Si può essere turisti responsabili?
L'overtourism è un problema politico e strutturale, ma ci sono approcci e comportamenti che si possono seguire per andare comunque in vacanza limitando il proprio impatto negativo
di Viola Stefanello
Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Turismo (UNWTO), nel 2019 i paesi del mondo nel loro insieme registrarono 1,5 miliardi di ingressi di turisti stranieri. Il numero era in rapido e costante aumento da anni, trainato da vari fattori, dalla crescita delle classi medie e quindi dall’aumento del potere d’acquisto anche in paesi popolosi come Cina e l’India ai prezzi particolarmente bassi dei biglietti aerei e dell’alloggio offerto su piattaforme come Airbnb. È calato drasticamente nel 2020 e nel 2021, per via delle limitazioni ai movimenti dovute alla pandemia, e poi è tornato lentamente a risalire: sempre secondo l’UNWTO, nel 2023 gli ingressi di turisti internazionali sono stati 1,3 miliardi, circa l’88 per cento del dato del 2019.
La gran parte dei flussi turistici tende a concentrarsi massicciamente in alcune località particolarmente famose, sia per la loro rilevanza storica che per la loro rinomata bellezza. E l’arrivo di milioni di persone in un singolo territorio, spesso in una specifica stagione, porta notoriamente assieme alla ricchezza una serie di grossi problemi per le persone che ci vivono, come quelli al centro delle proteste in Spagna e di vari provvedimenti in Giappone rivolti a contenere l’impatto del turismo. Ma è un problema ricorrente anche in varie località italiane.
La responsabilità della gestione dei flussi turistici e della minimizzazione delle conseguenze negative per la cittadinanza locale ricade in larga parte sulle amministrazioni locali, sui governi e sull’industria del turismo. Ma anche a livello individuale, da persone amanti dei viaggi ma anche preoccupate dell’impatto negativo che il turismo può avere, negli ultimi anni si sono sviluppate nuove sensibilità e attenzioni ai modi con cui si può praticare il cosiddetto “turismo responsabile”, continuando cioè a viaggiare per vedere il mondo ma facendolo in un modo più consapevole e accorto.
«Il turista responsabile è quello che è consapevole delle conseguenze delle proprie azioni ed è disposto a modificarle se si rende conto che sono negative», spiega Corrado Del Bò, professore di filosofia del diritto all’Università di Bergamo e autore di Etica del turismo. Responsabilità, sostenibilità, equità (2017). «Ovviamente pensare che sia il comportamento dei turisti a rendere il turismo responsabile o sostenibile è una narrazione di comodo, fondamentalmente utopistica, dato che c’è bisogno di interventi radicali», dice. «L’impatto di ogni singola persona o famiglia che viaggia è piuttosto ridotto. Il fatto è che bisogna moltiplicarlo per numeri importanti: in questo senso il turismo è un’attività leggera e vacanziera che ha l’impatto di una raffineria».
Così come i comportamenti individuali possono contribuire ad aiutare l’ambiente, però, è anche vero che i singoli possono essere turisti responsabili. Il Center for Responsible Travel (CREST), una delle più importanti organizzazioni internazionali che si occupano del tema, ha per esempio pubblicato una lunga lista di comportamenti che si possono adottare, a seconda del tipo di viaggio che si ha in mente.
Qualche consiglio ovvio
Tra i turisti europei una delle tendenze più diffuse, e quindi con un impatto maggiore, è quella di prendere un volo low cost per passare il weekend in una grande città che dista una o due ore di volo da dove ci si trova, evitando di rivolgersi a un’agenzia di viaggio e trovando le cose da fare e gli alloggi dove stare con qualche ricerca su internet. È un approccio che permette di risparmiare tempo, denaro ed energie, e quindi è privilegiato soprattutto dalle persone più giovani, che vogliono vedere un po’ di mondo ma non possono permettersi grosse spese. Non è necessario abbandonarlo del tutto, soprattutto se non ci si può permettere di viaggiare in altro modo, ma si può fare qualche aggiustamento per essere turisti più responsabili.
