Gli enormi concerti di Travis Scott, spiegati

Il rapper americano più amato dai ragazzi italiani della Gen Z ha suonato a Milano davanti a 70mila persone, che per molti aspetti ricordavano il pubblico di un concerto punk

Una ripresa dall'alto del concerto di Travis Scott all'Ippodromo La Maura di Milano, 23 luglio 2024
Una ripresa dall'alto del concerto di Travis Scott all'Ippodromo La Maura di Milano, 23 luglio 2024
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Martedì sera 70mila persone, specialmente ragazzi e ragazze adolescenti o poco più che ventenni, hanno assistito al concerto del rapper statunitense Travis Scott all’Ippodromo La Maura di Milano. Come accade da un paio d’anni a questa parte, lo spettacolo di Scott ha generato un entusiasmo enorme ed è stato scandito da diversi momenti di grande eccitazione collettiva, testimoniati da decine di video pubblicati sui social in cui si vede gente che fa cose piuttosto irrituali per un concerto rap, come saltare, pogare (ossia spintonarsi) e cantare all’unisono i ritornelli delle canzoni, comportamenti che vengono solitamente associati al pubblico tipico di altre scene musicali, come l’hardcore punk o il rock.

Non è la prima volta che un concerto di Scott suscita reazioni di questo tipo: era già accaduto lo scorso anno durante il suo concerto al Circo Massimo di Roma, quando diverse persone sui social network avevano pensato fosse in corso un terremoto a causa del movimento di migliaia di persone che ballavano.

Il successo che Scott ha ottenuto in Italia è notevole, e per certi versi spiazzante. È riuscito a catalizzare una grande attenzione in un paese in cui i rapper americani, anche quelli con uno status mitico come Kanye West e Kendrick Lamar, hanno storicamente faticato a intercettare i gusti del pubblico generalista. Un altro aspetto che risalta spesso quando si parla di Scott è l’età media del pubblico che assiste ai suoi concerti, che è composto in larghissima parte da persone appartenenti alla cosiddetta Gen Z (le persone nate tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Dieci del Duemila).

Scott, che si chiama Jacques B. Webster, ha 33 anni ed è uno dei rapper più influenti e talentuosi della sua generazione. È nato a Houston, in Texas, e si era fatto notare iniziando a collaborare con il rapper Kanye West nel 2012, ottenendo un primo successo tre anni dopo con il suo album di debutto, Rodeo, a cui parteciparono musicisti di grosso calibro che è difficile trovare nel disco di un esordiente, come The Weeknd, Justin Bieber, Pharrell Williams e lo stesso West.

Anche se è solitamente associato alla trap, un sottogenere dell’hip hop caratterizzato da linee vocali melodiche e da un copioso utilizzo dell’Auto-Tune, Scott tende a ibridare nella sua musica stili diversi, come il rock psichedelico, il lo fi e l’ambient. Al di là della peculiarità della sua proposta musicale, negli anni Scott si è affermato soprattutto grazie a una certa attitudine “punk” dei suoi concerti, caratterizzati da una marea di gente che salta e si ammassa per spintonarsi (mosh pit), o ancora si fa portare in giro sopra le teste delle persone (crowd surfing).

Negli ultimi anni, questa sua propensione a organizzare live energici, coinvolgenti e spettacolari è stata ampiamente discussa e commentata dalla stampa statunitense. Nel 2018 Rolling Stone definì il suo tour internazionale – chiamato Astroworld, come il disco che uscì nello stesso anno – «lo spettacolo più grande del mondo». Il Washington Post lo descrisse come «uno dei performer più entusiasmanti dei nostri tempi», «un maestro nel dirigere il caos».

Poi però nel novembre del 2021 durante un suo concerto a Houston morirono 8 ragazzi tra i 14 e i 27 anni e alcune centinaia di persone rimasero ferite nella calca. Alcune di loro fecero causa sia a Scott che alle società che avevano organizzato il concerto, sostenendo che non fosse stato fatto abbastanza per garantire la loro sicurezza. Manuel Souza, una tra le persone rimaste ferite, disse che in quell’occasione Scott e gli organizzatori avevano «deliberatamente ignorato i seri pericoli per i partecipanti» e, in alcuni casi, «fomentato comportamenti pericolosi».

