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  • Domenica 28 luglio 2024

In Bangladesh la repressione delle proteste non è finita

Il governo ha ripristinato l’accesso a internet, ma restano bloccati i social network e tre leader degli studenti sono stati presi in custodia mentre erano in ospedale

I parenti di alcuni manifestanti arrestati davanti al mezzo della polizia su cui sono stati caricati, a Dhaka il 27 luglio
I parenti di alcuni manifestanti arrestati davanti al mezzo della polizia su cui sono stati caricati, a Dacca il 27 luglio (EPA/MONIRUL ALAM)
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Domenica in Bangladesh le autorità hanno ripristinato i servizi di connessione internet che avevano bloccato dieci giorni fa e che mercoledì avevano parzialmente iniziato a reintrodurre. Il governo ha però ordinato agli operatori di mantenere inaccessibili i social network, usati tra le altre cose per coordinare le grandi proteste che sono nate contro il sistema di quote nell’assegnazione degli incarichi pubblici ma non si sono fermate quando una settimana fa la Corte Suprema del paese ha modificato il sistema contestato.

Le proteste sono continuate, sono diventate più generalmente antigovernative e si sono allargate ad altre fasce della popolazione oltre a quella degli studenti universitari che avevano guidato la prima fase. Negli ultimi giorni il governo di Sheikh Hasina, prima ministra da 15 anni, ha attenuato alcune misure di sicurezza, ma non le ha cancellate: anche se ridotto, nel paese resta un coprifuoco dalle 17 alle 10 e le autorità hanno dispiegato 27mila soldati. La risposta di Hasina era stata da subito una repressione dura: le forze dell’ordine hanno disperso con violenza le proteste e negli scontri sono morti oltre 200 manifestanti.

Venerdì tre dei leader delle proteste studentesche, che si trovavano in un ospedale della capitale Dacca per curare le ferite inflitte dalla polizia, sono stati presi in custodia dalle autorità. Tra loro c’è Nahid Islam, uno dei principali organizzatori del movimento studentesco. I tre sono stati portati via da agenti in borghese: il governo non ha confermato di averli arrestati e ha sostenuto che si trattasse di una misura a tutela della loro incolumità. La versione governativa è comunque poco credibile, considerato quello che sta succedendo da giorni in Bangladesh.

Venerdì il ministro dell’Interno, Asaduzzaman Khan, ha detto ai giornalisti che prima di un’eventuale incriminazione i tre sarebbero stati interrogati. Questo interrogatorio, però, sempre secondo Khan, serve anche a capire come proteggere i tre da presunte minacce che loro stessi avrebbero riferito alle autorità. È una ricostruzione che è stata ritenuta poco convincente dai media internazionali.

«Questa follia deve finire», ha detto l’incaricata speciale dell’ONU per i diritti umani, Mary Lawlor, commentando la notizia. La versione del governo è ritenuta falsa anche dal movimento studentesco: «Penso che stiano mentendo. Il governo del Bangladesh, la prima ministra, stanno mentendo spudoratamente ai media internazionali», ha detto l’attivista Prapti Taposhi a Deutsche Welle.

Secondo Taposhi, la presa in custodia di Islam e degli altri due (Abu Bakar Mazumdar e Asif Mahmud) fa parte delle intimidazioni del governo ai manifestanti: «Gli studenti vivono nella paura più completa ora che i nostri tre coordinatori, tre studenti normali che erano in strada a protestare, sono stati portati via», ha detto sempre Taposhi. Un altro leader studentesco, Asif Mahmud, ha detto a Reuters di essere stato arrestato dalle autorità per quattro giorni prima di essere liberato.

Domenica scorsa la Corte Suprema del paese ha respinto la decisione di un altro tribunale che a giugno aveva ripristinato il sistema delle quote per gli impieghi pubblici, stabilendo che il 30 per cento dei posti di lavoro, molto ambiti perché ben compensati e stabili, spettava ai familiari dei reduci della guerra di indipendenza dal Pakistan del 1971. Ora solo il 5 per cento sarà riservato a queste persone e un altro 2 per cento sarà riservato ad altre categorie.

Dopo la sentenza le proteste non sono finite. I coordinamenti studenteschi le hanno sospese solo dopo l’ondata di repressione e 4mila arresti da parte delle forze dell’ordine. I movimenti contestano ad Hasina, che a gennaio ha ottenuto il quarto mandato consecutivo, una gestione del potere sempre più autoritaria.

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