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  • Lunedì 22 luglio 2024

Tre settimane da pazzi nella storia politica statunitense

Iniziate con il dibattito televisivo voluto dai Democratici e diventato una catastrofe per Biden e finite con l'annuncio del ritiro e l'endorsement a Kamala Harris

Il Campidoglio di Washington al tramonto il 10 luglio 2024
Il Campidoglio di Washington al tramonto il 10 luglio 2024 ( AP Photo/Jose Luis Magana)
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Nel giro di appena tre settimane la campagna elettorale per le presidenziali americane è cambiata in modo inaspettato e, per certi versi, è cambiata anche la storia degli Stati Uniti. In pochi giorni il candidato Democratico alla presidenza si è ritirato, un altro è stato vittima di un attentato che avrebbe potuto ucciderlo, si è tenuta una convention Repubblicana con toni per molti versi inattesi e, più in generale, sono cambiate molte delle condizioni che fino a pochissimo tempo fa si pensava avrebbero determinato la campagna elettorale per le presidenziali di novembre.

Rispetto alla campagna che tutti prospettavano soltanto un mese fa, quella che riprenderà in questi giorni dopo il ritiro di Joe Biden è incredibilmente differente. Tutto è iniziato il 27 giugno, con il dibattito presidenziale.

27 giugno: il dibattito
Il momento in cui il Partito Democratico americano, gli Stati Uniti e il mondo hanno capito che forse Joe Biden non sarebbe stato in grado di portare a termine la campagna elettorale è stato nella serata del 27 giugno, quando Biden ha affrontato Donald Trump in un dibattito televisivo. Il dibattito era stato un’idea della campagna di Joe Biden, che aveva spinto per organizzarlo con largo anticipo rispetto al solito (alle scorse elezioni, nel 2020, era stato il 29 settembre). Sarebbe dovuto servire per dare a Biden tempo di recuperare nei sondaggi, in cui era già notevolmente indietro rispetto a Trump, e soprattutto mostrare un presidente energico e nel pieno controllo delle sue facoltà, per mettere a tacere le voci secondo cui era in affanno fisico e mentale.

È successo l’esatto contrario: per tutto il dibattito, Biden ha parlato mormorando e mangiandosi le parole, ha dimenticato concetti di base, non è riuscito a finire coerentemente molti discorsi, e soprattutto non è riuscito a controbattere a nessuno degli slogan e delle molte bugie dette dal suo avversario.

La notte stessa del dibattito, dopo che Biden si era mostrato fragile, anziano e confuso, i media e alcuni sostenitori ed esponenti del Partito Democratico hanno cominciato a chiedere il suo ritiro.

Alcune persone in un pub di Chicago guardano il dibattito del 27 giugno

Alcune persone in un pub di Chicago guardano il dibattito del 27 giugno (Scott Olson/Getty Images)

Fine giugno-inizio luglio: le prime pressioni
Inizialmente, la grande campagna per chiedere il ritiro di Joe Biden dalle elezioni presidenziali è stata portata avanti dai media. Alcuni grandi media progressisti che fino al giorno prima avevano sostenuto Biden e non avevano sollevato grossi dubbi sulla sua prontezza fisica dopo il dibattito hanno cominciato a chiederne con insistenza le dimissioni: il più aggressivo è stato il New York Times, che il 28 giugno, quindi il giorno dopo il dibattito, ha pubblicato un editoriale per chiedere a Biden di ritirarsi. Altri media, sebbene meno esplicitamente, hanno cominciato a seguire in maniera minuziosa la storia del possibile ritiro di Biden.

In paragone, le pressioni politiche sono cominciate più lentamente, e almeno all’inizio non sono sembrate sufficienti per convincere Biden al ritiro. I primi esponenti del Partito Democratico a chiedere al presidente di ritirarsi sono stati deputati e senatori semisconosciuti, di secondo piano, che non hanno vera influenza nel partito o sugli elettori a livello nazionale. Nei primi giorni è sembrato che la campagna di pressione per il ritiro di Biden avesse molta forza sui media, ma meno nella politica.

10 luglio: Nancy Pelosi
Dopo le prime, complicatissime giornate di luglio, lo staff di Biden ha organizzato alcune interviste e apparizioni pubbliche per mostrare che il presidente era ancora perfettamente lucido e in controllo. Sono andate tutte generalmente meglio del dibattito contro Trump, ma nessuna benissimo. Biden è sempre sembrato appannato e affaticato, e ha continuato a fare confusione durante i discorsi, soprattutto con i nomi. Durante un’importante conferenza stampa alla riunione annuale della NATO, Biden ha scambiato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky con il russo Vladimir Putin, e la sua vice Kamala Harris con Donald Trump.