Un primo consiglio ovvio è quello di viaggiare fuori stagione, non solo perché normalmente è meno costoso ma anche per evitare di contribuire al sovraffollamento e per avere un impatto economico positivo in periodi dell’anno in cui le persone che lavorano con il turismo guadagnano molto meno. Andare a Parigi per un weekend nella settimana delle Olimpiadi, in piena estate, è diverso da andarci a marzo, così come andare a Roma tra la primavera e l’estate è diverso da andarci in inverno. Non tutti, chiaramente, possono scegliere liberamente i giorni in cui andare in vacanza, soprattutto se si hanno figli in età scolastica, ma per chi può farlo viaggiare in bassa stagione fa già una certa differenza.
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Anche il tema del mezzo di trasporto scelto è centrale: il trasporto aereo e quello in nave da crociera emettono moltissima anidride carbonica e altre sostanze inquinanti. È consigliabile, quando possibile, evitare destinazioni che richiedano di usare questi mezzi e viaggiare invece in treno, magari diminuendo il numero di tappe che si fanno e passando più giorni in ogni località, seguendo la cosiddetta filosofia dello “slow tourism”. Per le destinazioni che richiedono necessariamente di prendere l’aereo, il CREST consiglia di informarsi sugli aeroporti che si impegnano di più a favore della sostenibilità, come quello di Oslo in Norvegia, di Boston negli Stati Uniti o di Singapore.
Un altro fattore che ha un impatto notevole sulle località turistiche è il tipo di alloggio che si sceglie. Uno dei più grandi e accesi dibattiti che riguardano l’eccesso di turismo negli ultimi anni è dovuto alla diffusione di Airbnb. La piattaforma inizialmente permetteva a individui e famiglie con una camera libera in casa propria di metterla in affitto per qualche giorno all’anno, arrotondando. Oggi è però diventata tutt’altra cosa, e in molte città in tutto il mondo è accusata di aver incentivato un sistema in cui interi appartamenti vengono affittati per brevi periodi a turisti invece di rimanere disponibili a prezzi più bassi per gli affitti a lungo termine, alzando quindi il costo degli affitti per i residenti e arricchendo soltanto chi è già ricco, possedendo una o più case.
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Ci sono alternative valide, più “responsabili”, a seconda del tipo di viaggio che si ha in mente. Le persone più avventurose hanno sempre l’opzione del “couchsurfing”, ovvero di dormire sul divano di qualcuno del posto, che l’ha messo a disposizione su appositi siti o gruppi sui social network. Per chi vuole stare più comodo è una buona idea dormire in hotel, alberghi e b&b tradizionali: spesso nelle grandi città non costano molto di più degli Airbnb, e soprattutto se sono a conduzione familiare o slegati da grandi multinazionali del turismo contribuiscono all’economia locale. Anche se un albergo è presente su siti come Booking o Hotels.com è una buona idea controllare se ha un proprio sito indipendente o un indirizzo email, e in tal caso contattarli separatamente in modo da aggirare le commissioni che altrimenti pagherebbero alla piattaforma.
Se si viaggia fuori dalle città, poi, le opzioni aumentano ulteriormente. Ci sono i campeggi, compresi quelli che mettono a disposizione sistemazioni più confortevoli delle tende, come i bungalow, ma anche agriturismi a conduzione familiare. In varie cittadine italiane dal Trentino alla Sicilia si sta sperimentando con un certo successo il sistema degli “alberghi diffusi”, trasformando in alloggi per turisti vecchi edifici vuoti e dismessi, ristrutturati.
Sono entrambe opzioni ottime per chi vuole passare del tempo rilassandosi in montagna, al mare o in campagna. Chi è attratto dall’idea di passare le vacanze in questo modo, rimanendo nello stesso posto per una settimana o più, può scegliere di farlo in località meno frequentate, come zone marittime non di moda o valli alpine diverse da quelle famose per gli impianti sciistici. È una forma di villeggiatura un po’ d’altri tempi, ma può essere più appagante e riposante di altri tipi di vacanza.
