Israele ha un problema con i droni
Le sue difese antiaeree, assai avanzate e altrettanto celebrate, non sono fatte per abbattere in maniera efficace i droni nemici, come si è visto nell'attacco a Tel Aviv di venerdì scorso
Venerdì scorso un drone guidato dal gruppo yemenita degli Houthi ha ucciso una persona a Tel Aviv, in Israele. L’attacco è stato compiuto con successo nonostante gli avanzati e spesso celebrati sistemi di difesa anti-aerea di Israele, e nonostante quello stesso giorno la contraerea israeliana avesse intercettato ben 65 razzi lanciati dal gruppo libanese Hezbollah. «Israele ha un problema con i droni», ha scritto il Wall Street Journal, che ha cercato di spiegare come sia stato possibile l’attacco di venerdì.
I droni sono piccoli, e quindi difficili da vedere; hanno una traiettoria imprevedibile ed emettono una scia termica molto limitata, il che rende difficile identificarli e colpirli. È facile confonderli con altre cose che volano in cielo, come i droni civili, quelli dello stesso esercito israeliano o anche gli uccelli; costano molto poco, e quindi sono accessibili agli avversari di Israele, ma è molto costoso abbatterli con i metodi che l’esercito ha attualmente a disposizione.
Dall’inizio della guerra a Gaza, e cioè negli ultimi nove mesi, soltanto il gruppo paramilitare libanese Hezbollah, finanziato e rifornito dall’Iran, ha diretto verso Israele almeno un migliaio di droni e si ritiene ne abbia a disposizione un arsenale di almeno 2.500, oltre alla possibilità di assemblarne di nuovi grazie all’aiuto proprio del regime iraniano. Alcuni sono droni da ricognizione, servono cioè a raccogliere informazioni, altri invece causano delle esplosioni come quella che è avvenuta venerdì, in cui è stata uccisa una persona e ne sono state ferite almeno dieci.
Da una decina d’anni l’Iran, che nell’area è uno dei principali avversari di Israele e che finanzia diverse milizie come Hezbollah e gli Houthi, investe nello sviluppo di tecnologie che possano colpire Israele nel suo territorio aggirando il noto sistema di difesa israeliano, che è composto principalmente dall’Iron Dome (“cupola di ferro”), progettato per difendersi dai missili a corto raggio come quelli lanciati da dentro la striscia di Gaza da Hamas; dal sistema Arrow (“freccia”), per i missili balistici; dal sistema Windbreaker (“antivento”) contro i missili anti-carro; e dal David’s Sling (“fionda di Davide”), un sistema antimissilistico mobile.
Nessuna di queste tecnologie è pensata esplicitamente per i droni: dall’inizio della guerra ne sono stati abbattuti a centinaia, ma il tasso di efficacia non è paragonabile a quello dell’Iron Dome per esempio, il più noto tra i sistemi di difesa israeliani.
Spesso infatti i droni sono sfuggiti al controllo dell’esercito, causando danni a obiettivi militari sensibili, ma anche morti e feriti tra soldati e civili. Nel nord di Israele, vicino al confine con il Libano, e cioè il luogo in cui è attiva Hezbollah, alcune città sono deserte, perché sono state evacuate per garantire la sicurezza dei civili. Problemi simili riguardano anche il sud del paese, che invece è interessato maggiormente dagli attacchi dei ribelli Houthi.
Per intercettare gli attacchi con i droni, l’esercito israeliano al momento utilizza fucili antidrone, elicotteri d’attacco oppure gli F-16, aerei da guerra. Le ultime due soluzioni sono le più diffuse ma sono molto complesse: il pilota è portato a volare a quote molto basse e quindi a esporsi ai sistemi antiaerei dei nemici. Inoltre, diversamente dai missili, i droni producono una scia di calore molto bassa, e quindi l’aereo da caccia deve avvicinarsi il più possibile per permettere al suo missile di intercettarne la traiettoria e colpirlo. Tutte queste sono inoltre soluzioni estremamente costose.
L’esperto di sicurezza Yehoshua Kalisky ha detto al Wall Street Journal che se un drone come l’Ababil, che è quello a disposizione dell’esercito iraniano, costa intorno ai 4.500 euro al pezzo, un’ora di volo di un caccia ne costa più di 40mila, mentre l’utilizzo dell’Iron Dome più di 90mila per ciascun obiettivo.
C’è poi un’altra questione da considerare: «Un soldato che sta in una torre di controllo dell’aeronautica, e che identifica un oggetto aereo sospetto, ha una manciata di secondi per decidere se è un oggetto ostile, un uccello, se è un drone civile o è israeliano» ha spiegato ad Haaretz un ufficiale dell’esercito che opera in una base strategica nel nord di Israele, e che ha preferito restare anonimo. «Poi deve agganciarlo, avvertire della minaccia, decidere come intercettarla e verificare che sia stata abbattuta». L’ufficiale ha spiegato al giornale che è capitato diverse volte che venissero lanciati attacchi contro gru, dei grossi uccelli dal collo lungo che lasciano una scia termica che il radar può scambiare per quella di un drone, e altri in cui invece sono stati attaccati i droni dello stesso esercito israeliano.
Infine, c’è un tema di traiettorie: il missile ha una traiettoria calcolabile e precisa, mentre il drone può volteggiare in aria e può cambiare traiettoria durante il volo. Questo rende molto difficile prevedere dove colpirà. Per assicurarsi di colpirne il più possibile, l’esercito israeliano ha aumentato la sensibilità dei radar antidrone, ma questo ha generato molti falsi allarmi e ha aumentato il senso di insicurezza tra la popolazione, perché ogni volta che un drone viene intercettato (sia che sia da attacco, sia che sia di quelli da ricognizione) suona la sirena di allarme, interrompendo le attività e generando il panico.
Per risolvere questo problema l’esercito israeliano, con l’aiuto degli Stati Uniti, sta sperimentando un sistema chiamato Iron Beam (“raggio di ferro”), che dovrebbe entrare in funzione entro il 2025: un sistema di sorveglianza dotato di un’arma che utilizza la tecnologia laser per abbattere le minacce, e che costerebbe molto meno: secondo il governo israeliano basterebbero meno di due dollari per abbattere un drone con l’Iron Beam. Tuttavia al momento questa tecnologia ha diverse problematiche: la sua efficacia diminuisce con il maltempo e può colpire soltanto un obiettivo alla volta, mentre razzi, missili e droni vengono normalmente lanciati verso Israele in sciami di decine o centinaia alla volta.