Maduro perderà le elezioni in Venezuela?
I sondaggi indipendenti danno l'opposizione avanti con un enorme distacco, ma il regime ha molti modi per rimanere al potere e diversi li ha già usati
Secondo tutti i sondaggi, se le elezioni presidenziali di domenica in Venezuela fossero libere il presidente Nicolás Maduro le perderebbe con un enorme distacco a favore della coalizione dell’opposizione unita. Ma il regime di Maduro, che governa il paese con metodi autoritari dal 2013, è noto per i brogli elettorali e in questi mesi ha fatto di tutto per cercare di ostacolare la campagna dell’opposizione: per questo non è ancora chiaro come andrà il voto, e molti sospettano che il regime possa attuare misure drastiche per influenzare il risultato, anche all’ultimo momento.
Le elezioni in Venezuela di quest’anno sono contese tra due forze politiche principali: da un lato il Gran Polo Patriottico, la coalizione che sostiene il presidente Maduro; dall’altro la Piattaforma Unitaria Democratica (PUD), un’ampia coalizione che va dal centrodestra al centrosinistra e che unisce quasi tutti i partiti dell’opposizione, più associazioni e sindacati, e il cui candidato è l’ex ambasciatore Edmundo González. I sondaggi indipendenti danno il PUD avanti di oltre 20 punti su Maduro, che da anni è estremamente impopolare e mantiene il potere grazie a metodi autoritari, alla repressione del dissenso e ai brogli elettorali.
Il Venezuela arriva alle elezioni in condizioni piuttosto critiche. Da oltre un decennio il paese sta affrontando una crisi economica devastante, provocata dal calo del prezzo del petrolio (di cui era un grande esportatore, e di cui possiede le più grandi riserve al mondo), dalle sanzioni internazionali e dalla corruzione e cattiva gestione del regime di Maduro, tra le altre cose. Secondo alcuni economisti, il crollo economico del Venezuela è il più grave della storia recente per un paese che non abbia subìto una guerra.
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La povertà è aumentata a livelli preoccupanti, l’inflazione ha raggiunto picchi del 65.000 per cento (davvero) e 7,7 milioni di persone, circa un quarto della popolazione, sono stati costretti a emigrare nei paesi circostanti a causa della fame e delle condizioni economiche impossibili, provocando un’enorme crisi migratoria in buona parte dell’America Latina. Secondo i sondaggi, un altro quarto della popolazione è pronto a fuggire dal paese, soprattutto nel caso in cui Maduro dovesse rimanere al governo.
Queste condizioni disperate hanno reso il regime di Maduro estremamente impopolare: ormai da anni i sondaggi mostrano che la maggioranza dei venezuelani vorrebbe un altro governo. Ma Maduro, che è salito al potere dopo la morte nel 2013 di Hugo Chávez, il fondatore dello stato socialista venezuelano, rimane saldo al potere grazie alla repressione dell’opposizione e a espedienti non democratici.
Maduro, negli ultimi anni, ha resistito a enormi manifestazioni di piazza, al tentativo del giovane leader democratico Juan Guaidó di creare un governo parallelo, ad anni di dure sanzioni economiche degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Lo ha fatto anche con la violenza: dal 2013 a oggi circa 270 persone sono state uccise durante manifestazioni contro il regime, secondo una ong locale.
In queste circostanze, le elezioni di domenica hanno rappresentato un momento di speranza per molti venezuelani contrari al regime. Le elezioni sono state indette lo scorso ottobre a seguito di un lungo negoziato tra il governo e l’opposizione, con il contributo degli Stati Uniti. Venezuela e Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche dal 2019, ma nonostante questo negli scorsi anni l’amministrazione americana di Joe Biden ha lavorato intensamente per trovare un accordo capace di stabilizzare la situazione nel paese. A ottobre il regime promise che avrebbe indetto nuove elezioni libere, e in cambio gli Stati Uniti acconsentirono a eliminare buona parte delle sanzioni, e a sbloccare parte dei fondi venezuelani congelati all’estero.