Esistono ormai decine di etichette che certificano l’impegno a favore della sostenibilità di hotel, ristoranti, tour operator, intere città. Con “sostenibilità”, in questo caso, non si intende solo l’impatto ambientale, le pratiche per la riduzione dell’uso di energia o di acqua, ma anche le condizioni di lavoro dei lavoratori e l’origine dei prodotti impiegati in un ristorante. Alcune di queste certificazioni sono riconosciute dal Global Sustainable Tourism Council, l’ente certificatore dell’UNWTO e del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Molte altre servono soprattutto a fare bella figura e attirare i clienti, ma non danno vere rassicurazioni sulle pratiche di sostenibilità adottate. Per distinguere quelle più credibili dalle altre c’è questa guida (in inglese).
Percorsi alternativi
Un altro consiglio ovvio è quello di esplorare destinazioni meno conosciute e turistiche, soprattutto se si ha più di un weekend. «Nella mia esperienza non esiste tutta questa libertà individuale: nel momento in cui ti sposti vieni facilmente inserito in percorsi già tracciati che hanno un impatto difficile da controllare», racconta la content creator Eleonora Sacco, anche nota con il nome del suo blog, Pain de Route. «Quello che si può fare è scegliere zone meno gettonate, anche solo per evitare di ingolfare meccanismi già sufficientemente sovraccarichi. Il mondo è grande, e non ci sono solo quei dieci posti dove tutti vanno ogni santa estate. Al contempo, chiaramente non tutti i posti sono pronti a ricevere turisti o hanno sufficienti infrastrutture».
Lei, per esempio, è specializzata nell’organizzazione di viaggi nei paesi del Caucaso e dell’Asia centrale. I viaggi che organizza insieme al tour operator Soviet Tours sono relativamente pochi ogni anno – «perché andiamo in posti talmente delicati che ampliare l’offerta vorrebbe dire danneggiarli» – e mettono sempre a disposizione un mediatore culturale che parte dall’Italia ma conosce molto bene la lingua, la storia e la cultura del posto. «Sono posti che non promuoviamo al di fuori del tour: io stessa chiedo alle persone di non pubblicare sui social network le foto di determinati posti, né delle persone che incontriamo, o quanto meno di non inserire un geotag dei posti dove passiamo in caso carichino qualcosa online, perché vogliamo sconsigliare il turismo inconsapevole in quelle zone», spiega Sacco. «Conosciamo tutti i limiti del turismo, ma cerchiamo di muoverci con l’approccio meno coloniale possibile».
Altri italiani che organizzano viaggi di gruppo con un’impostazione di questo tipo sono l’antropologa Elena Dak, specializzata nei paesi dell’Africa subsahariana, e il tour operator Spazi d’Avventura.
A chi vuole o può restare in Europa e viaggiare in treno, lei consiglia di esplorare la campagna della Slovacchia o le città di Romania e Polonia, «che sono già aperte all’idea di ricevere turisti ma sono meno sovraffollate di altre città europee come Barcellona, Venezia o Parigi».
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Un ulteriore consiglio è quello di capire cosa si apprezza particolarmente a livello artistico, storico o architettonico, e seguire un percorso dedicato a quell’interesse piuttosto che quelli più comuni, incentrati su pochi monumenti e musei popolarissimi. «Io per esempio sono appassionata di architettura modernista, quegli edifici che molti considerano brutti, e trovo sempre molto divertente andare a scovare posti remoti in quartieri periferici», dice. «In questo caso c’è una linea di guide in inglese veramente ben fatte con sede a Berlino, che si chiama Dom Publishers, e ce ne sono per tantissime città italiane. C’è una guida della Venezia modernista che ignora tutti gli edifici antichi e considera solo i monumenti e le opere architettoniche del Novecento: stai sicuro che nessuno andrà a vedere le cose che stai andando a vedere tu».
