Il discorso di Netanyahu al Congresso è piaciuto molto ai Repubblicani
Il primo ministro israeliano ha parlato in termini assai poco concilianti dell'invasione nella Striscia di Gaza, fra gli applausi della destra statunitense
Mercoledì sera (pomeriggio negli Stati Uniti) il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tenuto un atteso discorso di fronte a deputati e senatori statunitensi. Era la quarta volta che Netanyahu parlava davanti al Congresso nel corso della sua carriera politica: è il leader straniero che lo ha fatto più volte nella storia statunitense.
Nelle ore precedenti al discorso si pensava che Netanyahu avrebbe usato toni concilianti, che riflettono le grandi tensioni fra l’amministrazione Democratica di Joe Biden e il governo israeliano sulla gestione della guerra nella Striscia di Gaza. Invece Netanyahu ha tenuto un discorso molto battagliero, pieno di slogan e di affermazioni false o fuorvianti. Almeno 50 deputati Democratici hanno boicottato il discorso, perlopiù per sottolineare le responsabilità del governo israeliano nell’uccisione di almeno 40mila palestinesi dall’inizio dell’invasione della Striscia. Prima, durante e dopo il discorso di Netanyahu ci sono state diverse manifestazioni filopalestinesi fuori dal Congresso.
Per tutto il discorso di Netanyahu poi una deputata Democratica che ha la doppia cittadinanza palestinese e statunitense, Rashida Tlaib, ha tenuto in mano un cartello che diceva semplicemente «criminale di guerra». È un riferimento al mandato d’arresto richiesto a maggio per Netanyahu dalla Corte penale internazionale per via delle decisioni prese dal governo israeliano dall’inizio della guerra.
Nonostante il boicottaggio di parte dei Democratici il Congresso era molto affollato, sia nelle sedute dei deputati e dei senatori che nella zona dedicata agli ospiti, tra cui c’era tra gli altri anche il noto imprenditore Elon Musk. Il discorso di Netanyahu è durato quasi un’ora ed è stato molto incalzante e concitato, composto soprattutto da un lungo elenco di slogan sull’alleanza tra Stati Uniti e Israele e contro Hamas e l’Iran. Per una buona parte Netanyahu ha elencato storie di ostaggi, famiglie, militari e vittime dell’attacco senza precedenti compiuto da Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre, che ha dato origine alla guerra, ricevendo frequenti standing ovation e applausi dalla platea, in questi casi anche dai Democratici.
Le frasi di Netanyahu che sono state più riprese durante e dopo il discorso riflettono tutte il tentativo di rappresentare la guerra di Israele contro Gaza come una reazione a una minaccia internazionale, che in quanto tale riguarderebbe anche gli Stati Uniti: «La nostra vittoria sarà la vostra vittoria»; «I nostri nemici sono i vostri nemici»; «Dateci gli strumenti prima e finiremo il lavoro prima». Non ha fatto riferimento all’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas che è in discussione da settimane e su cui l’amministrazione Biden ha insistito molto: ha invece ribadito che la guerra finirà quando Hamas si arrenderà, verrà disarmato e libererà gli ostaggi.
Ma nel suo discorso Netanyahu ha detto anche diverse cose false o fuorvianti: per esempio ha insistito sul fatto che Israele non ha mai bloccato i camion di aiuti umanitari inviati da altri paesi o organizzazioni nella Striscia (falso), e che in generale Israele sta facendo di tutto per evitare di uccidere civili nei suoi attacchi e bombardamenti (una cosa di cui sono convinte soltanto le persone più filoisraeliane).
A un certo punto Netanyahu ha anche citato le manifestazioni filopalestinesi in corso fuori dal Congresso, avanzando il dubbio che le persone presenti fossero pagate dall’Iran chiamandole «utili idioti», senza fornire alcuna prova per queste accuse. I Repubblicani hanno applaudito con forza questo passaggio: ormai da anni si sono molto avvicinati al governo di destra di Netanyahu, che difendono anche nelle scelte più controverse.
