Gli accordi di Bretton Woods, 80 anni fa

Nell'omonima cittadina degli Stati Uniti fu deciso l'assetto economico che avrebbe governato il mondo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e che in parte è ancora in vigore

Al centro l'economista John Maynard Keynes, insieme ai rappresentanti di Unione Sovietica e Jugoslavia, durante la conferenza di Bretton Woods, nel luglio del 1944 (Hulton Archive/Getty Images)
Al centro l'economista John Maynard Keynes, insieme ai rappresentanti di Unione Sovietica e Jugoslavia, durante la conferenza di Bretton Woods, nel luglio del 1944 (Hulton Archive/Getty Images)
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Il 22 luglio del 1944, ottant’anni fa oggi, ci fu la firma degli accordi di Bretton Woods, una cittadina del New Hampshire, negli Stati Uniti, dove si riunirono i grandi paesi industrializzati per creare un nuovo assetto economico e monetario alla fine della Seconda guerra mondiale. L’obiettivo era eliminare le conflittualità economiche – come quelle che segnarono il decennio immediatamente precedente e che sono considerate tra le cause che portarono all’inizio della guerra – e favorire infine la ricostruzione, la crescita e lo sviluppo: gli accordi ufficializzarono la centralità del dollaro statunitense e degli Stati Uniti, unico paese uscito rafforzato dalla guerra, e crearono istituzioni che esistono ancora oggi, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale.

È a questa portata di riforme che fanno spesso riferimento gli economisti e gli esperti quando durante le conferenze e i consessi internazionali menzionano la necessità di «un nuovo momento Bretton Woods», cioè di un ripensamento complessivo della cooperazione economica mondiale per adattarsi alle sfide attuali, dalla transizione energetica alla concorrenza con la Cina. Tra i capisaldi dell’assetto attuale ci sono infatti dei lasciti di Bretton Woods, che hanno ancora un ruolo rilevantissimo, ma che dal 1944 hanno mostrato alcuni limiti.

A determinare il risultato di allora fu soprattutto il lavoro di due celebri economisti, John Maynard Keynes e Harry Dexter White, i quali rappresentavano rispettivamente il Regno Unito e gli Stati Uniti. Partivano da posizioni molto distanti: Keynes sosteneva maggiormente la necessità di dare ai paesi strumenti per la ricostruzione (essendo il Regno Unito uscito molto più danneggiato degli Stati Uniti dalla guerra), mentre White puntava di più sul costruire un sistema per limitare le rivalità e le discriminazioni in economia, come tutto il sistema di protezionismi commerciali o di manipolazioni delle monete che caratterizzò gli anni Trenta del Novecento.

Alla fine fu trovato un compromesso, sebbene sbilanciato verso la posizione degli Stati Uniti (ci arriviamo), e furono così create due istituzioni, con compiti diversi ma complementari, che avevano il compito comune di garantire un coordinamento economico che fosse davvero efficace a livello internazionale: il FMI doveva servire a garantire la stabilità monetaria internazionale e a dare prestiti di emergenza in caso un paese si trovasse in una grave situazione di squilibrio economico; alla Banca Mondiale fu invece affidato il compito di aiutare la ricostruzione dei paesi più colpiti dalla guerra attraverso finanziamenti ai governi.

Partiamo dal FMI e dalle regole monetarie, forse il motivo per cui sono diventati così famosi gli accordi di Bretton Woods. Quello nato nel 1944 e diffuso in tutto il mondo occidentale (l’Italia entrò a farne parte negli anni Sessanta) era un sistema che contribuì soprattutto a cambiare per sempre il ruolo dell’oro all’interno dell’economia, a vantaggio del dollaro statunitense, che da allora è al centro dell’ordine economico mondiale.

Fino alla Prima guerra mondiale la valuta di riferimento era la sterlina, ma in generale tutte le monete ruotavano intorno all’oro, che era il vero protagonista dei sistemi monetari. Il sistema di allora si chiamava il gold standard: le banche centrali dovevano sempre assicurare la convertibilità delle banconote e delle monete in oro vero, che doveva essere tenuto come riserva in proporzione alla quantità di banconote e monete in circolazione. In termini pratici si poteva andare in banca e chiedere di scambiare le proprie banconote con oro e questo garantiva un certo livello di valore alle banconote e alle monete, che di per sé non sono fatte di materiale prezioso.

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Con la Prima guerra mondiale, la ricostruzione e la crisi economica questo sistema con le sue rigidità diventò insostenibile: i governi avevano bisogno di denaro e non potevano emetterne di nuovo se non accumulando ulteriori riserve di oro. Una buona parte degli Stati arrivò a sganciare la propria valuta dall’oro o a svalutare il rapporto di cambio tra riserve e banconote emesse. Fu così che si arrivò a un nuovo sistema monetario internazionale, il gold exchange standard: affiancava all’oro, troppo scarso, le valute estere ancora convertibili in oro, che potevano essere usate come strumento di riserva e per i pagamenti. In quel momento il dollaro divenne la valuta di riferimento mondiale: non solo era diffusissima perché gli Stati Uniti stavano largamente finanziando la ricostruzione, ma erano il paese con più riserve d’oro al mondo e quindi con più moneta emessa.