In generale, ha senso tenere a mente che quasi tutti si informano sulle cose da fare in vacanza cercando su Google frasi come «Dieci cose da fare a Madrid» o «Principali attrazioni di Parigi», il che contribuisce poi ad affollare specifiche vie, mercati, musei, attrazioni. Molto spesso ci sono però tantissime altre cose belle e interessanti da vedere in queste località che ottengono molta meno attenzione. Acquistare una guida turistica – o prenderla in prestito in biblioteca – può aiutare a scoprire anche queste attrazioni meno popolari. Online, poi, ci sono siti come Atlas Obscura, che si specializzano nel raccomandare posti strani, misteriosi o un po’ esoterici (e organizzano anche esperienze e viaggi di gruppo).
Un’altra idea è quella di affidarsi a tour operator che si occupino specificatamente di organizzare esperienze di turismo responsabile. La sezione italiana del WWF, la grande organizzazione mondiale dedicata alla conservazione della natura, organizza per esempio viaggi e campi estivi «alla scoperta dei territori più ricchi di biodiversità». Gianluca Mancini, responsabile di WWF Travel, spiega che «quello che cerchiamo di fare, con grande difficoltà, è trovare mete e destinazioni dove il turismo porti veramente un contributo economico che permetta di finanziare la conservazione della natura dove altrimenti mancherebbe». I loro tour vanno da 4 a 12 persone e sono accompagnati da una guida italiana accompagnata da persone del luogo che hanno esperienza di tematiche naturalistiche: ne vengono organizzati vari ogni anno, in paesi lontani come Argentina e Borneo, meno conosciuti come Gibuti e Repubblica Centrafricana ma anche più vicini, come Finlandia, Norvegia e Polonia.
«L’obiettivo dei nostri progetti turistici è cercare di creare consapevolezza e fare divulgazione su temi ambientali, ma anche di aiutare concretamente la conservazione», dice Mancini. «Cerchiamo destinazioni interessanti dal punto di vista faunistico e naturalistico e portiamo turismo dove ce n’è poco, finanziando l’ingresso nei parchi in modo da sostenere economicamente attività di salvaguardia della fauna che ci vive, oltre a dare un contributo economico a tutte le attività parallele all’ingresso ai parchi». Quando non dormono in tenda, i gruppi guidati dai loro tour sono ospitati in piccole strutture alberghiere gestite da persone del luogo, «per mantenere il ciclo economico all’interno della comunità locale».
Mancini riconosce comunque che «non esiste un viaggio che non abbia qualche tipo di impatto negativo, anche solo per il fatto di prendere un aereo o, sul posto, con mezzi che in certi paesi hanno principalmente motori a combustione». Ma vede comunque il turismo come uno strumento importante di conservazione: nella sua esperienza, soprattutto nei paesi in via di sviluppo dove il turismo non è particolarmente sviluppato, il fatto che un certo numero di persone arrivi dall’estero per ammirare la fauna e la flora locale è un forte incentivo a tutelare quei territori.
Altri tipi di vacanza
Se quel che preoccupa di più è l’impatto ambientale del proprio viaggio, sono molto consigliati i viaggi in bicicletta o i lunghi cammini a piedi: da anni, per esempio, sono in grande aumento le persone che percorrono il Cammino di Santiago, tra Francia e Spagna, e la Via Francigena, che parte da Canterbury in Inghilterra e arriva a Roma. In Italia esistono da tempo comunità come Cammini d’Italia, che offrono informazioni sui vari percorsi disponibili a seconda dei gusti.
Anche gli appassionati di escursioni, però, devono preoccuparsi di cosa fanno durante i propri percorsi. «I viaggi a piedi sembrano immuni dal turismo di massa, ma non lo sono», dice Carmelo Vanadia, guida escursionistica esperta. «Spesso vediamo i territori che attraversiamo come prodotti da consumare, visitare, spolpare: non c’è una grande differenza con le città d’arte che vengono prese d’assalto. Molte cittadine attraversate dal Cammino di Santiago, per esempio, oggi sono piene di bed and breakfast. Le comunità locali dipendono interamente dalla presenza o meno dei turisti, si cristallizzano in una forma che è quella che piace a loro».
