Come si comporta il cervello nei momenti da ricordare

A certe esperienze reagisce con delle increspature delle onde cerebrali che poi si riattivano durante le pause o nel sonno, fissandole nella memoria

Una ballerina seduta su una scrivania solleva un braccio mentre un ballerino di fronte a lei dorme steso su un'altra scrivania, mentre alle loro spalle la rappresentazione di due alberi simboleggia l’attività del loro cervello
Due ballerini durante uno spettacolo sulle neuroscienze andato in scena al Virginia Tech a Blacksburg, Virginia, il 18 giugno 2024 (Jonathan Mehring/The New York Times/contrasto)
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Diverse ricerche di neuroscienze pubblicate negli ultimi decenni hanno permesso di scoprire che la conversione delle esperienze quotidiane in ricordi permanenti avviene per una sua parte significativa quando dormiamo. Il sonno agisce sul cervello come una specie di pulizia della memoria, utile a stabilire quali pensieri trattenere e quali scartare. Se una selezione del genere non fosse normale, in una certa misura, ricorderemmo qualsiasi cosa: come il protagonista del racconto Funes el memorioso, dello scrittore argentino Jorge Luis Borges.

Un importante studio pubblicato a marzo sulla rivista Science e seguito da altri studi sullo stesso argomento ha descritto un processo neurofisiologico osservato nei topi, che potrebbe spiegare come il cervello dei mammiferi riconosce, tra le molte attività quotidiane, quelle che diventeranno ricordi a lungo termine. Le “contrassegna” con improvvise e potenti onde cerebrali ad alta frequenza, che vengono poi attivate in momenti successivi di riposo e durante il sonno. Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricerca della New York University, guidato dall’influente neuroscienziato ungherese György Buzsáki, che si occupa da oltre trent’anni di studi sull’ippocampo, una delle aree del cervello responsabili della memoria.

Le onde cerebrali sono oscillazioni di vario tipo prodotte dall’attività elettrica del tessuto nervoso nel sistema nervoso centrale, di solito rappresentate attraverso tracciati ottenuti tramite l’elettroencefalogramma poligrafico, che possono anche essere convertite in suoni (e persino in composizioni). Il tipo particolare di attività cerebrale studiato da Buzsáki e da altri è detto «increspature delle onde acute» (sharp wave ripples, SWR), secondo una definizione data alla fine degli anni Settanta dal neuroscienziato inglese e premio Nobel John O’Keefe, che le aveva osservate mentre studiava la memoria spaziale dei ratti.

Le increspature delle onde acute sono generate dall’attivazione di molte migliaia di neuroni in pochi millisecondi: si verificano principalmente durante il sonno, ma anche in stato di veglia, quando il cervello riposa tra un’attività e un’altra. Che fossero coinvolte nel consolidamento e nella conservazione dei ricordi era noto da precedenti studi del gruppo di Buzsáki e di altri gruppi. Quello pubblicato a marzo su Science è però il primo studio a suggerire che queste specifiche oscillazioni siano coinvolte anche nel processo di selezione delle esperienze da fissare nella memoria a lungo termine.

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Per condurre lo studio il gruppo di ricerca guidato da Buzsáki ha impiantato degli elettrodi nell’ippocampo di un gruppo di topi in laboratorio, in modo da registrare le loro onde cerebrali mentre completavano una serie di percorsi in un labirinto, intervallati da pause indotte nella loro attività esplorativa (uno zuccherino diluito in una soluzione). Di ciascun individuo hanno registrato l’attività cerebrale di diverse centinaia di neuroni simultaneamente. Sebbene le increspature delle onde acute dell’ippocampo siano uno degli eventi cerebrali più simultanei in assoluto tra quelli osservati nel cervello dei mammiferi, i neuroni che le generano non si attivano tutti nello stesso momento ma in sequenza.

Per provare a capire il funzionamento di queste particolari oscillazioni è utile immaginare «una melodia al pianoforte», ha detto a Quanta Magazine Daniel Bendor, un neuroscienziato della University College London non coinvolto nello studio del gruppo di Buzsáki. Una sequenza specifica di neuroni si attiva per registrare un’esperienza, più o meno come un pianista batte i tasti della tastiera in un certo ordine. Poi, durante il sonno, il cervello ripete quella sequenza ma più velocemente, centinaia o migliaia di volte. E le increspature delle onde acute si propagano dall’ippocampo, che è una specie di stazione di passaggio per i ricordi episodici di particolari esperienze, verso la corteccia, che è coinvolta nella memoria a lungo termine.

