L’attuazione del PNRR procede bene ma non benissimo

Quest'anno la spesa connessa al piano finanziato con i fondi europei è stata di soli 9,4 miliardi di euro, ma i progetti sono a buon punto e l'Italia sta facendo meglio degli altri

Foto in primo piano di Fitto
Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto (Augusto Casasoli / A3 / Contrasto)
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Lunedì il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha presentato i risultati contenuti nella nuova relazione semestrale sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il grande piano di riforme e investimenti da realizzare entro giugno del 2026 finanziato coi fondi europei del Next Generation EU, di cui l’Italia beneficia nel complesso per oltre 194 miliardi. La relazione completa, che dovrà essere mandata al parlamento nel giro di qualche giorno, non è ancora disponibile: i collaboratori di Fitto hanno diffuso una versione sintetica di 18 pagine, piuttosto snella e con poche indicazioni concrete sui singoli progetti in corso di realizzazione.

Tuttavia, i dati contenuti nella sintesi consentono di fare comunque un bilancio sullo stato d’avanzamento del piano. L’Italia, a confronto con altri paesi dell’Unione Europea, sta andando tutto sommato veloce: ha realizzato il maggior numero di obiettivi e ha ricevuto la più alta percentuale di fondi previsti, rispetto a tutti gli altri Stati membri. D’altro canto l’andamento della spesa, cioè del concreto finanziamento dei progetti che hanno ricadute effettive sull’economia nazionale, nel 2024 è stato più lento e meno consistente di quello che il governo sperava. Dal primo gennaio al 30 giugno di quest’anno sono stati spesi circa 9,4 miliardi di euro, quindi la spesa totale del PNRR è salita da 42 a 51,36 miliardi. Significa che finora l’Italia ha speso il 26,5 per cento dei 194 miliardi che complessivamente dovrà gestire, quando è trascorsa più della metà della durata del piano (meno di tre anni e ne mancano ancora due).

Il dato del primo semestre del 2024 è di per sé poco incoraggiante, specie alla luce delle dichiarazioni dello stesso Fitto e della presidente del Consiglio Meloni, che sul finire dello scorso anno avevano previsto di accelerare su questo. Ma allargando lo sguardo sull’attuazione del PNRR nel suo complesso la situazione è meno preoccupante: dei 194 miliardi che l’Italia dovrà utilizzare, infatti, quasi 165 fanno riferimento a «interventi avviati», perciò l’85 per cento dei progetti da fare è già in fase di realizzazione.

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Inoltre, di quei 194 miliardi, 132 finanziano progetti che richiedono procedure di affidamento: i fondi quindi non arrivano automaticamente dalla Commissione Europea a fronte dell’approvazione di riforme, ma sono legati all’avvio di bandi di gara e assegnazione di appalti. Essendo queste procedure spesso lunghe e complesse in Italia, e a volte inficiate da pratiche illecite, avrebbero potuto essere un grosso ostacolo per l’attuazione. Invece la relazione del governo dice che gli interventi attivati per cui si richiedono gare e appalti ammontano a 122 miliardi (il 92 per cento del totale), e che per la stragrande maggioranza di questi (il 91 per cento, pari a 111 miliardi), quelle procedure sono state già completate.

Il ministro Fitto discute coi giornalisti dopo la presentazione dei dati contenuti nella relazione semestrale sul PNRR, a Palazzo Chigi, il 22 luglio 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Insomma, sembra che si stiano creando le premesse perché, salvo stravolgimenti, il grosso dei progetti più complessi possa essere realizzato nei prossimi mesi, e i conseguenti corposi finanziamenti possano essere realmente spesi. Quindi anche se in questo primo semestre non è ancora successo, il quadro delineato dalla relazione fa pensare che le cose possano migliorare nel breve periodo.

