Il futuro incerto del Chrysler Building
È uno dei grattacieli più famosi e riconoscibili di New York, ma tra passaggi di proprietà, costi elevati e problemi vari da tempo è in declino
Anche chi non ha mai visitato New York probabilmente ha presente il Chrysler Building, che con il suo stile art déco è uno dei grattacieli più famosi della città. Inaugurato nel 1930 e mostrato tra gli altri in Godzilla, nei fumetti, nei film di Spiderman e nella sigla della serie tv Sex and the City, continua a evocare un passato di eleganza e prestigio, ma come ha raccontato il New York Times da qualche tempo ha perso gran parte del suo splendore: c’entrano com’è fatto, i problemi legati ai molti passaggi di proprietà e anche la concorrenza.
La storia dell’edificio cominciò nel 1928 per volere di Walter Percy Chrysler, il fondatore della storica azienda automobilistica che porta il suo nome (ora parte di Stellantis). Erano anni di sviluppo economico e immobiliare, in città c’era una forte domanda di uffici di prestigio e Chrysler voleva costruire il grattacielo più alto del mondo. Ci riuscì: riprese un progetto preesistente dell’architetto William Van Alen e grazie a una guglia alta 56 metri l’edificio raggiunse un totale di 319, diventando in effetti l’edificio più alto del mondo (fu superato l’anno successivo dall’Empire State Building, sempre a New York).
Con 77 piani, la celebre sommità che ricorda il radiatore di un’auto, i gargoyle e un’imponente hall con decorazioni in marmo rosso, il Chrysler Building fu lodato da molti perché sintetizzava il progresso e la spinta verso la modernità, e criticato da altri perché incarnava le grandi ambizioni di un imprenditore, che in effetti lo definiva «un monumento a me». Al momento dell’inaugurazione quasi il 70 per cento dei suoi spazi era già affittato: l’edificio, amato e richiesto per l’idea di lusso e fascino che trasmetteva, continuò a ospitare tra gli altri uffici, negozi, barbieri e un club privato tra il 66esimo e il 68esimo piano anche durante la Grande Depressione.
Adesso però il suo è «il racconto di due edifici», ha detto al New York Times Ruth Colp-Haber, mediatrice immobiliare che gestisce anche alcuni spazi al suo interno, alludendo al titolo del noto romanzo di Charles Dickens Racconto di due città.
Alla morte di Chrysler, nel 1940, l’edificio restò di proprietà della sua azienda. Nel 1953 fu venduto prima all’imprenditore immobiliare William Zeckendorf e poi a una serie di altri investitori e società. Era stato riconosciuto come sito di interesse storico nazionale, ma nella seconda metà degli anni Settanta cominciò ad avere problemi legati soprattutto a tasse e costi di manutenzione sempre più alti. Gli ampi interventi di ristrutturazione necessari misero ciclicamente in difficoltà le società proprietarie, che in varie occasioni subirono pignoramenti, mentre gli affittuari abbandonavano pian piano l’edificio per spostarsi in grattacieli con spazi più moderni, spaziosi ed efficienti.
Anche se il Chrysler Building resta uno dei simboli di New York e una delle sue attrazioni più note, questo è un po’ quello che sembra accadere ancora oggi.
Chi lo frequenta parla di uno spazio desolato, semideserto e non curato, con infestazioni di insetti, guasti e malfunzionamenti frequenti, per esempio agli ascensori e alle porte girevoli. Tehseen Islam, che lavora per una startup tecnologica con sede all’ottavo piano, ha raccontato al New York Times che a volte l’acqua che esce dai rubinetti è marrone e che c’è poco campo per i cellulari. Sophie Smith, che ci ha lavorato per quattro anni per un’agenzia di talenti, ha detto che a un certo punto al 19esimo piano c’era stato «un problema di topi» e che di conseguenza ai dipendenti veniva proibito tenere cibo sulle scrivanie.
Per via delle finestre molto piccole c’è poca luce naturale e per come è progettato c’è anche molto spazio inutilizzabile, ha aggiunto Ben Walker, il dirigente di un’azienda di costruzioni che affitta un piano e mezzo dal 2012 ma che a breve si sposterà altrove.
Il Chrysler Building inoltre non ha alcune cose che hanno molti altri grattacieli di prestigio, come un osservatorio panoramico a cui poter accedere, campi da basket o una piscina comune. Si può visitare gratuitamente ma solo nella hall al piano terra, dove c’è quello che rimane delle attività che hanno chiuso, come uno dei negozi fisici di Amazon. Alcune foto scattate di recente mostrano alcune parti del soffitto dell’ingresso rovinate e crepate, a volte tappate con nastro isolante.
Brandon Singer, il fondatore di un’agenzia immobiliare dedicata agli affitti per le aziende, Mona, ha spiegato che si sta promuovendo la locazione nell’edificio cercando di darne un’immagine più esclusiva, come d’altra parte puntano a fare i rendering sullo stesso sito del Chrysler Building. La mediatrice immobiliare Colp-Haber tuttavia ha spiegato che l’affitto annuale si aggira sull’equivalente di circa 800 euro per metro quadrato: che è più a buon mercato rispetto a molti altri grattacieli ed edifici di lusso sorti nel tempo a Manhattan, ma comunque più costoso della media del quartiere.
Un altro problema è che il terreno su cui sorge il Chrysler Building è di proprietà di un’istituzione privata, la Cooper Union, a cui chi possiede l’edificio deve a sua volta pagare un canone annuale, che dal 2018 a oggi è passato dall’equivalente di 7 milioni di euro l’anno a 29,5 milioni e si prevede che nel 2028 sarà di quasi 38 milioni. Sempre secondo quanto si legge sul sito al momento nell’edificio risultano liberi per l’affitto più di 60mila metri quadrati di spazi: più della metà di quelli disponibili.
I titolari di alcune attività più piccole, come uno studio di uno psicoterapeuta e un negozio di cornici, hanno detto al New York Times che, al di là dei costi, per loro resta comunque conveniente tenere la loro sede nell’edificio, dato il suo prestigio. Ci si domanda comunque per quanto ancora la sua reputazione sarà sufficiente a farlo restare un edificio richiesto e rilevante.
Nel 2008 il 90 per cento del Chrysler Building fu acquistato per circa 800 milioni di dollari (più di 1 miliardo di euro odierni) dall’Abu Dhabi Investment Council, una società di investimenti legata al governo degli Emirati Arabi Uniti, che si affiancò come socia di maggioranza alla società immobiliare statunitense Tishman Speyer. Nel 2019 le due lo vendettero a loro volta alla società di sviluppo immobiliare di New York RFR e al gruppo immobiliare privato austriaco Signa per 150 milioni di dollari (circa 170 milioni di euro di oggi): meno di un quinto della cifra spesa dalla società emiratina undici anni prima.
Il piano iniziale della RFR prevedeva che il Chrysler Building fosse trasformato in un albergo con varie attrazioni: però poi non se ne fece nulla per via dei costi legati alla locazione del terreno. Nel frattempo lo scorso dicembre la Signa ha presentato istanza di insolvenza a un tribunale austriaco, il quale ha stabilito che dovrà vendere la sua quota di proprietà dell’edificio. Secondo un rappresentante del liquidatore sentito sempre dal New York Times ci sono trattative «in corso».
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