Ma il 10 luglio Nancy Pelosi, l’ex speaker della Camera statunitense che è con ogni probabilità la politica Democratica più potente del paese dopo il presidente, ha fatto un’intervista alla rete televisiva MSNBC in cui ha detto: «Sta al presidente decidere se rimanere in gara». È stata una dichiarazione strana, perché il presidente sosteneva che la decisione fosse già presa da tempo, e che lui sarebbe rimasto in gara a qualunque costo. Rimettendo in ballo la questione, Pelosi ha fatto capire che anche lei, la persona più influente dentro al partito, riteneva che Biden dovesse ritirarsi, o quanto meno pensarci davvero bene.

Nancy Pelosi e Joe Biden a maggio del 2024

Nancy Pelosi e Joe Biden a maggio del 2024 (AP Photo/Alex Brandon)

Nei giorni successivi, si sarebbe scoperto che Pelosi aveva già iniziato da tempo a preoccuparsi del fatto che la candidatura di Biden rischiava di far perdere al Partito Democratico non soltanto la presidenza, ma anche ogni possibilità di ottenere una maggioranza al Congresso, e aveva già iniziato a lavorare di conseguenza, parlando con deputati, senatori e con lo stesso Biden.

– Leggi anche: Come si è mossa Nancy Pelosi

13 luglio: l’attentato contro Trump
Sabato 13 luglio un ragazzo di 20 anni ha sparato a Donald Trump durante un comizio elettorale, ferendolo a un orecchio e andando molto vicino a ucciderlo. Una persona del pubblico è stata uccisa, e due sono state ferite gravemente. L’attentatore, Thomas Matthew Crooks, è stato ucciso dai cecchini appostati a difesa di Trump immediatamente dopo aver sparato, e a oggi si sa ancora pochissimo delle sue motivazioni.

L’attentato ha comprensibilmente monopolizzato l’attenzione di tutti gli Stati Uniti e del mondo per qualche giorno, distogliendola dalle difficoltà di Biden.

In realtà, la reazione di Trump nei secondi immediatamente successivi all’attentato – dopo essere stato colpito Trump si è rialzato, ha agitato il pugno energicamente verso il pubblico e ha urlato «Fight! Fight! Fight!» – ha accentuato la differenza di energia, presenza di spirito e prontezza fisica tra i due candidati. Questa differenza ha rispecchiato perfettamente il messaggio principale della campagna di Trump, che cercava di presentare l’ex presidente come un candidato forte ed energico davanti alla fragilità di Biden.

Una foto di Trump e degli agenti del secret service immediatamente dopo l'attentato

Una foto di Trump e degli agenti del Secret Service immediatamente dopo l’attentato (AP Photo/Gene J. Puskar)

15-18 luglio: la convention Repubblicana
Iniziata un paio di giorni dopo l’attentato contro Trump, la convention del Partito Repubblicano è stata sotto molti punti di vista diversa dalle aspettative. Il partito ha cercato di diffondere un messaggio di unità nazionale, e soprattutto si è mostrato praticamente certo della vittoria. Alcuni commentatori hanno notato che più che una convention pre elettorale, quella dei Repubblicani a Milwaukee è sembrata una festa post vittoria.

Un segno del fatto che Trump si sente sempre sicuro di vincere è stato anche la scelta del candidato vicepresidente: J.D. Vance, un ideologo e intellettuale piuttosto estremista, che ha il compito di rivolgersi soprattutto alla base del movimento trumpiano. Davanti a questa crescente sicurezza dei Repubblicani, i Democratici hanno aumentato le loro preoccupazioni.

18 luglio: Biden perde il sostegno
L’ultimo giorno della convention Repubblicana è stato anche quello in cui i principali esponenti del Partito Democratico hanno infine reso nota la loro posizione contro Joe Biden. Quasi nessuno l’ha fatto direttamente, con un comunicato o una dichiarazione, ma tutti hanno fatto trapelare notizie ai giornalisti, che hanno pubblicato articoli basati su fonti anonime. Questi articoli, tuttavia, andavano tutti nella stessa direzione. In pochissime ore Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato, e Hakeem Jeffries, leader di minoranza alla Camera, Nancy Pelosi e perfino l’ex presidente Barack Obama hanno chiesto a Biden di ritirarsi, o hanno fatto intendere che avrebbe dovuto farlo.

A quel punto, è diventato chiaro che Biden aveva perso l’appoggio del suo partito, e che il ritiro sarebbe stato questione di tempo. A complicare le cose ed enfatizzare l’immagine di fragilità di Biden, il presidente è pure risultato positivo al Covid-19, ed è stato costretto a isolarsi e interrompere la campagna elettorale.

Joe Biden e Barack Obama durante un evento per le elezioni di midterm nel 2022

Joe Biden e Barack Obama durante un evento per le elezioni di midterm nel 2022 (Mark Makela/Getty Images)

20-21 luglio: la decisione del ritiro
Secondo vari articoli bene informati usciti sui media americani, Joe Biden avrebbe preso la decisione di ritirarsi sabato 20 luglio nella sua casa di vacanze in Delaware, ancora in isolamento per il Covid, in compagnia di due dei suoi più stretti collaboratori e della moglie Jill Biden. L’ha annunciata domenica 21 luglio, dando il suo endorsement alla vicepresidente Kamala Harris.