L’ECOWAS è ancora più in crisi di prima
L'organizzazione che riunisce i paesi dell'Africa occidentale sta pagando le conseguenze dell'uscita di Niger, Mali e Burkina Faso, oltre che di grossi problemi strutturali interni
Negli ultimi anni la Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS nella sigla inglese) si è molto indebolita: la recente uscita di Mali, Burkina Faso e Niger ha aggravato la crisi dell’unica organizzazione regionale di quel pezzo di mondo. L’ECOWAS esiste dal 1975 e negli ultimi anni è stata assai criticata: sia per non essere stata in grado di fermare i numerosi colpi di stato compiuti nella regione, tra cui proprio quelli che hanno portato al potere giunte militari in Mali nel 2021, in Burkina Faso nel 2022 e in Niger la scorsa estate; sia per i suoi legami ancora molto stretti con la Francia, l’ex potenza coloniale nell’Africa occidentale.
I fallimenti del blocco
Adib Saani, un analista del Jatikay Centre for Human Security and Peacebuilding di Accra, in Ghana, ha detto a Deutsche Welle che «l’ECOWAS ha perso gran parte della sua legittimità» e che la cosa si deve soprattutto ai leader dei 12 paesi che ancora ne fanno parte (contando anche la Guinea, che è stata sospesa dopo il colpo di stato del 2021). Secondo Fidel Amakye Owusu, un altro analista intervistato da Deutsche Welle, la debolezza dell’organizzazione dipende soprattutto da quegli stessi golpe che non è riuscita prima a prevenire e poi a gestire, nonostante le sanzioni economiche ai regimi golpisti (poi ritirate) e le minacce di un intervento militare (che non c’è stato).
In passato l’ECOWAS ha avuto una strategia altalenante di fronte alle crisi: decidendo in alcuni casi di intervenire e in altri di non farlo, senza un particolare criterio. L’ultimo caso in cui il blocco si è dimostrato inefficace ha riguardato il Senegal. Quando a febbraio l’ex presidente Macky Sall ha tentato di rinviare le elezioni – poi vinte dal candidato dell’opposizione Bassirou Diomaye Faye – l’ECOWAS si è limitata ad auspicare che venisse indicata una nuova data ed è stata infine la Corte costituzionale senegalese a impedire il rinvio. Negli scorsi anni l’ECOWAS non ha fatto nulla anche di fronte ai tentativi dei governi di alcuni stati membri di penalizzare i partiti d’opposizione, come avvenuto per esempio in Benin e Costa d’Avorio.
L’incapacità dell’ECOWAS di impedire il logoramento dei sistemi democratici, nei paesi della regione ma anche al suo interno, ha compromesso la sua capacità di deterrenza. Questo in un contesto in cui, secondo il sondaggio di Afrobarometer condotto in 36 paesi africani, circa due terzi degli intervistati ritengono che la democrazia sia la forma di governo migliore, ma solo il 38 per cento di loro è soddisfatto di come funzionano le istituzioni democratiche nel suo paese (quando ci sono).
Per questo le giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger non hanno temuto ripercussioni quando hanno fondato una nuova organizzazione, la Confederazione degli Stati del Sahel (AES). La scissione di tre membri ha indebolito ulteriormente l’ECOWAS, su vari piani, anche perché la confederazione si basa su idee diverse: per esempio il rifiuto dell’influenza francese, lo stesso su cui le attuali giunte militari di Mali, Niger e Burkina Faso avevano fatto leva per compiere i colpi di stato e delegittimare i precedenti governi. «Per loro l’ECOWAS rimaneva uno strumento delle potenze europee», ha spiegato a France 24 Virginie Baudais, ricercatrice dello Stockholm International Peace Research Institute.
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Le conseguenze della rottura
Questi tre paesi sono usciti dal blocco criticando anche la sua inefficacia nella lotta ai gruppi jihadisti attivi sul loro territorio. In precedenza le tre giunte avevano chiesto e ottenuto il ritiro dei soldati dei paesi occidentali che partecipavano a missioni di contrasto al terrorismo: Francia, Stati Uniti e da ultima la Germania hanno rinunciato alla loro presenza militare. Mali, Burkina Faso e Niger hanno creato invece una loro forza di sicurezza congiunta, abbandonando le attività in coordinamento con l’ECOWAS. Questo ha per esempio lasciato scoperti più di 1.600 chilometri di confine tra Niger e Nigeria, attraverso cui passano estremisti e traffico di armi.
La situazione è nel complesso peggiorata dopo la fine delle missioni occidentali. Gli attacchi delle milizie estremiste sono aumentati, soprattutto in Niger, e al momento i governi locali non hanno le risorse per contenerli. L’anno scorso, secondo l’Armed Conflict Location and Event Data, in Burkina Faso si è verificata un’escalation di violenza, a causa della quale sono state uccise più di 8mila persone. Questi conflitti interni hanno causato tre milioni di sfollati. Le giunte militari hanno rivendicato qualche successo negli scontri con le forze separatiste locali e i gruppi jihadisti, ma è difficile accertarlo perché nella regione non ci sono quasi più media indipendenti e il lavoro dei giornalisti viene molto ostacolato, anche con arresti e intimidazioni.
I governi golpisti, inoltre, si sono rivolti alla Russia, che era già attiva nella regione attraverso il gruppo Wagner, il gruppo di mercenari che adesso ha cambiato nome ma offre gli stessi servizi. I mercenari hanno compiti di polizia interna, contribuiscono alla repressione e partecipano agli scontri con i gruppi jihadisti. I russi sono però mossi soprattutto da interessi economici, come sfruttare i giacimenti minerari dei paesi in cui si trovano, e operano in modo non così dissimile dalle organizzazioni terroristiche che dicono di combattere.
C’è infine il rischio che l’uscita dall’ECOWAS sia seguita da un peggioramento della già difficile situazione economica di Mali, Burkina Faso e Niger, che non avendo sbocchi sul mare dipendono dai porti dei paesi vicini per una quota consistente dei loro scambi commerciali. L’uscita dall’ECOWAS probabilmente comporterà l’introduzione di barriere doganali e l’interruzione della relativa libertà di movimento che c’è con gli stati confinanti, con conseguenze negative sia per gli stati dell’ECOWAS sia per quelli della nuova confederazione.
Un’ultima cosa da chiarire è se Mali, Burkina Faso e Niger continueranno a utilizzare la moneta unica a lungo nota come “franco CFA”, e poi sostituita con una nuova versione chiamata “ECO”, adottata da numerose ex colonie francesi. A gennaio le tre giunte militari hanno detto di essere pronte a dismetterla come parte di «un processo per riacquistare la nostra piena sovranità». Mali, Burkina Faso e Niger sono tra i paesi più poveri dell’Africa e del mondo. «Questi regimi si fanno carico di aspettative significative, – ha detto Baudais, – le difficoltà economiche come quelle che sta sperimentando il Mali, dove manca l’elettricità, li indeboliranno se le condizioni di vita continueranno a peggiorare. La sovranità non si mangia».
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