Il caso della donna afroamericana uccisa da un poliziotto chiamato per soccorrerla
Dal video registrato da una bodycam non emerge nessun motivo perché le sparasse: l'agente Sean Grayson è stato accusato di omicidio
La procura di Sangamon, contea dell’Illinois, negli Stati Uniti, ha diffuso un video che mostra l’omicidio di Sonya Massey, una donna afroamericana di 36 anni che il 6 luglio scorso aveva chiamato la polizia per ricevere soccorso ma era stata uccisa da uno dei due agenti accorsi sul posto. Il video è stato molto commentato negli Stati Uniti per via della violenza smisurata da parte dell’agente di polizia, che ha ucciso Massey senza apparente motivo: Massey era peraltro disarmata e non aveva mostrato nessun segno di aggressività.
Di seguito c’è un montaggio di alcuni momenti dell’uccisione di Massey fatto da “Associated Press”: il video per intero, che contiene immagini molto forti, si può vedere qui.
A mezzanotte e cinquanta la donna aveva chiamato il 911, il numero per le emergenze negli Stati Uniti, perché sospettava che qualcuno si fosse introdotto nella sua proprietà a Springfield, nell’Illinois appunto. Nel video, registrato dalla bodycam di uno dei due poliziotti, inizialmente si vede la donna che parla con gli agenti sull’uscio di casa. Massey aveva dei disturbi mentali per cui risponde in maniera un po’ confusa, ma è molto tranquilla.
«Cosa ha sentito?» le chiede uno dei due agenti. «C’era qualcuno fuori da casa mia», risponde Massey. «Abbiamo controllato il giardino, abbiamo fatto il giro dell’isolato, non abbiamo visto nessuno». Dopo una breve conversazione Massey fa per salutarli e rientrare in casa, ma Sean Grayson, l’agente che poi ha sparato, continua a farle domande.
Le chiede di una macchina nera parcheggiata sul viale. L’altro agente va a controllare e si segna la targa, mentre Grayson entra in casa: non è chiaro se invitato dalla donna oppure su sua richiesta perché solo uno dei due agenti aveva la “bodycam attiva”: Grayson l’ha accesa solo dopo l’omicidio.
Una volta dentro i due agenti chiedono a Massey i documenti: la donna sembra piuttosto confusa, ma tranquilla. Uno degli agenti suggerisce alla donna di andare a controllare in cucina perché c’era una pentola d’acqua sul fuoco. La donna fa esattamente quello che le viene chiesto ma gli agenti si irrigidiscono. Uno di loro fa alcuni passi indietro e Massey chiede loro dove stiano andando. Un agente risponde allora «Lontano dalla pentola d’acqua bollente».
A quel punto Massey dice questa frase: «Lontano dalla pentola d’acqua bollente? I rebuke you in the name of Jesus». L’espressione “I rebuke you in the name of Jesus”, che letteralmente in italiano significa “Ti rimprovero nel nome di Gesù”, deriva dall’ambiente religioso ed è una locuzione usata per esprimere disapprovazione rispetto alle scelte o al comportamento degli altri. Non è chiaro in che senso la donna l’abbia detta, ma potrebbe essere interpretata come «Vergognati nel nome del Signore», un modo per rimproverare l’agente per la diffidenza mostrata nei suoi confronti.
A quel punto Grayson si arrabbia: «Faresti meglio a non farlo, cazzo, giuro su Dio che ti sparo in faccia, cazzo». La donna chiede scusa, ma l’agente a quel punto le punta la pistola e le intima di lasciare la pentola, che Massey teneva ancora in mano vicino ai fornelli a qualche metro di distanza dagli agenti, al di là del bancone della cucina. Nel video si vede Massey che solleva la pentola, ma Grayson le spara tre colpi in testa. A quel punto l’altro chiama i soccorsi.
«Non potevo prendermi della cazzo di acqua bollente in testa, guarda, mi è arrivata sui piedi» si giustifica Grayson. Dopo l’omicidio l’altro agente si offre di andare a prendere il kit per il soccorso, ma Grayson dice che è morta, che non c’è bisogno di «sprecare» nulla.
Grayson, che ha trent’anni, è stato licenziato. È accusato di omicidio di primo grado, aggravato dal fatto che ha usato un’arma da fuoco e che era in servizio. Si è dichiarato innocente. Dopo l’omicidio è venuto fuori che aveva cambiato sei diverse agenzie di polizia negli ultimi 4 anni. Era stato anche accusato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti nel 2015 e nel 2016: nel primo caso si era dichiarato colpevole, nel secondo il caso era stato archiviato.