Il modernismo non fa per i pinguini

Nello zoo di Londra c'è una famosa e bellissima piscina progettata da Berthold Lubetkin, ma è disabitata da vent'anni perché non era per niente adatta

La Penguin Pool dello Zoo di Londra, 1954 (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)
La Penguin Pool dello Zoo di Londra, 1954 (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)
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Uno degli elementi architettonici più particolari e apprezzati dello zoo di Londra è la cosiddetta “Penguin Pool”, la piscina dei pinguini, una vasca ellittica dotata di una serie di rampe elicoidali progettata nel 1934 da Berthold Lubetkin, un importante architetto modernista georgiano.

La Penguin Pool è considerata un capolavoro del modernismo (il critico d’arte Ian Nairn l’ha paragonata a una «Torre di Babele architettonica»), ma da vent’anni è completamente disabitata. Nel 2004 infatti i pinguini che ci vivevano (che fanno parte della specie dei pinguini di Humboldt, diffusa in Perù e in Cile) furono trasferiti in un’altra struttura dopo aver sviluppato il bumblefoot, un’infezione batterica causata dalle lesioni che subivano camminando sul cemento, una superficie poco adatta alla conformazione delle loro zampe.

Oltre al materiale con cui furono costruite le rampe, Lubetkin fece un altro errore che rese la Penguin Pool un posto sostanzialmente inabitabile per i pinguini: la piscina era troppo poco profonda per consentire loro di nuotare correttamente. Dal 2011 i pinguini che abitavano la Penguin Pool vivono nella Penguin Beach, una struttura più appropriata per le loro esigenze perché dotata di una piscina più ampia e profonda e di percorsi sabbiosi in cui possono passeggiare in sicurezza e senza ferirsi.

Lubetkin si trasferì a Londra agli inizi degli anni Trenta, partecipando alla corrente di rinnovamento architettonico nata all’interno dei CIAM, i Congressi internazionali di architettura moderna, ossia dei raggruppamenti informali di architetti che volevano promuovere un’architettura e un’urbanistica funzionali ai bisogni delle persone. Una volta arrivato a Londra, Lubetkin fondò il gruppo Tecton, un collettivo di giovani architetti inglesi sensibili alle istanze del movimento modernista e che contribuì moltissimo alla diffusione di questo stile in Inghilterra.

Da quando la Penguin Pool è stata dismessa, alcuni addetti ai lavori hanno iniziato a chiedersi se non sia il caso di demolirla definitivamente, dato che ormai non ha più alcun legame con quella che avrebbe dovuto essere la sua funzione originaria, ossia ricreare un habitat adatto ai pinguini.

Nel 2019 Sasha Lubetkin, figlia di Berthold Lubetkin, raccontò al Camden New Journal di provare una certa tristezza per via dell’inutilizzo di una delle opere più importanti di suo padre. «È stata progettata come vetrina e parco giochi per i pinguini in cattività, e non riesco a capire come possa essere adatta a un altro scopo; forse è il momento di farla a pezzi», disse.

La Penguin Pool nel 1936 (Fox Photos/Getty Images)

Sasha Lubetkin spiegò anche che, prima di iniziare a progettare la Penguin Pool, suo padre chiese una consulenza al biologo e genetista inglese Julian Huxley – fratello del famoso scrittore Aldous – per ottenere delle informazioni più precise sui materiali da usare per realizzare una struttura che tenesse conto di tutte le esigenze dei pinguini, e che probabilmente il progetto fallì perché, al tempo, le conoscenze sulle abitudini degli animali erano ancora piuttosto carenti.

La sua ricostruzione fu parzialmente confutata da John Allan, architetto specializzato in restauro e autore di un’apprezzata biografia dedicata al lavoro di Berthold Lubetkin. Allan spiegò che, originariamente, gran parte della pavimentazione a bordo piscina era rivestita di gomma, e che fu sostituita dal cemento soltanto successivamente, per decisione della Zoological Society of London (ZSL), l’associazione che si occupa dell’amministrazione e della gestione dello zoo di Londra. Inoltre, aggiunse Allan, originariamente la piscina non avrebbe dovuto essere abitata dai pinguini di Humboldt, ma da un’altra specie antartica, e che quindi la Penguin Pool fu progettata tenendo conto delle loro caratteristiche e abitudini.

Madeleine Morley, una giornalista britannica specializzata in architettura, ha ricordato come anche altri progetti che Lubetkin realizzò per lo zoo di Londra si rivelarono poco funzionali per le abitudini quotidiane degli animali, come per esempio la Gorilla House realizzata nel 1934 per ospitare Mok e Moina, una coppia di gorilla, e che alla fine si rivelò completamente inadatta allo scopo.

Morley ha spiegato anche che lo zoologo e anatomista Solly Zuckerman, che tra gli anni Venti e Trenta coordinò diversi progetti dello zoo di Londra, era un convinto sostenitore della corrente modernista. La apprezzava soprattutto perché poneva una certa enfasi sul progresso sociale e sulla convinzione che un’opera non dovesse essere soltanto interessante dal punto di vista architettonico, ma anche in grado di migliorare il tenore di vita delle persone.

Anche Peter Chalmers Mitchell, che fece parte dell’amministrazione della ZSL tra il 1903 e il 1935, credeva nel potenziale liberatorio del design modernista. Riteneva che le strutture allestite nello zoo di Londra dovessero essere realizzate con quell’approccio e che potessero essere «traslate nel mondo umano», ispirando generazioni successive di architetti a complessi di edilizia popolare moderni e funzionali.

Alla fine, però, l’idea di applicare i concetti modernisti alle strutture dello zoo di Londra si rivelò perlopiù un fallimento. Questo perché, per quanto le intenzioni di partenza fossero nobili, la resa finale non tenne troppo conto delle esigenze specifiche dei destinatari di quegli ambienti, ossia gli animali.

Secondo Morley, insomma, il lavoro di Lubetkin fu vanificato da un eccessivo antropocentrismo, e la storia architettonica dello zoo di Londra «è una specie di favola contemporanea, un monito contro l’utopismo tecnologico e i tentativi di soluzioni universali: non esiste una taglia unica adatta a tutti, indipendentemente dalla specie».