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Il gruppo di ricerca guidato da Buzsáki ha scoperto che ogni sequenza, cioè ogni ordine specifico di attivazione dei neuroni, «codificava» una particolare sezione del labirinto attraversata dai topi. E ha scoperto che i neuroni si attivavano poi secondo la stessa sequenza ma a velocità maggiore in momenti in cui i topi riposavano tra un’attività e un’altra, e mentre dormivano.

I percorsi compiuti dai topi nel labirinto e subito seguiti da 5-20 increspature delle onde acute, durante la momentanea inattività indotta, erano quelli che venivano riprodotti di più anche durante il sonno, attraverso serie di 2-4mila increspature. Il giorno successivo i topi mostravano di ricordare di più le sezioni di labirinto associati alle increspature, mentre i percorsi seguiti da pochissime o nessuna increspatura – sia durante le pause momentanee che durante il sonno – non erano diventati ricordi duraturi.

Il nuovo studio ha prima di tutto confermato un modello noto da tempo: gli esseri umani e gli altri mammiferi fanno esperienza dell’ambiente per alcuni istanti, poi si fermano, poi riprendono l’esplorazione, poi si fermano ancora, e così via. Dopo aver prestato attenzione a qualcosa, scrivono gli autori e le autrici dello studio, il cervello passa spesso a una modalità di provvisoria rivalutazione «inattiva», sia durante il giorno che nel sonno, in modo da rafforzare le connessioni tra le cellule coinvolte nel processo di memorizzazione.

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Lo studio più recente di Buzsáki e dei suoi colleghi è il primo loro studio a mostrare increspature delle onde acute nella fase di esplorazione attiva, suggerendo l’ipotesi che siano parte di un meccanismo innato e inconscio di «etichettatura» delle esperienze con schemi neuronali che si attivano poi in un secondo momento. «Molte parti della nostra esperienza di veglia vengono ritagliate e legate insieme ad altre esperienze utilizzando questo schema nell’ippocampo», ha detto Buzsáki a Discover Magazine.

È come se il cervello avesse due diverse modalità: una di acquisizione e una di archiviazione. Non è del tutto a riposo quando siamo inattivi, perché rielabora ciò che è stato «contrassegnato» durante l’attività. «Le increspature delle onde acute si verificano quando non siamo attenti, ma sono importanti quanto lo è la modalità attiva», ha detto Buzsáki. Ed è questa la ragione per cui le pause sono necessarie per il funzionamento del cervello e della memoria, come mostrano da tempo diversi studi, anche molto recenti, sugli effetti della privazione del sonno su vari processi neurofisiologici e sui comportamenti.

Non è chiaro come né perché questo sistema si sia evoluto nei mammiferi, ha detto la ricercatrice Wannan Yang, coautrice dello studio, in un comunicato stampa diffuso dal centro ospedaliero universitario della New York University. «Future ricerche potrebbero tuttavia mostrare che dispositivi o terapie in grado di regolare le increspature delle onde acute possono migliorare la memoria o addirittura ridurre il ricordo di eventi traumatici», ha aggiunto Yang. Interrompere le increspature potrebbe diventare, per esempio, parte di un trattamento per condizioni come il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), in cui le persone ricordano determinate esperienze in modo troppo vivido.

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Lo studio pubblicato a marzo su Science ha fornito informazioni rilevanti sugli schemi di attivazione neuronale attraverso cui il cervello, non soltanto durante il sonno ma anche durante le pause, rafforza il ricordo di determinate esperienze. Lascia tuttavia inevasa la domanda sul perché alcune esperienze siano conservate e altre no. A volte le esperienze che ricordiamo sembrano del tutto casuali o irrilevanti, e comunque diverse da ciò che selezioneremmo se potessimo scegliere, perché è come se il cervello stabilisse priorità diverse, ha detto a Quanta Magazine Loren Frank, neuroscienziato della University of California.

Dal momento che le esperienze nuove e quelle di grande impatto emotivo tendono a essere ricordate meglio, secondo Frank è possibile che siano le oscillazioni interne dei livelli di determinati neuromodulatori e neurotrasmettitori, come la dopamina o l’adrenalina, a influenzare i neuroni responsabili della selezione delle esperienze da ricordare.