Il senso del viaggio di Giorgia Meloni in Cina

Serve soprattutto a rilanciare le relazioni commerciali, e a mitigare le conseguenze diplomatiche dell'uscita dell'Italia dalla “Via della Seta”

Giorgia Meloni durante l'incontro con il primo ministro cinese Li Qiang (EPA/FILIPPO ATTILI/CHIGI PALACE)
Giorgia Meloni durante l'incontro con il primo ministro cinese Li Qiang (EPA/FILIPPO ATTILI/CHIGI PALACE)
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Da domenica 28 a mercoledì 31 luglio Giorgia Meloni è impegnata in una missione diplomatica in Cina. La parte più lunga e importante della visita è prevista a Pechino, dove la presidente del Consiglio ha incontrato il primo ministro Li Qiang. I prossimi incontri li avrà con il presidente Xi Jinping e il presidente dell’Assemblea del popolo (il parlamento) Zhao Leji, uno dei più importanti dirigenti del Partito comunista cinese. Meloni si sposterà poi a Shanghai, dove avrà dei colloqui con Chen Jining, ambizioso segretario del Partito comunista di Shanghai e funzionario molto vicino allo stesso Xi.

È la prima visita di un capo di governo italiano in Cina dall’aprile del 2019, quando era stato Giuseppe Conte ad andare a Pechino per partecipare a un forum internazionale sulla cosiddetta “Via della Seta”, il progetto di espansione commerciale e politica che da anni il regime di Xi porta avanti attraverso accordi con vari paesi del mondo. Proprio gli sviluppi di quel progetto aiutano a comprendere le ragioni del viaggio di Meloni: che se da un lato è stata piuttosto determinata nel prendere le distanze dalla Cina su alcune importanti questioni, dall’altro non vuole rischiare di compromettere le relazioni commerciali tra Cina e Italia, fondamentali per molte imprese italiane.

Nel marzo del 2019 il primo governo Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle, prese la clamorosa decisione di aderire alla Via della Seta, firmando un memorandum d’intesa commerciale che aveva però anche un notevole significato diplomatico. L’Italia fu l’unico paese del G7, nonché l’unico dei paesi fondatori dell’Unione Europea – e in quel momento l’unico dell’Europa occidentale oltre al Portogallo – a farlo. La scelta fu aspramente contestata dai diplomatici americani ed europei, che vedevano in quel progetto dalla natura apparentemente commerciale un tentativo cinese di espandere la propria influenza politica in Occidente. Vari esponenti del Movimento non nascosero la loro intenzione di utilizzare quel memorandum per garantire all’Italia una sponda finanziaria e commerciale in Cina, in un momento in cui il governo populista e sovranista di Conte era piuttosto isolato in Europa.

Giuseppe Conte insieme a Xi Jinping durante la cerimonia per la firma della Via della Seta a Villa Madama, a Roma, il 23 marzo 2019 (Filippo Attili/ANSA)

Col passare degli anni, quell’accordo ha dimostrato sempre più i suoi limiti. Gli obiettivi di incremento delle esportazioni italiane in Cina, che erano uno degli scopi dichiarati dal governo, sono stati mancati e di molto; al contrario, sono aumentate considerevolmente le esportazioni cinesi in Italia. Se non è servito da un punto di vista commerciale, è invece valso a rendere l’Italia meno affidabile sul piano diplomatico per gli alleati occidentali. E anche per questo, proseguendo sulla strada già avviata da Mario Draghi, Meloni ha deciso nel dicembre scorso di uscire dall’accordo che aveva validità quinquennale, e che si sarebbe rinnovato automaticamente nel marzo del 2024 se lei non avesse deciso di disdirlo.

La decisione di Meloni è stata senz’altro dettata da un desiderio di allineare nuovamente la politica estera dell’Italia con quella degli altri paesi del G7, assecondando in particolare le pressioni del governo statunitense, che continua a ritenere la Cina l’avversario più pericoloso in ambito economico e diplomatico. Ma uscire dalla Via della Seta, dando dunque un dispiacere al regime di Xi, è stata una mossa delicata soprattutto perché si temeva, e si teme tuttora, che Xi possa voler reagire con ritorsioni commerciali: riducendo, cioè, gli scambi con l’Italia, e rendendo difficile, o impedendo, alle imprese italiane di lavorare e fare affari lì.

Per questo, prima di annunciare la decisione di non rinnovare il memorandum d’intesa, Meloni si era premurata di rilanciare il “Partenariato strategico globale”, un forum commerciale inaugurato dal governo di Silvio Berlusconi nel 2004 proprio per agevolare le relazioni commerciali tra Italia e Cina: era un modo, per Meloni, di ribadire la volontà di non compromettere le relazioni tra i due paesi nonostante la decisione di uscire dalla Via della Seta.