A Bretton Woods fu sostanzialmente ufficializzata la centralità del dollaro, e in questo senso gli accordi hanno infine favorito gli Stati Uniti: si creò cioè un sistema solo parzialmente legato all’oro, nel senso che il valore di tutte le monete dei paesi che ne facevano parte era vincolato al dollaro – attraverso un sistema di cambi fissi ma aggiustabili – e il dollaro era a sua volta vincolato e convertibile in oro (ed era l’unica moneta a esserlo). In questo modo il dollaro, sostenuto dalla potenza economica, finanziaria e militare degli Stati Uniti, finì con il diventare una sorta di sostituto dell’oro stesso: il mezzo di scambio di maggiore affidabilità e quindi necessario agli scambi internazionali tra paesi con monete differenti.

Il Fondo Monetario Internazionale avrebbe dovuto sostanzialmente vigilare sul rispetto di questo meccanismo e intervenire nel caso qualche stato si fosse trovato nella condizione di non riuscire più a garantire il sistema di cambi fissi in relazione al dollaro.

Il sistema di Bretton Woods mostrò presto i suoi limiti. Fin dagli anni Sessanta il sistema che legava l’oro al dollaro cessò di avere qualsiasi valore che non fosse simbolico. Come tutti i sistemi aurei precedenti, anche quello di Bretton Woods si era trovato di fronte alla necessità di superare la ristrettezza nelle riserve auree mondiali. Bisognava scegliere: o accettare che nel mondo non ci fossero abbastanza dollari per rendere possibile il commercio internazionale, o accettare che non ci fosse abbastanza oro per rendere convertibili tutti i dollari in circolazione. Fu fatta la seconda scelta e a partire dagli anni Sessanta gli americani non avevano più abbastanza oro con cui coprire le emissioni di dollari.

All’inizio degli anni Settanta, sotto la spinta di pressioni interne e internazionali, il presidente statunitense Richard Nixon decise di ammettere che il sistema basato sull’oro non esisteva più. Quando nel 1971 annunciò la fine della convertibilità dei dollari in oro Nixon diede inizio a una nuova epoca di moneta nella quale ci troviamo ancora oggi: quella della cosiddetta moneta fiduciaria o fiat (che sia fatta, dal latino). Le banconote e le monete hanno valore in quanto ne è stato dichiarato il loro corso legale e non perché sono effettivamente convertibili in metalli preziosi.

Da allora l’obiettivo del FMI è cambiato, e si è spostato sul mantenimento della stabilità finanziaria internazionale: concede prestiti a paesi in crisi che non sono più in grado di accedere ai normali meccanismi dei mercati finanziari, come successe alla Grecia nel 2011 e come succede attualmente a vari paesi del mondo, come l’Argentina e il Pakistan.

L’azione del FMI ha comunque negli anni presentato molti limiti, a partire dalle rigide condizioni a cui sono sottoposti i suoi prestiti: come nel caso della Grecia, il FMI chiede ai paesi riforme talvolta talmente gravose da essere anche controproducenti. In più non è stato in grado di arginare davvero gli squilibri economici internazionali, col risultato che esistono paesi che hanno accumulato negli anni enormi debiti verso l’estero (primi tra tutti gli Stati Uniti), a fronte di paesi che hanno accumulato enormi crediti (come la Cina).

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Per quanto riguarda invece la Banca Mondiale, la seconda istituzione creata a Bretton Woods, dopo la sua istituzione divenne evidente che in realtà il compito della ricostruzione lo aveva principalmente assunto il piano Marshall, il grande progetto di aiuti economici provenienti dagli Stati Uniti e diretti ai paesi europei. Nel corso degli anni lo scopo della Banca Mondiale è quindi cambiato e si è evoluto: oggi si occupa di studiare i processi che portano le nazioni allo sviluppo economico e soprattutto di offrire capitali a lungo termine, assistenza e consulenza ai paesi più poveri per crescere e iniziare a prosperare. Recentemente è diventato sempre più problematico il suo rapporto con le fonti fossili, che indirettamente continua a finanziare in modo massiccio.

Inizialmente la Banca Mondiale nacque con il nome Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS), a cui con il tempo si aggiunsero altre istituzioni: tra queste le più rilevanti sono l’International Finance Corporation (IFC), il cui unico compito è stimolare gli investimenti esteri e fornire capitali alle aziende nei paesi in via di sviluppo, e l’International Development Association (IDA), che concede prestiti a condizioni di favore ai paesi particolarmente svantaggiati. Con l’espressione Banca Mondiale generalmente si intendono solo la BIRS e la IDA, mentre con l’espressione “gruppo della Banca Mondiale” tutte le varie istituzioni insieme.

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