I contenuti bizzarri pubblicati da Nicolás Maduro sui social, spiegati
Il presidente autoritario del Venezuela sta inondando di contenuti l'unico spazio rimasto all'opposizione per esprimersi, mostrandosi come non è in realtà
Ogni giorno gli account del presidente venezuelano Nicolás Maduro riversano sui social network una grande quantità di contenuti propagandistici, soprattutto video. Il regime di Maduro – che governa dal 2013 in maniera autoritaria e sta facendo di tutto per restare in carica e impedire all’opposizione di vincere le elezioni di domenica – ha detto con una certa pomposità di essersi impegnato in una «battaglia della comunicazione» su internet, contendendo ai dissidenti l’unico spazio dove potevano ancora esprimersi con una certa libertà.
Molti dei video di Maduro, visti da qui, sembrano grotteschi o ridicoli ma sono una specie di rebranding: servono cioè a dare un’immagine innocua e amichevole al presidente dell’unico paese sudamericano sotto indagine alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Tre le cose pubblicate di recente sui social di Maduro ci sono le puntate di una webserie biografica su di lui (intitolata Nicolás), il cartone animato Súper Bigote di cui è protagonista; innumerevoli video in cui balla e canta, altri in cui si allena con i guantoni da pugile o in cui guida un autobus, come nel suo precedente lavoro.
Tre le cose pubblicate di recente sui canali/profili social di Maduro c’è una specie di video-podcast, girato in uno studio con l’immancabile tavolo con i microfoni. Durante questo format Maduro ha preparato uno degli smoothie di frutta grazie ai quali dice di essere dimagrito.
Guardando i video degli eventi della campagna elettorale, si nota che sulla giacca o sulla felpa di Maduro è quasi sempre agganciato un microfono portatile, come quello usato da molti influencer, e che è attorniato da una troupe che filma tutto. I momenti salienti dei comizi – che durano un’ora e sono comunque trasmessi in diretta sui social – vengono isolati in video da meno di un minuto, con un montaggio veloce. In questi video molto coreografici Maduro si getta tra la folla e si presenta come «presidente del popolo» dicendo cose come: «Non vengo da Harvard o dalle grandi famiglie».
È un attacco a María Corina Machado, la leader più rappresentativa dell’opposizione a cui a marzo il regime ha vietato di partecipare alle elezioni. La famiglia di Machado infatti possedeva la seconda azienda siderurgica del paese, confiscata nel 2010. Dopo l’esclusione di Machado, l’opposizione ha candidato l’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, che secondo i sondaggi ha un vantaggio di più di 20 punti percentuali sulla coalizione di Maduro. Sui principali social Machado ha più follower di Maduro, mentre i profili di González hanno numeri ancora piuttosto contenuti: non era molto conosciuto nel paese finché non si è candidato alle presidenziali.
Storicamente i social sono il più importante, e ormai l’unico, canale di cui l’opposizione dispone in Venezuela per parlare agli elettori e alle elettrici. Dopo 11 anni al potere, Maduro ha consolidato un controllo pressoché totale su giornali, radio e televisione: tra il 2003 e il 2023 quasi trecento stazioni radio non allineate al governo hanno chiuso perché non è stata rinnovata loro la licenza con qualche pretesto; le poche ancora attive si auto-censurano per il timore di perderla. Il governo ha anche oscurato i siti di principali giornali indipendenti e la maggioranza dei venezuelani non ha dimestichezza con i servizi VPN in grado di aggirare questo blocco. I social sono invece rimasti accessibili e in Venezuela li usa circa metà della popolazione.
I post di Maduro sono «rivolti principalmente al pubblico interno» secondo Kevin Munger, professore al dipartimento di Scienze politiche e sociali dello European University Institute che in passato ha studiato l’uso dei social da parte dell’opposizione venezuelana. «Il suo obiettivo è lo stesso di Hugo Chávez (presidente dal 1998 fino alla sua morte nel 2013) che utilizzava la tecnologia precedente, con lunghissime trasmissioni in radio e televisione. La logica è che più spazio viene occupato da un regime autoritario e più sarà difficile per l’opposizione riuscire a dare la sua versione delle cose», ha spiegato Munger.