Il problema della violenza del pogo e del mosh (cioè un pogo più estremo e irruento) è sempre esistito, e anche ai tempi d’oro del punk hardcore succedeva che qualcuno potesse farsi molto male nei concerti più aggressivi. In passato però era anche più comune di oggi che tra appassionati fossero condivise delle regole di comportamento – non sempre rispettate – per evitare che la situazione degenerasse, che servivano a conciliare la voglia di sfogarsi del pubblico con la necessità di evitare incidenti gravi. Un’altra grossa differenza rispetto a quello che succedeva ai concerti di punk hardcore è poi che ai concerti di Travis Scott, come in generale a quelli più frequentati dalla Generazione Z, ci sono sempre un sacco di smartphone alzati.

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Secondo il giornalista di Rolling Stone Mattia Barro, la particolare caratterizzazione che Scott dà alle sue esibizioni, che per molti aspetti ricordano un concerto punk più che un raduno hip hop, è uno dei motivi del suo successo. «Per anni i concerti rap sono stati noiosi: per coinvolgere il pubblico i musicisti ricorrevano ai soliti cliché, come chiedere al pubblico di alzare le mani. Scott invece crea un’atmosfera differente, più esaltante e radicale».

Concorda anche Tommaso Naccari, giornalista specializzato in musica e cultura hip hop, secondo cui Scott «ha abituato a certi stilemi estetici e comportamentali tipici del rock un pubblico giovanissimo che, per motivi anagrafici, non li aveva mai conosciuti, come il pogo o suonare la stessa canzone 9 volte [a Milano, Scott lo ha fatto con “Fe!n”]».

Naccari paragona i concerti di Scott a «una specie di rage room», quelle stanze insonorizzate in cui una persona o piccoli gruppi di persone possono spaccare stampanti, ammaccare lavatrici e colpire bottiglie con mazze da baseball, grossi martelli o sbarre di metallo. «Oggi la musica non viene più veicolata dai generi, ma da playlist che tentano di assecondare un certo mood: Scott incarna alla perfezione la voglia di scatenarsi e divertirsi senza curarsi troppo delle regole».

Oltre che per lo stile dei suoi concerti, l’enorme successo che Scott ha avuto in Italia è stato favorito da una congiuntura temporale favorevole. «È stato il primo, grande musicista internazionale e affine ai gusti della Gen Z a esibirsi in Italia dopo la fine della pandemia, e di conseguenza è stato associato al bisogno di partecipare ai concerti dopo un lungo periodo di compressione della socialità e degli eventi: era stato messo un tappo alle esibizioni dal vivo, e quando è stato tolto c’era lui», dice Naccari.

Il concerto dello scorso anno al Circo Massimo di Roma ha aperto il tour di promozione dell’ultimo album di Scott, Utopia, che è in corso tuttora e che si chiama per l’appunto Utopia – Circus Maximus Tour. «Era un disco attesissimo, e il fatto che abbia scelto di cominciare il tour a Roma ha sicuramente contribuito ad aumentare l’affetto del pubblico italiano nei suoi confronti», dice Naccari.

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Secondo Barro, un altro motivo del successo di Scott è il suo status di musicista generazionale. «È il rapper della Gen Z per antonomasia, e ha saputo mettere a profitto prima di altri i consumi culturali tipici di quella generazione». Barro cita per esempio il concerto virtuale del 2020, quando Scott si esibì all’interno del videogioco Fortnitecoinvolgendo 28 milioni di spettatori. «Operazioni del genere comportano dei benefici enormi a livello di posizionamento, e in questo senso lui è stato un precursore», dice.

Sia Barro che Naccari concordano sul fatto che la popolarità di Scott dipenda anche dal grande sentimento di adesione che è in grado di generare nel pubblico, nel senso che, quando le persone partecipano a un suo concerto, è un po’ come se aderissero a una specie di sottocultura con dei codici tutti suoi. Per esempio, dice Barro, il fatto che spesso durante un concerto di Scott molte persone avvertano segnali simili a quelli di un terremoto non è casuale. «Per i fan di Scott, scatenarsi il più possibile durante i concerti è un vanto: sono quelli che riescono a fare così tanto casino da ricordare un terremoto, ed è un modo per partecipare a un sentimento comune».

«In questi giorni ho letto su Twitter una cosa che mi ha fatto molto ridere», racconta Naccari. «Un utente scriveva che, per i maschi della Gen Z, Scott incarna qualcosa di simile a ciò che Taylor Swift rappresenta per le femmine della Gen Z. E secondo me è un po’ così: hanno attecchito entrambi su un pubblico che non aveva nessun tipo di conoscenza di cosa fosse un live». Secondo Naccari, concerti come quelli di Scott e Swift sono più simili a «raduni in cui persone che condividono gli stessi gusti estetici e culturali possono incontrarsi e riconoscersi nei riti di un’esperienza collettiva, come saltare insieme sul ritornello di una canzone, cantare a squarciagola o pogare».

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