L’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, una delle leader più influenti dei Democratici, ha definito il discorso di Netanyahu «di gran lunga il peggiore di ogni leader straniero che ha avuto il privilegio di parlare al Congresso».
A un certo punto Netanyahu ha ringraziato sia Biden sia l’ex presidente Donald Trump, nessuno dei quali era presente ma che incontrerà nei prossimi giorni, mentre non ha fatto alcun riferimento alla vicepresidente Kamala Harris, a sua volta assente, che sarà la probabile candidata dei Democratici alle presidenziali di novembre. Di solito il vicepresidente in carica, che è anche presidente del Senato, presenzia ai discorsi che i leader stranieri tengono al Congresso: il New York Times ha notato che l’assenza di Harris è stata «una rottura della tradizione».
Netanyahu era arrivato negli Stati Uniti lunedì: è il suo primo viaggio all’estero dagli attacchi del 7 ottobre e dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza. Giovedì incontrerà sia Biden sia Harris, mentre il candidato Repubblicano Donald Trump ha scritto su Truth, il suo social network, che vedrà Netanyahu venerdì nel suo club privato Mar-a-Lago, a Palm Beach in Florida.
Per mercoledì fuori da Capitol Hill, il palazzo che ospita il Congresso, la sicurezza era stata rinforzata in vista di varie proteste filopalestinesi. I primi manifestanti hanno cominciato a radunarsi in mattinata, verso le 16 italiane, e nelle ore successive sono diventati alcune migliaia. Durante e dopo l’arrivo di Netanyahu la situazione fuori da Capitol Hill si è fatta piuttosto tesa: un gruppo di partecipanti alla protesta ha dato fuoco a una bandiera degli Stati Uniti e gli agenti in tenuta antisommossa hanno cominciato a usare spray al peperoncino contro alcuni manifestanti. La polizia ha fatto sapere che cinque persone sono state arrestate.
Le persone radunate fuori da Capitol Hill hanno chiesto il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e l’arresto di Netanyahu per il mandato d’arresto richiesto dalla Corte penale internazionale, di cui però gli Stati Uniti non riconoscono la giurisdizione.
Ci sono state proteste anche tra i membri dello staff del Congresso. Mercoledì quasi 100 stagisti che lavorano al Congresso si erano dati malati in protesta per la visita di Netanyahu e avevano invitato deputati e senatori a fare lo stesso. «Sollecitiamo i parlamentari a rispondere al volere del popolo americano e a rigettare ogni forma di sostegno alle azioni di Netanyahu», avevano scritto in un comunicato. Anche a inizio mese un’associazione di lavoratori del Congresso, la Congressional Progressive Staff Association, aveva invitato i parlamentari a boicottare il discorso di Netanyahu con una lettera firmata in modo anonimo da 230 persone.
La visita negli Stati Uniti avviene in un momento molto delicato per Netanyahu: il suo consenso in Israele sta calando ed è ormai opinione diffusa che il primo ministro stia evitando di mettere fine alla guerra per un tornaconto politico personale. Diversi analisti israeliani sono convinti che nel momento in cui si interrompesse la guerra, cioè una circostanza eccezionale nella vita politica e pubblica di Israele, le pressioni per fare dimettere Netanyahu emergerebbero da vari pezzi della società e della politica.
Per avere più possibilità di rimanere in carica a Netanyahu conviene presentarsi come uno statista riconosciuto a livello internazionale, nonché stretto alleato di una delle più grandi potenze del mondo. Prima di partire Netanyahu aveva detto alla stampa israeliana che aveva intenzione di parlare con Biden della prosecuzione della guerra contro Hamas, della minaccia dei gruppi armati sostenuti dall’Iran e della liberazione degli ostaggi. Dall’altro lato l’amministrazione Biden, che comunque continua ad appoggiare Israele da un punto di vista militare, è sempre più fredda nei confronti del governo Netanyahu: il quale però finora durante la sua visita non ha fatto nulla per adottare posizioni più concilianti.