iran lanciò contro Israele centinaia di droni e missili, che però furono tutti intercettati.

Questi esempi mostrano tra le altre cose come la strategia israeliana di uccidere leader nemici anche all’estero sia estremamente rischiosa, soprattutto se, come nel caso di Haniyeh, questi leader sono particolarmente noti e in vista. Uccidendo Haniyeh, Israele ha mostrato di essere pronto a mettere a repentaglio le trattative per Gaza, ad aumentare notevolmente la tensione nella regione e a rischiare ritorsioni anche gravi da parte dei paesi colpiti.