La propaganda del presidente si sta concentrando soprattutto su TikTok. «La strategia digitale della campagna di Maduro è un’inondazione» di contenuti, ha scritto El País. «La generazione più giovane non guarda la tv: dobbiamo innovare», ha detto a maggio Maduro durante una riunione del governo, trasmessa poi in tv. Una delle prime clip diventate virali è stata un appello in cui Maduro si rivolgeva in un inglese stentato al presidente americano Joe Biden. Un’inchiesta di Bloomberg ha spiegato che questi contenuti, in cui Maduro sembra goffo e inoffensivo, fanno parte di un piano per mobilitare i giovani, e convincerli a votare per lui.
Il video in cui Maduro si rivolge in inglese a Biden
I circa 7,7 milioni di venezuelani che negli ultimi anni sono scappati all’estero per la disastrosa situazione economica del paese, la repressione, o entrambe le cose – su una popolazione di circa 30 milioni, come se 14 milioni di italiani andassero via – sono soprattutto persone in età lavorativa. In Venezuela sono rimaste persone oggi di mezza età o molto giovani, che in molti casi domenica voteranno per la prima volta. Maduro sta puntando su queste due fasce anagrafiche, secondo Bloomberg. Misure populiste come alzare gli stipendi (per la prima volta dal 2022) sono per esempio rivolte agli adulti.
I contenuti sui social sono invece pensati per i più giovani, molti dei quali sono nati quando era già al potere il Partito Socialista Unito, guidato da Chávez prima e da Maduro poi, e quindi non hanno conosciuto una situazione diversa. Il governo sta cercando di mobilitarli, anche in modo coatto. Per esempio il regime ha reso la registrazione per votare un requisito per diverse cose, per esempio per aderire al programma di sussidi e opportunità lavorative Chamba Juvenil, aprire un conto nelle banche controllate dallo stato (cioè la maggioranza) o iscriversi all’università di Caracas.
I numeri notevoli che il presidente ottiene sui social sono tra l’altro probabilmente gonfiati. BBC News ha raccontato dell’esistenza di un “esercito digitale” pagato per diffondere sulle piattaforme la propaganda. Ci sono numerosi gruppi su Facebook e Telegram che hanno tra i 700 e i 3mila membri dove vengono comunicati gli hashtag da usare nei post. Secondo il sito specializzato ProBox il 90 per cento delle interazioni degli account di Maduro su X (Twitter) proviene da questa rete di bot e account. I pagamenti sono effettuati con la stessa app attraverso cui sono versati i sussidi statali.
Questa macchina propagandistica, ha documentato ProBox, è stata attivata con largo anticipo sull’annuncio della ricandidatura di Maduro.
Munger ha ricordato che nell’attuale funzionamento dei social il numero di follower è meno rilevante di un tempo: sono soprattutto gli algoritmi, infatti, a stabilire cosa viene mostrato nei feed degli utenti e, quindi, quante persone vedranno un certo contenuto. «Ottenere un pubblico è piuttosto economico se lo si paga direttamente. C’è una lotta costante tra le piattaforme e i creator su cosa costituisca un segnale autentico di entusiasmo: se di volta in volta sia inviare un video come messaggio privato, oppure se condividerlo su un altro social. L’algoritmo però non riesce a distinguere tra la passione e i soldi», ha detto Munger. E cioè: tra un contenuto che viene condiviso per reale interesse o per altre ragioni.
Il tutorial di Maduro su come far circolare i suoi post
Quando a fine maggio Maduro ha sostenuto di essere vittima di una inesistente «censura» da parte delle piattaforme social, ha esortato i follower a ricondividere i suoi post. A questo scopo, ha pubblicato un tutorial in cinque passi. Nonostante la censura messa in pratica dal suo regime sui media tradizionali, sotto i post del presidente sui social ci sono i commenti dei sostenitori dell’opposizione. Gli utenti che scrivono questi commenti, con centinaia di likes ciascuno, sperano nella vittoria di González domenica «per un Venezuela libero» e nella fine della «dittatura».
«I social media sono sembrati utili soprattutto ai gruppi di opposizione», ha concluso Munger, «ma la letteratura scientifica ha documentato che è più facile usarli per “giocare sulla difensiva”. Per produrre un cambio di regime è necessario coordinarsi attorno a una visione precisa, ed è quello che sta provando a fare l’opposizione [venezuelana]. Il regime vuole impedirlo: se non ci sarà coordinamento, resterà al potere. E sembrare buffi e sciocchi è un modo perfetto per farlo».
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