William Calley in una foto del 1969 (AP)

Cosa fu il massacro di My Lai in Vietnam

Nel 1968 l’esercito americano uccise centinaia di civili nella cittadina: l’unico militare condannato per la strage, William Calley, è morto a 80 anni

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È morto a 80 anni l’ex militare William Calley, l’unico condannato per il massacro compiuto dai soldati americani nella cittadina vietnamita di My Lai il 16 marzo 1968. A My Lai furono uccisi centinaia di civili disarmati, inclusi anziani, donne e bambini. La strage è considerata uno dei peggiori crimini di guerra commessi dall’esercito degli Stati Uniti: inizialmente fu insabbiata dalle autorità e venne scoperta solo grazie alle inchieste giornalistiche e alle denunce dei testimoni. È dibattuta la responsabilità dei comandanti dell’epoca, che a differenza di Calley non vennero condannati.

La morte di Calley è avvenuta il 28 aprile in un ospizio di Gainesville, in Florida, ma la notizia è stata diffusa lunedì dal Washington Post. Se n’è accorto Zachary Woodward, neolaureato in Legge ad Harvard, mentre consultava alcuni atti pubblici. Calley ha infatti vissuto una vita molto riservata dopo la condanna all’ergastolo del 1971, ridotta quasi subito a vent’anni di reclusione poi dimezzati nel 1974, quando l’allora presidente Richard Nixon gli evitò di andare in carcere.

Calley si era arruolato nel 1966, un periodo in cui nonostante la leva obbligatoria l’esercito degli Stati Uniti aveva bisogno di uomini perché il governo stava aumentando la presenza militare in Vietnam, dove la guerra era in corso da ormai un decennio. Calley fece carriera velocemente, fino a diventare sottotenente. Alle 7:30 di mattina del 16 marzo 1968 circa cento soldati di fanteria della Compagnia C della 23esima Divisione di Fanteria dell’esercito statunitense, guidati da Calley, furono trasportati in elicottero nella zona di My Lai, sulla costa della provincia di Quang Ngai, circa 800 chilometri a nord di Saigon (che oggi si chiama Ho Chi Minh).

Secondo le informazioni ricevute, My Lai doveva essere una roccaforte dei viet cong, il movimento di Resistenza del Vietnam del Nord che puntava a liberare il Sud (sostenuto dagli Stati Uniti) e a riunificare il paese sotto il governo comunista di Hồ Chí Minh. Al loro arrivo, però, i soldati non trovarono guerriglieri ma solo gli abitanti della cittadina tra le risaie che in quel momento stavano facendo colazione. Alcuni soldati pensarono di essere caduti in una trappola.

«Non incontrammo resistenza, vidi solo tre armi confiscate. Non subimmo perdite, era come tutte le altre cittadine vietnamite», ha raccontato Michael Bernhardt, che partecipò alla missione. Le ricostruzioni su ciò che accadde dopo sono confuse, ma si sa che durante la ricerca ossessiva dei viet cong i soldati aprirono il fuoco sui civili: principalmente con mitragliatrici e altre armi automatiche, ma anche lanciando loro granate. Il villaggio fu bruciato e diverse donne furono stuprate: non si è mai potuto accertare quante.

Una foto aerea dei resti del villaggio di My Lai scattata otto mesi dopo la strage, il 16 novembre 1969 (AP)

Secondo l’esercito americano furono uccise 347 persone; secondo le stime vietnamite i morti furono almeno 504. Calley disse sempre di aver eseguito gli ordini: lo disse anche al processo al tribunale marziale in cui furono accusati, insieme a lui, altri 25 militari, tra cui due generali. Nei mesi precedenti la Compagnia aveva subìto pesanti perdite a causa dei viet cong, come ricordò Calley al processo.

«I miei uomini stavano venendo massacrati da un nemico che non potevo vedere, sentire né toccare e che nessuno ci aveva mai descritto in altri termini che il “Comunismo”. Non ci hanno indicato un’etnia, un genere o un’età», dichiarò Calley. Secondo il suo racconto il capitano Ernest Medina, un suo superiore, prima della missione indicò al reparto di distruggere tutto quello che «cammina, striscia o ringhia». Sempre secondo Calley fu Medina a dirgli di colpire i civili. Medina ha sempre negato, ma altri soldati ascoltati come testimoni dissero di ricordare ordini simili.

William Calley, al centro, con alcuni commilitoni su un elicottero a Quang Ngai, in Vietnam, il 3 novembre 1970 (AP)

Il massacro venne fermato da Hugh C. Thompson, un pilota di elicottero che stava sorvolando la zona a bassa quota. Il compito di Thompson era segnalare alle truppe di terra l’eventuale presenza di nemici, ma quella mattina vide una fossa con più di cento cadaveri e che il villaggio era stato incendiato. Thompson decise di atterrare subito e ci fu un teso confronto con i soldati della Compagnia C: il pilota minacciò di sparargli addosso se non si fossero fermati. Thompson in seguito denunciò i fatti ai suoi superiori, che ritennero però «esagerato» il suo racconto e non presero provvedimenti.

Per un anno e mezzo della strage non si seppe nulla. I comunicati ufficiali dell’esercito, anzi, descrissero l’operazione a My Lai come un successo in cui erano stati uccisi 128 «nemici». Il generale William C. Westmoreland, che comandava l’esercito statunitense in Vietnam, lo definì «un duro colpo» ai viet cong. L’eccidio fu denunciato da un militare in una serie di lettere a politici e comandanti. Il whistleblower era Ronald Ridenhour, un elicotterista, che non si trovava a My Lai quel giorno ma ne aveva sentito parlare.

La storia divenne nota nel novembre del 1969 grazie al lavoro del giornalista Seymour Hersh. Hersh vinse il premio Pulitzer, ma la sua inchiesta era stata rifiutata da alcune delle testate più importanti e fu pubblicata – prima di essere ripresa da tutti i giornali – da un’agenzia di stampa indipendente piuttosto piccola, Dispatch News Service. Due giorni dopo l’uscita della storia, 250mila persone si radunarono a Washington per chiedere la fine della guerra in Vietnam.

Il paese, già molto polarizzato sul conflitto, si divise sostanzialmente in due: chi riteneva Calley una specie di eroe che pagava anche colpe non sue e chi pensava che il massacro fosse emblematico di una guerra illecita portata avanti senza alcun rispetto dei diritti umani. La sentenza fu definita un «colpo al morale delle truppe» dall’allora governatore della Georgia, il Democratico Jimmy Carter, che fu poi presidente dal 1977 al 1981. Diversi altri governatori presero posizioni simili.

«My Lai fu in assoluto il punto più basso della storia dell’esercito statunitense contemporaneo», ha detto al Washington Post l’ex corrispondente di guerra Thomas E. Ricks: «L’incidente non fu solo opera di un sottotenente squilibrato: altri ufficiali erano al corrente di cosa succedeva. Un consistente insabbiamento, che ha incluso la distruzione di documenti, risalì la scala gerarchica fino a due generali e tre colonnelli». Anche secondo lo storico Howard Jones la strage fu un risultato della condotta di guerra statunitense e della disumanizzazione dei vietnamiti.

Calley non ha quasi mai parlato dei fatti che lo riguardarono, ma nel 2009 espresse per la prima volta in pubblico rimorso: «Non c’è un giorno che non provi rammarico per ciò che accadde quel giorno a My Lai».

Di seguito c’è un tweet con una foto d’epoca che mostra un’immagine molto forte dei corpi dei civili uccisi a My Lai

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