Quali sono i mari più pericolosi del mondo

Navigare per il canale di Drake o per il mare del Nord, anche se più sicuro rispetto a una volta, richiede ancora cautele e attenzioni necessarie da secoli

Una serie di onde ravvicinate
Le onde del mare del Nord viste da una spiaggia a Zandvoort, nei Paesi Bassi (Karol Serewis/Ansa/Zuma)
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Nel giugno del 1834 il veliero inglese Beagle, guidato dal comandante Robert Fitzroy, navigava tra le acque oceaniche della Terra del Fuoco, lungo l’estremità meridionale del Sudamerica, in una delle spedizioni più famose della storia. Stupito dalla violenza delle onde contro le scogliere, il giovane naturalista di bordo, il venticinquenne Charles Darwin, scrisse: «La vista di una simile costa basterebbe a procurare a un uomo non pratico del mare incubi di naufragi, pericoli e morte per una settimana».

Centonovanta anni dopo la spedizione di Darwin, nonostante lo sviluppo di mezzi e strumenti di navigazione molto più efficienti, le acque intorno all’arcipelago della Terra del Fuoco e il canale di Drake, a sud di capo Horn, tra il Sudamerica e l’Antartide, sono ancora considerate tra i mari più pericolosi del mondo. Pubblicate periodicamente sia dai siti generalisti che di settore, le liste dei mari pericolosi sono di solito piuttosto varie perché tengono conto di diversi fattori, come il maggior rischio di subire attacchi di pirateria o di finire dispersi in caso di naufragio. Ma le liste in cui il canale di Drake non manca quasi mai sono quelle relative alla violenza delle correnti e delle onde, che rendono la navigazione a volte complicata anche per i marinai più esperti.

Gli altri mari citati più spesso in questo raggruppamento oltre al canale di Drake e alle acque al largo di capo Horn sono il mare del Nord, che separa la Gran Bretagna dalla Scandinavia, e le acque al largo del capo di Buona Speranza, cioè l’estremità sudoccidentale del Sudafrica, interessata dalle stesse correnti oceaniche del canale di Drake. In tempi recenti il racconto della pericolosità di questi mari è passato anche e soprattutto attraverso i molti video condivisi sui social media da passeggeri di navi mercantili e da crociera. Ma indipendentemente dalla suggestività dei filmati ci sono diverse ragioni per cui questi mari sono considerati eccezionali, da millenni.

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Trafficato dalle flotte degli antichi Romani e poi dei Vichinghi e dei paesi nordeuropei della Lega Anseatica, il mare del Nord è oggi sede di molte piattaforme petrolifere e parchi eolici offshore. La navigazione è molto più sicura rispetto al passato – nel mare del Nord come in altri mari – soprattutto per effetto del miglioramento della tecnologia delle previsioni meteorologiche, che permettono di evitare condizioni sfavorevoli. Può però essere ancora insidiosa in alcuni tratti, come spiegato l’anno scorso da un marinaio alla rivista National Geographic.

La scarsa profondità del mare del Nord – mediamente 100 metri, appena 30 nella parte meridionale – fa sì che a volte, durante le tempeste, le onde sollevino la sabbia dal fondale e la scaraventino contro il ponte delle navi, rendendole instabili. Le molte imbarcazioni naufragate nel corso degli anni e rimaste sul fondale sono a loro volta un pericolo per i pescherecci, le cui reti possono rimanervi incagliate. Il rischio è alto in particolare lungo la costa occidentale della penisola dello Jutland, in gran parte territorio della Danimarca e in parte della Germania: è un’area priva di porti naturali in cui poter trovare riparo, anche per questo soprannominata «costa di ferro».

Il mare del Nord è noto tra le altre cose perché è dove fu registrata il 1° gennaio 1995 una delle prime onde anomale di cui esista una traccia rilevata da appositi strumenti di misurazione: l’onda della Draupner. Prese il nome dalla piattaforma petrolifera che, dotata della strumentazione necessaria, misurò l’onda durante una tempesta al largo delle coste norvegesi. In un momento in cui l’altezza media delle onde sul livello del mare era 12 metri, l’onda della Draupner superò un’altezza di 18 metri (25 metri considerando la distanza tra la cresta, cioè il punto più alto dell’onda, e la gola, il punto più basso).

Gli schizzi di un'onda molto alta sovrastano il faro di un porto

Un’onda si infrange sul faro del porto durante una tempesta con raffiche di vento tra 130 e 145 km/h, a Seaham, in Inghilterra, il 27 novembre 2021 (Ian Forsyth/Getty Images)

Più che l’altezza il problema principale delle onde del mare del Nord è la lunghezza: tendono a essere piuttosto corte e a succedersi molto rapidamente. È una condizione che può rendere le navi instabili, anche quando le onde non superano i due metri, ed è una caratteristica ben nota del mare del Nord, disse a National Geographic l’oceanografa Lucy Bricheno, del National Oceanography Centre a Southampton. In parte è una condizione dovuta al fatto che il mare è circondato dalla terraferma su più lati, e quindi le onde non hanno spazio sufficiente per estendersi e raggiungere picchi molto alti.

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Altri mari sono invece tempestosi e pericolosi, anche più del mare del Nord, per il motivo opposto: l’assenza di grandi masse continentali in grado di rallentare o reindirizzare i venti e le correnti. Onde alte da sette a dieci metri sono la norma, per esempio, nei mari che circondano il continente antartico, nell’emisfero australe. Nel 2018 una particolare condizione di bassa pressione e venti molto forti provocò al largo delle isole Campbell, in Nuova Zelanda, l’onda più alta mai registrata nell’emisfero australe: 23,8 metri, più o meno come un palazzo di otto piani.

