Cosa c’è nel decreto “salva-casa”, che è diventato legge
Il passaggio in parlamento ha reso ancora più generoso il provvedimento promosso da Matteo Salvini, che non si limita più a sanare le piccole irregolarità edilizie
Mercoledì il Senato ha convertito in legge il decreto cosiddetto “salva-casa”, che sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro la fine della settimana. Il decreto era stato presentato a fine maggio dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini per permettere di sanare irregolarità edilizie di piccola entità. Il processo di conversione in parlamento ha poi ampliato la portata di alcune misure, e le opposizioni hanno accusato i partiti al governo di aver introdotto un nuovo condono e una sanatoria per gli abusi edilizi, anche gravi.
La legge prevede alcune semplificazioni normative, per esempio elimina la necessità di ottenere autorizzazioni per alcuni interventi di edilizia, semplifica le procedure per ottenere le certificazioni in caso di cambio di destinazione d’uso degli immobili, ed estende i cosiddetti limiti di tolleranza, cioè le difformità nella realizzazione rispetto ai progetti originari. Riduce inoltre i requisiti necessari per concedere l’abitabilità di un immobile, rendendo di fatto abitabili e commercializzabili anche i piccolissimi monolocali.
La misura più importante riguarda le procedure di accertamento di conformità. La legge supera il principio della cosiddetta “doppia conformità”: finora per sanare le irregolarità edilizie, anche di piccola entità, bisognava presentare al Comune dove si trova l’immobile dei documenti che attestassero il rispetto delle normative edilizie e urbanistiche in vigore sia al momento della realizzazione della struttura sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. La legge semplifica questo processo e stabilisce che possono essere sanati gli interventi che sono conformi alle norme urbanistiche attualmente in vigore (quelle che stabiliscono se e in quali aree si può costruire) e che erano coerenti con le norme edilizie (quelle che riguardano il modo con cui si costruisce) all’epoca della realizzazione dell’immobile. La versione originaria limitava solo alle piccole irregolarità il superamento del principio della doppia conformità, mentre la conversione in parlamento ha incluso anche irregolarità più gravi, quelle che il Testo unico dell’edilizia definisce «variazioni essenziali», come l’aumento della cubatura degli immobili o le dimensioni del solaio.
La legge aumenta anche i limiti entro i quali le difformità edilizie non vengono considerate degli abusi. Finora queste tolleranze costruttive avevano soglie molto basse, pari al 2 per cento della superficie per tutti gli immobili: se la difformità rispetto al progetto consegnato al Comune riguardava, cioè, più del 2 per cento della superficie dell’immobile, andavano sanate. Ora queste soglie vengono alzate, ma solo per le difformità già esistenti (cioè esistenti al 24 maggio scorso, data di entrata in vigore del decreto). Rispetto alla versione originaria del decreto il parlamento le ha rese leggermente più generose, soprattutto per le case più piccole: per le case con oltre 500 metri quadrati di superficie utile resta valido il limite del 2 per cento, mentre sale al 3 per cento per quelle tra 300 e 500 metri quadrati; al 4 per cento per quelle tra 300 e 100 metri quadrati; al 5 per cento per le case tra 100 e 60 metri quadrati e al 6 per cento per quelle sotto i 60 metri quadrati.
Un’altra misura rilevante e forse quella di cui avranno più percezione i proprietari di casa che devono fare dei piccoli lavori è quella che amplia i tipi di interventi che si possono fare nella cosiddetta edilizia libera, cioè quelli che non hanno bisogno di specifiche autorizzazioni a costruire o titoli abitativi (delle altre pratiche amministrative necessarie per eseguire interventi edilizi). Tra gli interventi in edilizia libera è stata inclusa l’installazione di pompe di calore fino a 12 kilowatt e delle vetrate panoramiche amovibili con cui vengono chiusi i porticati all’interno di un edificio. Ma pure tende, pergole o gazebo semi-stabili con cui spesso si chiudono le verande, anche nel caso in cui le strutture siano addossate o annesse agli immobili, purché non siano del tutto chiuse ma dotate per esempio di vetrate mobili o richiudibili, e purché non abbiano un impatto visivo eccessivo.
Vengono semplificate significativamente anche le procedure per ottenere il cambio di destinazione d’uso di un immobile. Ogni immobile infatti è classificato, secondo le leggi, a seconda dell’uso che se ne fa e non può essere utilizzato in altro modo: ci sono immobili residenziali, cioè le case; quelli industriali per le attività artigianali e manifatturiere; quelli turistici, come alberghi o ostelli e simili; quelli commerciali, e così via. Rispetto alle norme finora in vigore, con la nuova legge sarà molto più semplice modificare la destinazione d’uso, trasformando per esempio le case private in strutture ricettive. Sarà necessario presentare la SCIA, cioè la Segnalazione certificata di inizio attività, quella con cui le imprese segnalano al Comune l’avvio, il cambiamento o la cessazione di un’attività produttiva. Secondo le opposizioni questa misura contribuirà ad aumentare ancora gli immobili destinati gli affitti brevi, che vari comuni italiani e internazionali stanno cercando di limitare per affrontare la crisi abitativa e lo spopolamento dei centri storici.
Un’altra misura che probabilmente avrà effetti sul mercato degli affitti brevi riguarda la riduzione dei limiti dimensionali sotto cui una casa non può essere considerata abitabile. Riguarda cioè le regole per la cosiddetta abitabilità degli edifici, rese meno stringenti con la conversione in legge: per esempio si può certificare l’abitabilità di un immobile con un’altezza minima di 2,4 metri (prima era di 2,7) e una metratura di almeno 20 metri quadrati (prima era di 28). Si rendono così abitabili e commercializzabili anche immobili piccolissimi, che prima non erano neanche classificabili come monolocali. La legge stabilisce comunque alcune condizioni minime da rispettare, inerenti per esempio alla luminosità e all’aerazione.
Nella versione finale della legge non compaiono invece gli emendamenti noti come “salva-Milano”, che dovevano servire a sbloccare la costruzione di nuovi edifici nel capoluogo lombardo. Queste misure erano considerate urgenti dal Comune di Milano per risolvere lo stallo causato da alcune inchieste giudiziarie su presunti illeciti nei permessi di grossi progetti edilizi: nonostante il sindaco Beppe Sala si fosse detto «preoccupatissimo» per la situazione in città, alla fine gli emendamenti non erano stati approvati per questioni di tempo, ma soprattutto per divisioni interne alla maggioranza.
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