È stata rintracciata una petroliera di cui si erano perse le tracce dopo un incidente nel mare vicino a Singapore

Una foto pubblicata sul profilo Instagram della Marina della Repubblica di Singapore che mostra l'incendio causato dallo scontro delle due navi
Una foto pubblicata sul profilo Instagram della Marina della Repubblica di Singapore che mostra l'incendio causato dallo scontro delle due navi (Instagram / @singaporenavy)

Domenica la guardia costiera di Singapore ha rintracciato la Ceres I, una delle due navi petroliere che venerdì si erano scontrate in mare davanti alla Malesia. Sabato la Ceres I – che è registrata sotto la bandiera del piccolo stato insulare africano di São Tomé e Principe, ma è di proprietà cinese – si era allontanata dal punto della collisione, circa 55 chilometri a nord-est dell’isola di Pedra Branca che costituisce il punto più orientale di Singapore.

La guardia costiera ritiene che la nave abbia anche spento i sistemi di tracciamento per più di un giorno: domenica è stata individuata in acque malesi, spinta da due rimorchiatori, che sono stati sequestrati insieme alla petroliera per le indagini. Le ricognizioni aeree della guardia costiera hanno riscontrato tracce di una fuoriuscita di petrolio su un’area di 17 chilometri quadrati come conseguenza dello scontro di venerdì, di cui non sono ancora chiare le cause.

Venerdì le autorità di Singapore, responsabili per le attività di ricerca e soccorso marittimo nella zona della collisione, avevano soccorso 36 persone dell’equipaggio delle petroliere, ma 26 erano rimaste a bordo della Ceres I per spegnere l’incendio causato dallo scontro. La Ceres I è stata intercettata a circa 28 miglia nautiche (circa 52 chilometri) dall’isola Tioman, più a nord al largo della costa malese. È stata descritta da diversi esperti come una “nave ombra”: una petroliera che viene usata per operazioni clandestine di trasporto di petrolio proveniente da paesi soggetti a sanzioni, come l’Iran, il Venezuela o la Russia, verso paesi asiatici, come la Cina, ma anche verso gli stessi paesi occidentali che impongono le sanzioni. Queste navi, appartenenti alle cosiddette “flotte fantasma”, sono spesso vecchie, malandate e non assicurate e rappresentano un pericolo per l’ambiente, le persone che ci lavorano a bordo e il traffico marittimo.

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