Uno studio condotto dall’università di Melbourne e pubblicato nel 2019 sulla rivista Science analizzò le tendenze globali nella velocità del vento oceanico e nell’altezza delle onde nel periodo tra il 1985 e il 2018. Scoprì che c’erano stati aumenti in entrambe le quantità, in particolare proprio nei mari intorno al continente antartico. Diverse altre ricerche e osservazioni, disse Bricheno a National Geographic, indicano che le tempeste stanno diventando sempre più violente, indipendentemente dalla loro frequenza, e che potrebbero diventare più dannose che in passato.

I rischi per i naviganti che cercavano di attraversare i mari dell’emisfero australe erano peraltro noti già nel Medioevo, come scritto dallo storico Michael Pye nel libro The edge of the world: a cultural history of the North Sea and the transformation of Europe. «Lungo la costa occidentale dell’Africa, per esempio, c’erano promontori dietro i quali non si poteva andare», scrive Pye, riferendosi a mari che sono attraversati da correnti oceaniche ininterrotte. La cosiddetta “circolazione termoalina”, regolata cioè dalla temperatura e dalla salinità dell’acqua, è uno dei fenomeni responsabili delle grandi correnti oceaniche.

Le correnti intorno al continente antartico

Una rappresentazione schematica semplificata del sistema delle correnti intorno al continente antartico e negli oceani: i tratti blu sono le correnti di acqua profonda, quelli rossi le correnti superficiali (Avsa/Wikimedia)

Il capo di Buona Speranza, un promontorio roccioso vicino all’estremità meridionale dell’Africa, è attraversato da correnti particolari perché è il punto in cui si incontrano gli oceani Atlantico e Indiano. Una corrente marina calda, la corrente di Agulhas, attraversa le coste orientali del Sudafrica mentre una fredda, la corrente del Benguela, si muove lungo le coste occidentali. E questo rende più probabili situazioni pericolose in cui la corrente si muove in una direzione e il vento soffia in un’altra, aumentando il rischio di onde molto alte. Sono peraltro condizioni che possono verificarsi a volte anche nell’oceano Atlantico settentrionale, ha raccontato al sito Atlas Obscura il capitano James Griffiths, che lavora per la compagnia di crociere Scenic.

Alcune delle correnti oceaniche più forti del mondo attraversano infine il canale di Drake, che separa capo Horn in Cile dal continente antartico, e prende il nome da Francis Drake, l’esploratore inglese che attraversò quei mari circa 250 anni prima di Fitzroy e Darwin. A distanza di secoli, nonostante i progressi nella navigazione, le frequenti onde anomale e le tempeste nelle acque antartiche sono ancora causa di incidenti a volte mortali. E anche se la maggior parte delle persone non lo ha mai visto, da qualche tempo il canale di Drake è noto attraverso molti video condivisi dai passeggeri delle navi che lo attraversano.

«È sempre interessante quando vai a cena e mettono dei tappetini adesivi su tutti i tavoli in modo che i piatti e le cose non scivolino via», raccontò a gennaio a National Geographic l’oceanografa inglese Karen Heywood, parte di un gruppo di ricerca a bordo della nave RRS Sir David Attenborough, allora impegnata in un viaggio attraverso il canale di Drake.

Una serie di promontori all'orizzonte, da una prospettiva in mare aperto

Una serie di promontori rocciosi vicino a capo Horn, nell’arcipelago della Terra del Fuoco, in Cile (Arnold Drapkin/Ansa/Zumapress)

La svedese Heidi Norling, capitana della National Geographic Resolution, una nave da crociera per esplorazioni in condizioni estreme, ha spiegato ad Atlas Obscura che le correnti oceaniche nelle acque intorno all’Antartide provocano una combinazione di condizioni insolite. La bassa pressione, il mare alto e i venti molto forti sono la ragione per cui le navi continuano a oscillare ininterrottamente, sia lungo l’asse trasversale (beccheggio) che lungo l’asse longitudinale (rollio). Per ridurre il rischio di gravi danni le navi adatte alla navigazione in questi mari sono quindi dotate di scafi rinforzati e stabilizzatori di grandi dimensioni, che smorzano le oscillazioni.

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Man mano che ci si allontana sempre di più in latitudine verso i poli, aumentano anche le probabilità di incontrare venti più forti e, di conseguenza, onde più alte, ha detto ad Atlas Obscura l’ecologo marino Daniel Wagner, scienziato della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa tra le altre cose di meteorologia. Aumenta anche l’imprevedibilità dei fenomeni, che è a sua volta la causa principale dei naufragi, ha aggiunto Wagner. E se tutto sommato gli incidenti non sono poi così frequenti non è perché la navigazione sia facile, ma perché il traffico in condizioni meteorologiche avverse è previsto in anticipo e tendenzialmente evitato, e il traffico in generale è minore rispetto a quello di altre tratte note e molto frequentate nell’emisfero settentrionale.

Un esempio molto chiaro è una delle porzioni di mare più famigerate al mondo: il triangolo delle Bermude, un’area di circa 1.100.000 chilometri quadrati nell’oceano Atlantico settentrionale, tra l’arcipelago delle Bermude, l’isola di Porto Rico e la punta meridionale della Florida. Nonostante le leggende che fin dagli anni Cinquanta resero popolare il triangolo nella cultura di massa, la maggior parte degli analisti e degli scienziati concorda sul fatto che, tenendo in conto i dati sul traffico sia navale che aereo, la quantità di incidenti nell’area del triangolo non sia statisticamente significativa.

Lettini da spiaggia accatastati in una spiaggia turistica, durante una tempesta

Le onde causate dall’uragano Nicole lungo la costa della Tobacco Bay a Saint George, nelle isole Bermude, il 13 ottobre 2016 (AP/Mark Tatem)