Lo scopo del viaggio, dichiarato dai suoi stessi collaboratori, va nella stessa direzione: rilanciare il rapporto bilaterale nei settori commerciali di comune interesse, con la probabile firma di accordi industriali nel settore automobilistico. L’interscambio commerciale tra Italia e Cina nel 2023, secondo i dati citati dal governo italiano, è stato di 66,8 miliardi di euro, e questo fa della Cina il secondo partner commerciale extra-europeo per l’Italia dopo gli Stati Uniti. Inoltre, in Cina operano oltre 1.600 aziende italiane, perlopiù nel settore del tessile, della meccanica, della farmaceutica, dell’energia e dell’industria pesante; il volume degli investimenti esteri diretti, cioè il volume di quote di capitale di aziende cinesi detenuti da soggetti italiani, è di circa 15 miliardi di euro.

Meloni parlerà con Xi e Li soprattutto di questo, partecipando a eventi simbolici e dando risalto alle ricorrenze del caso, come si usa. Insieme al primo ministro, Meloni inaugurerà il Business Forum Italia-Cina, che sarà un po’ un modo di potenziare il Partenariato strategico vent’anni dopo la sua fondazione. In varie circostanze, poi, verrà ricordato l’esploratore e mercante veneziano Marco Polo, che sul finire del XIII secolo compì un lungo viaggio verso est fino ad arrivare in Cina, di cui ricorre il settimo centenario dalla morte. Meloni inaugurerà insieme al ministro della Cultura Sun Yeli una mostra al World Art Museum di Pechino dedicata a lui.

Oltre alle questioni più strettamente commerciali, un altro tema su cui si concentreranno i colloqui sarà la guerra in Ucraina. Mantenendo un atteggiamento ambiguo e una sorta di neutralità di facciata, ed essendo di fatto il principale alleato della Russia, la Cina ha un ruolo determinante. Nelle ultime settimane, tuttavia, si è intravista una qualche volontà del regime di Xi di favorire una soluzione: il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, è stato ricevuto a Guangzhou dal suo omologo cinese Wang Yi, e forse per la prima volta la Cina è sembrata intenzionata a propiziare un dialogo tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello russo Vladimir Putin. L’Italia ha un peso sicuramente inferiore, nei negoziati. Ma Meloni, che detiene la presidenza di turno del G7 quest’anno, si è spesa molto in favore della resistenza ucraina, e vorrebbe provare a capire le reali intenzioni di Xi sulla guerra.

Xi e Meloni a colloquio durante i lavori del G20 a Bali, il 25 novembre del 2022 (Sean Kilpatrick/ZUMA Press)

Come sempre succede quando si fanno missioni diplomatiche in Cina, sarà una visita molto delicata. L’atteggiamento dei funzionari cinesi con i leader occidentali è sempre ambiguo e vagamente minaccioso. La Cina ha interessi a tenere relazioni con i paesi europei, ma al tempo stesso li considera propri avversari in quanto alleati degli Stati Uniti; in maniera un po’ analoga, gli europei sanno che le opportunità offerte dal mercato cinese sono irrinunciabili, ma sono anche estremamente cauti nelle relazioni con i leader cinesi.

Giulia Pompili ha raccontato sul Foglio come i componenti della delegazione italiana siano stati invitati dai dirigenti dell’intelligence italiana a non portare con sé i propri dispositivi elettronici abituali, e utilizzare invece altri telefoni solo per l’occasione, con schede sim alternative, per ragioni di sicurezza. Oltre a questo, l’intelligence ha suggerito a Meloni e ai suoi collaboratori di strappare documenti, non lasciare appunti scritti nelle stanze di hotel o in altri luoghi in cui potrebbero essere recuperati.

Non è una raccomandazione banale, peraltro, visti i precedenti. Nel novembre del 2022, durante il G20 a Bali, in Indonesia, Meloni ebbe un colloquio piuttosto teso con Xi. All’inizio era sembrato che Xi volesse evitare Meloni – le sue posizioni ostili alla Via della Seta erano note già allora – poi aveva concesso all’ultimo minuto un colloquio a tarda sera. Nel trambusto che accompagnò quell’incontro, la delegazione di Meloni lasciò incustodito un foglio con alcuni appunti su un accordo tra il regime cinese e l’azienda italo-francese ATR per l’acquisto di 250 velivoli prodotti nello stabilimento campano di Pomigliano d’Arco, e a quel punto lo staff della presidenza del Consiglio aveva dovuto dare spiegazioni sull’intesa.