Nel giro di poco tempo, però, il regime di Maduro si è rimangiato le promesse. Ha dapprima impedito la candidatura della leader dell’opposizione, la popolarissima María Corina Machado, usando come scusa accuse giudiziarie ritenute infondate. Ha inoltre rifiutato la candidatura di decine di altri attivisti e politici dell’opposizione, molti dei quali sono anche finiti in prigione, e ha infine impedito l’accesso al paese agli enti indipendenti di controllo delle elezioni (per esempio quelli dell’Unione Europea, che contribuiscono a verificare la legalità di molte elezioni nel mondo). Attualmente le elezioni in Venezuela saranno monitorate da un solo ente esterno, l’ong americana Carter Center, quella fondata dall’ex presidente Jimmy Carter. Davanti a queste misure oppressive, gli Stati Uniti hanno ripristinato le sanzioni contro il Venezuela.
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Nonostante questo, le elezioni sono rimaste fissate per il 28 luglio. L’opposizione, non potendo candidare María Corina Machado, ha selezionato un nuovo leader, il 74enne Edmundo González, che pur non essendo particolarmente noto ha goduto della popolarità di Machado. Non solo: González è un moderato che ha ammorbidito e reso più accettabile l’immagine pubblica dell’opposizione agli occhi di alcuni elettori preoccupati per le posizioni politiche conservatrici di Machado, che è un’ex imprenditrice ed è considerata di destra, almeno per gli standard venezuelani.
Machado ha posizioni abbastanza progressiste sui diritti civili (è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso e alla legalizzazione della cannabis per scopi medici), ma in economia è favorevole a privatizzazioni e politiche liberiste.
Durante la campagna elettorale è stata tuttavia Machado, e non il candidato González, la vera rappresentante dell’opposizione: ha viaggiato per tutto il paese, attirando ogni volta grande entusiasmo ed enormi folle di sostenitori. Ha anche resistito alla repressione del governo, che ha fatto di tutto per renderle difficile la campagna elettorale: tra le altre cose le ha tolto la scorta che la proteggeva e ha usato il potere dello stato per intimidire non soltanto i suoi sostenitori, ma chiunque avesse a che fare con lei. È diventato famoso il caso di un ristorante di empanadas che ha ricevuto un’ispezione fiscale e una multa mezz’ora dopo che Machado ci aveva fatto colazione.
Il regime inoltre sta adottando varie tecniche per cercare di ridurre l’affluenza alle elezioni (cosa che danneggerebbe l’opposizione) e scoraggiare i venezuelani ad andare a votare. Tra le altre cose ha invalidato le tessere elettorali di milioni di venezuelani che vivono all’estero: di 3,5 milioni di persone che avrebbero diritto di votare, soltanto 69mila hanno ricevuto i documenti per farlo. Ha poi adottato vari espedienti per confondere le idee agli elettori: di recente ha cambiato il nome di oltre 6.000 scuole pubbliche usate come seggi elettorali e creato una scheda elettorale in cui la faccia di Maduro è sulla maggioranza delle caselle.
Se questi espedienti non dovessero funzionare, Maduro potrebbe decidere di rendere illegale qualche partito dell’opposizione, o perfino di ricorrere ai brogli. È quello che successe nel 2017, quando la società che gestiva le macchine per il voto elettronico nelle elezioni per il rinnovo dell’assemblea costituzionale disse che il voto era stato manomesso «senza alcun dubbio». L’opposizione ha tuttavia organizzato sistemi di monitoraggio del voto, e sostiene che oggi i brogli siano più difficili.
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Maduro ha necessità di rimanere al governo non soltanto per una questione di potere, ma anche di salvaguardia personale: il presidente venezuelano è indagato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità a seguito della violenta repressione delle proteste del 2017, ed è indagato negli Stati Uniti per accuse legate al traffico di droga. Anche per questo si ritiene che in caso di vittoria dell’opposizione l’unico modo per convincere Maduro ad abbandonare la presidenza sarebbe tramite un accordo che gli conceda l’immunità da ogni indagine giudiziaria. Non è detto però che il presidente venezuelano acconsentirebbe.