Non sempre il pesce migliore è quello fresco

La cosiddetta “frollatura”, metodo che fino a qualche anno fa era utilizzato soprattutto per la carne, si sta affermando sempre di più anche nell'alta ristorazione

(Foto dal profilo Instagram di Azabu 10)
(Foto dal profilo Instagram di Azabu 10)
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«Una delle prime cose che mi hanno insegnato in Giappone è che il pesce fresco non si usa mai: per esaltarne i sapori bisogna farlo invecchiare per almeno tre, quattro giorni», dice Andrea Arcieri, proprietario del ristorante Azabu 10 di Milano. Arcieri è uno degli chef che negli ultimi anni hanno sdoganato anche in Italia la pratica della frollatura del pesce, un metodo di stagionatura – già diffuso per la carne rossa – che si usa per migliorarne gli aromi e le proprietà organolettiche  e che in un certo senso contraddice uno dei capisaldi della cultura culinaria italiana, ossia l’enfasi sulla freschezza del pesce e sulla necessità di consumarlo il prima possibile.

Questo procedimento consente invece di consumare il pesce anche dopo diverse settimane, e può essere svolto con tecniche diverse. Quella largamente più diffusa è la cosiddetta frollatura a secco, che in inglese si chiama “dry aged”: prevede che il pesce, una volta privato delle interiora e di tutte le parti che potrebbero favorire la proliferazione di batteri, venga appeso all’interno di una cella frigorifera, in modo tale da rimuovere i liquidi in eccesso, fare rilassare le fibre e renderlo più gustoso e digeribile.

Arcieri spiega che, in base alla materia prima utilizzata e alla pezzatura, la durata della frollatura a secco può variare da qualche giorno, per i pesci più piccoli, a diverse settimane per quelli più grandi.

Questa pratica risale a diversi secoli fa e storicamente è stata associata soprattutto alle macellerie, dove è piuttosto comune sottoporre la carne a un periodo di stagionatura più o meno lungo che consente di rendere la carne più tenera e saporita. La frollatura del pesce è invece stata sdoganata soltanto di recente: lo chef australiano Josh Niland è generalmente considerato il pioniere di questa tecnica, che è alla base della maggior parte delle portate del suo ristorante, il Saint Peter di Sydney.

Niland ha detto di avere iniziato ad applicare la frollatura al pesce una quindicina d’anni fa, mentre lavorava in un altro ristorante di Sydney, il Fish Face dello chef australiano Stephen Hodges. Cominciò tutto quando, per errore, dimenticò quindici porzioni di pesce serra davanti a un ventilatore per tutta la notte. Il giorno dopo, ha raccontato Niland, la pelle del pesce risultò molto più saporita e croccante.

Da quel momento in poi, Niland ha continuato a perfezionare la sua tecnica di frollatura, fino a essere riconosciuto come una sorta di decano nell’utilizzo della stagionatura del pesce, a cui ha dedicato anche alcuni libri molto apprezzati nell’ambiente. Anche grazie all’opera di divulgazione di Niland, negli ultimi cinque anni la frollatura del pesce è diventata molto popolare nelle grandi città. La giornalista del New York Magazine Ella Quittner ha scritto di recente che il pesce frollato è ormai una delle tendenze culinarie di New York, dove molti ristoratori hanno incentrato la loro proposta su questo metodo. 

Arcieri spiega che, anche se Niland è lo chef che ha reso popolare la frollatura a secco in tutto il mondo, ci sono paesi in cui la stagionatura del pesce viene utilizzata frequentemente da molti secoli: da questo punto di vista, il più rappresentativo è il Giappone, dove «gli studenti delle accademie di sushi locali apprendono diverse tecniche per fare asciugare il pesce».

Per esempio, aggiunge Arcieri, per ottenere una buona frollatura è importante che il pesce venga «stressato» il meno possibile. Per ottenere questo risultato, nel suo ristorante utilizza l’ikejime, un metodo di macellazione giapponese che «in sostanza, serve a uccidere in maniera veloce, senza farlo soffrire, per impedire che i suoi tessuti si irrigidiscano». L’ikejime si può applicare sia ai pesci più grandi, come per esempio il tonno, che a quelli piccoli, «nel primo caso sfruttando un getto d’acqua, nel secondo passando un filo di ferro attraverso tutta la colonna spinale».

Secondo Arcieri, in Italia bisogna ancora «educare» la clientela ai pregi della frollatura, anche perché «ci sono alcuni luoghi comuni molto radicati e fraintesi», come per esempio la tendenza ad associare la freschezza del pesce al mantenerlo a diretto contatto con il ghiaccio, «una pratica che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, favorisce la proliferazione dei batteri».

Un altro vantaggio della frollatura è l’allungamento dei tempi di conservazione del pesce, che consente di ridurre gli sprechi. Harold Dieterle, proprietario del ristorante newyorchese Il Totano, ha detto a Quittner che applicare la procedura “dry aged” consente di «mettere da parte un sacco di roba e sapere che sarà buona quando ne avremo bisogno: è incredibile».

Quittner ha raccontato che, fino a qualche anno fa, era pratica comune evitare di mangiare pesce il lunedì, dato che le consegne della domenica arrivavano spesso in ritardo. Anche Anthony Bourdain, uno degli chef più famosi e influenti di sempre, sconsigliava di mangiare pesce il lunedì. Ora invece la situazione è cambiata: «[il lunedì] è probabilmente il giorno migliore per gustare un salmone», dato che a quel punto il pesce ha già trascorso «un intero fine settimana nella cella frigorifera», massimizzando il suo sapore e i suoi aromi.