Vanadia da un paio d’anni ha aperto insieme a due soci un “laboratorio di esplorazioni a piedi” chiamato Georama, e organizza viaggi che si concentrano sull’esperienza di camminare e attraversare territori diversi, dal centro città alla periferia alla campagna e poi alla montagna – per esempio da Milano a Genova, o da Trieste a Lubiana in Slovenia – spiegando man mano i motivi per cui un determinato territorio ha la conformazione che ha.
«È importante evitare di trasformare il cammino in un prodotto, perché succede spesso che un sentiero venga “scoperto” e trasformato attraverso una pesante operazione di marketing in un brand facilmente riconoscibile, facendolo diventare un’autostrada per escursionisti che si concentreranno tutti lì perchè è il place to be».
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Per chi vuole fare un’esperienza in paesi lontani c’è l’opzione del turismo educativo o del cosiddetto “volontourism”, ovvero di quei programmi che permettono di vivere all’estero per periodi che vanno dalle poche settimane a qualche mese contribuendo a progetti di conservazione ambientale o iniziative a beneficio delle comunità locali. Esistono tante associazioni, agenzie e aziende che offrono esperienze di questo tipo, e non tutte sono effettivamente sostenibili o utili per le persone del luogo: il CREST ha messo insieme una guida (in inglese) per imparare a riconoscere le organizzazioni affidabili. Include anche le domande che ha senso farsi prima di investire su un viaggio di questo tipo.
Qualche ultima cosa da tenere a mente
Anche per chi preferisce organizzare i propri viaggi da sé rimangono varie indicazioni che si possono seguire per essere turisti più responsabili. Alcune possono sembrare scontate: il Center for Responsible Travel ricorda di essere «culturalmente sensibili», e quindi di chiedere il permesso prima di entrare in luoghi sacri o terreni privati, di non fare foto alle persone senza il loro consenso e di vestirsi in modo appropriato per le usanze locali.
Dal punto di vista ambientale, il CREST consiglia di informarsi sul sistema di riciclo dell’immondizia della destinazione e seguirlo quando ci si trova in un’altra città. Se si sceglie una meta naturalistica, cercate di ridurre al minimo i rifiuti, portateli via con voi alla fine della visita e rimanete nei percorsi tracciati, evitando di interagire con la fauna. In entrambi i casi è una buona idea capire in anticipo se la destinazione ha problemi di scarsità di qualche risorsa – come l’acqua o l’elettricità – per assicurarsi di usarla eventualmente in modo morigerato.
Per chi visita soprattutto città, il CREST ricorda di scegliere i ristoranti in cui si mangia e i negozi in cui si comprano souvenir in modo da lasciare quanti più soldi possibili nell’economia locale. E quindi evitare i ristoranti di catene multinazionali o gli oggetti made in China, cercando le botteghe di piccoli artigiani locali e ristoranti gestiti da locali.
Un ultimo consiglio condiviso da vari esperti è quello di essere consapevoli del fatto che fenomeni come l’overtourism non sono dati soltanto dal numero eccessivo di persone in un dato luogo, ma anche dalle politiche urbanistiche, infrastrutturali e abitative di una destinazione: è, insomma, un problema politico a cui non tutte le amministrazioni prestano attenzione. Una cosa che le persone preoccupate dall’impatto del turismo possono fare è informarsi su eventuali associazioni che si occupano del tema sul proprio territorio e contribuire alle loro attività: in Italia sono diverse le città dove temi come il diritto all’abitare e la ridistribuzione delle risorse economiche portate dal turismo sono molto discussi tra la cittadinanza.
«A livello di gestione del turismo è più facile dire al turista di non venire piuttosto che alla municipalità di trovare soluzioni per gestire il turismo diversamente», dice Stefania Escobar, ricercatrice della Libera università di Bolzano che studia l’impatto del turismo sui territori. «È importante non solo promuovere una destinazione, ma anche avere in mente progetti di lungo periodo sulla gestione di quei turisti».
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