Il caso della giudice Apostolico si è risolto un po’ in sordina
Se n'era parlato per settimane, ora il governo ha rinunciato ai ricorsi presentati in Cassazione contro le sue ordinanze che avevano liberato alcuni migranti
Il ministero dell’Interno ha rinunciato ai ricorsi presentati alla Corte di Cassazione contro l’ordinanza del tribunale di Catania che lo scorso settembre aveva liberato quattro persone migranti, opponendosi alle espulsioni accelerate previste dal cosiddetto “decreto Cutro”. È una vicenda giudiziaria complessa, che lo scorso autunno per diverse settimane aveva occupato il dibattito politico per via delle prese di posizione del governo e degli attacchi di diversi politici nei confronti della giudice che emise quell’ordinanza: Iolanda Apostolico. Dieci mesi dopo, il caso si è risolto un po’ in sordina con un ripensamento del governo, che oltre a rinunciare ai ricorsi ha modificato le norme per evitare che la questione fosse trattata dalla giustizia europea.
L’ordinanza della giudice Apostolico era stata emessa alla fine di settembre e riguardava i casi di quattro migranti tunisini tra i 23 e i 38 anni, arrivati via mare a Lampedusa. Come previsto allora dal decreto Cutro, dopo l’identificazione i migranti erano stati posti in stato di detenzione amministrativa e portati al CPR (Centro di permanenza per i rimpatri) di Pozzallo come richiesto dal questore di Ragusa, in attesa che la loro domanda di protezione internazionale fosse esaminata con una procedura accelerata. Alcuni avvocati avevano però fatto ricorso contro il provvedimento di detenzione: il tribunale di Catania, tramite la giudice Apostolico, aveva deciso di non convalidare la richiesta del questore e i quattro uomini erano quindi stati liberati, facendo arrabbiare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e portando a uno scontro abbastanza eclatante tra magistratura e governo.
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Nel motivare la decisione il tribunale aveva giudicato illegittimo il decreto, in particolare la parte sulle espulsioni accelerate, e il decreto attuativo che introduceva una garanzia finanziaria di quasi 5.000 euro: era quella somma che avrebbero dovuto mettere a disposizione i migranti provenienti da paesi “sicuri” tramite fideiussione bancaria, per non attendere in detenzione l’esito della loro domanda.
A quella prima ordinanza ne erano seguite altre, dieci in totale, contro cui il governo aveva presentato ricorso per far valere le norme che aveva approvato. Il ministero dell’Interno si era appellato alla Corte di Cassazione che a sua volta aveva chiesto di risolvere la questione alla Corte di Giustizia europea. La Cassazione aveva chiesto alla Corte europea di valutare in particolare la legittimità della questione della cauzione da 5.000 euro.
Nelle ultime settimane sono successe due cose importanti, segnale di un evidente ripensamento del governo sulle norme contestate. Lo scorso giugno il governo è intervenuto per modificare la cauzione chiesta alle persone migranti: ora va da 2.500 a 5.000 euro e deve essere determinata dal questore valutando «caso per caso e tenuto conto della situazione individuale» oltre che del «grado di collaborazione» della persona migrante durante le procedure di identificazione. In questo modo il governo ha cercato di rispettare il diritto dell’Unione Europea che impone una valutazione caso per caso del trattenimento.
La seconda importante decisione del governo è appunto la rinuncia ai ricorsi in Cassazione contro le ordinanze emesse dal tribunale di Catania, e soprattutto la richiesta alla Cassazione di ritirare la questione pregiudiziale presentata alla Corte di Giustizia europea.
In entrambi i casi il governo si è mosso per evitare che venissero sollevate questioni di incompatibilità a livello europeo, le quali avrebbero pregiudicato l’applicazione del decreto Cutro e il progetto di aprire centri per migranti in Albania. «Hanno timore che la Corte Europea possa pronunciarsi sui quesiti diversi dalla “cauzione” e detti un principio di diritto che impedisca le esternalizzazioni nei paesi terzi», ha detto al Fatto Quotidiano Rosa Emanuela Lo Faro, l’avvocata che rappresenta alcuni dei migranti rilasciati grazie alle ordinanze del tribunale di Catania.
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La vicenda giudiziaria non è ancora conclusa perché Lo Faro ha presentato un’opposizione alla rinuncia del ministero dell’Interno: il prossimo 17 settembre la Cassazione discuterà nel merito di questa rinuncia. La speranza dell’avvocata è che la Cassazione continui a esaminare il ricorso del governo e non rinunci all’appello presentato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. A questo proposito, Lo Faro ha presentato anche alcune osservazioni proprio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, una possibilità prevista in questi casi. Ma con la rinuncia del governo è poco probabile che il ricorso continui a essere esaminato.
Secondo l’avvocata, il mancato pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Cassazione sarebbe un danno soprattutto in vista dell’applicazione del protocollo tra Italia e Albania. «Pensiamo ai migranti portati con le navi direttamente in Albania: qual è in questo caso la zona di frontiera? E quale base giuridica avrà il trattenimento durante il probabile lungo trasporto?», si chiede Lo Faro.
Molto dipenderà dall’orientamento dei giudici di Roma che dovranno valutare le richieste di convalida nei centri per migranti realizzati in Albania: se i giudici riterranno che le norme sulla cauzione (anche se modificate) non rispettino il diritto dell’Unione Europea potrebbero sollevare una nuova questione pregiudiziale, e a quel punto potrebbe essere necessario interpellare nuovamente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.