Ne va del resto anche della sostenibilità delle politiche economiche del governo. È proprio questa parte più complessa del piano, fatta di progetti consistenti e grosse spese, che dovrebbe garantire le maggiori ricadute positive sulla crescita del prodotto interno lordo (PIL): e se l’economia migliora il governo avrà maggiore agio nel gestire i conti pubblici in una situazione assai complicata per il bilancio dello Stato, che ha indotto tra l’altro la Commissione Europea ad aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per deficit eccessivo (cioè un disavanzo nel bilancio annuale troppo marcato).

I ritardi nella spesa restano comunque problematici, soprattutto se li si giudica con il metro di giudizio adottato dalla stessa Meloni nel recente passato. Nell’ottobre del 2022, poco prima di ricevere l’incarico di formare il governo, Meloni denunciò come i ritardi nell’attuazione del PNRR accumulati dal governo uscente di Mario Draghi fossero «evidenti». In realtà le trattative tra Draghi e la Commissione Europea e l’avanzamento del piano per quel che riguardava gli obiettivi concordati procedevano bene, ma Meloni fece riferimento proprio ai ritardi di spesa per giustificare questa sua critica. La NADEF, cioè il documento con cui il governo aggiorna in autunno le previsioni sull’andamento dell’economia e della finanza pubblica, segnalava infatti come il governo di Draghi prevedesse di spendere poco più di 20 miliardi del PNRR entro l’anno, a fronte delle stime fatte in aprile che prevedevano una spesa di oltre 33 miliardi.

Ora sta succedendo una cosa simile, cioè si spendono con meno facilità e meno velocità del previsto i fondi che la Commissione Europea assegna all’Italia, anche se nel complesso l’attuazione del piano procede. Ed è proprio questo aspetto che il ministro Fitto tende a enfatizzare. L’Italia, che coi suoi 194 miliardi di euro è il primo beneficiario in termini assoluti (tutto il Next Generation EU vale attualmente 648 miliardi di euro) e il quarto in rapporto al PIL (9,3 per cento), è il paese che finora ha ottenuto dalla Commissione la maggiore quota rispetto alla sua dotazione complessiva, avendo già incassato 102 dei 194 miliardi (il 53 per cento). Al secondo posto c’è la Spagna, che ha incassato il 24 per cento dei fondi che le spettano.

Foto di Meloni e Von der Leyen che si abbracciano

Giorgia Meloni e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen a Bruxelles, 29 giugno 2023 (AP Photo/Geert Vanden Wijngaert)

Il PNRR prevede infatti erogazioni di fondi progressivi. I vari obiettivi che ciascun paese deve conseguire per vedersi corrispondere i relativi finanziamenti sono divisi in varie tranche, comunemente chiamate “rate”. Ogni rata, che ha una durata tendenziale di sei mesi, prevede un certo numero di riforme da approvare e progetti da realizzare, e se questi obiettivi vengono raggiunti la Commissione provvede a mandare le risorse prestabilite per quella rata. L’Italia al momento è l’unico paese ad aver richiesto il pagamento di sei rate delle dieci totali previste. Cinque di queste richieste sono state accolte dalla Commissione: il pagamento della quinta rata, per la quale sono stati assegnati all’Italia 11 miliardi di euro, è stato accordato il 12 luglio. La richiesta per la sesta rata, che consiste in 37 obiettivi e prevede un contributo di 8 miliardi, è stata fatta dal governo il 28 giugno scorso, ma la Commissione sta ancora svolgendo le verifiche del caso per accertarsi che i traguardi indicati siano stati effettivamente raggiunti.

Ci sono ancora alcune incognite che potrebbero rallentare l’attuazione del PNRR nei prossimi mesi, non solo di natura tecnica ma anche politica. Il 18 luglio Meloni ha scelto di non votare per la riconferma della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, e di votare contro la nomina del presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa. Così facendo si è isolata rispetto alla maggioranza che guiderà la prossima legislatura europea, rischiando quindi che le trattative tra il governo italiano e le istituzioni comunitarie possano complicarsi, con ricadute sulla realizzazione del piano. Sia Meloni sia Fitto però si sono detti fiduciosi che questo non accadrà: secondo loro le scelte politiche non avranno ripercussioni su negoziati tecnici come quelli del PNRR.