Anche stavolta Maduro giocherà sporco alle presidenziali
In Venezuela si vota tra una settimana e il presidente sta facendo di tutto per evitare che vinca l'opposizione, che è molto avanti nei sondaggi indipendenti
In Venezuela manca una settimana alle elezioni presidenziali del prossimo 28 luglio e il presidente Nicolás Maduro, che è in carica dal 2013 e governa il paese in maniera autoritaria, sta facendo tutto il possibile per deciderne il risultato. Maduro è molto impopolare: secondo sondaggi indipendenti la coalizione dell’opposizione, guidata dall’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, ha un vantaggio di più di 20 punti percentuali.
Il Partito Socialista Unito del Venezuela, guidato da Maduro, è al potere da 25 anni e sta attraversando da tempo una grossa crisi di consensi, a causa soprattutto del pessimo stato dell’economia venezuelana. Negli ultimi mesi il partito ha fatto una specie di prova generale della mobilitazione per portare i suoi elettori ai seggi e ha provato a raccogliere consensi con misure populiste: ha alzato gli stipendi ai dipendenti pubblici e ha promesso nuovi progetti infrastrutturali.
La repressione del governo venezuelano è aumentata con l’avvicinarsi delle elezioni. Oltre a cercare di mobilitare i propri elettori, si è impegnato per rendere difficile l’accesso al voto ai sostenitori dell’opposizione: per esempio impedendo quasi del tutto il voto all’estero, dove sarebbero andati a votare molti venezuelani scappati dal paese a causa della situazione economica disastrosa, della repressione del regime o di entrambe le cose.
«È una gigantesca frode pre-elettorale», ha detto al New York Times Ligia Bolívar, fondatrice della ong per i diritti umani Provea. Gli elettori venezuelani all’estero non sono pochi: si stima che siano tra i 3,5 milioni e i 5,5 milioni, su un elettorato complessivo di 21 milioni di persone. A causa delle restrizioni del governo, solo 69mila di loro sono riusciti a registrarsi per votare.
Ci sono poi gli attacchi diretti all’opposizione. Già a febbraio il presidente aveva ordinato il dispiegamento delle polizia e dell’esercito «per impedire qualsiasi attentato terroristico o colpo di stato»: di fatto è stata una campagna di arresti mirata contro l’opposizione. Solo negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale sono state arrestate almeno 71 persone tra esponenti e collaboratori dei partiti che sostengono González.
L’ultimo caso risale a mercoledì scorso e ha riguardato Milciades Ávila, il capo della sicurezza di María Corina Machado, la leader più rappresentativa dell’opposizione a cui a marzo il regime aveva vietato di partecipare alle elezioni. Ávila è stato arrestato sulla base di accuse che l’opposizione ritiene pretestuose. Giovedì invece sono state vandalizzate due auto di Machado: a una delle due sono stati sabotati i freni. Machado ha accusato in un post su X il governo di «fare campagna con la violenza» e di mettere a rischio la sua incolumità.
Maduro ha utilizzato anche forme di repressione mirata che somigliano a piccole vendette verso i sostenitori delle opposizioni. Per esempio, il governo ha mandato gli ispettori del fisco a sanzionare chi aveva aiutato o anche solo ospitato Machado e González durante il loro tour nel paese. In alcuni casi erano attività molto piccole, bar o alberghi in luoghi remoti del Venezuela, che poi sono stati costretti a chiudere perché non erano in grado di pagare le multe.
Per assicurarsi una bassa affluenza di elettori ed elettrici critici verso il governo, ad aprile il ministero dell’Istruzione aveva cambiato il nome a più di 6mila scuole, molte delle quali ospitano i seggi, nella speranza di creare confusione.
Anche la scheda elettorale è piuttosto confusionaria: ha 38 caselle, tante quanti i partiti. Ogni casella riproduce il nome e la foto del candidato presidente sostenuto da quel partito. Così Maduro compare 13 volte, soprattutto nella parte alta della scheda, quella più visibile.
Inoltre, un alleato politico del presidente come Luis Martínez risulta candidato con Azione Democratica (AD), lo stesso nome di un partito dell’opposizione che è stato sciolto mesi fa. Martínez compare 6 volte sulla scheda, contro le 3 di González. «Devo spiegare a mia madre che l’AD sulla scheda elettorale non è la stessa per cui ha sempre votato», ha raccontato un elettore ad Associated Press.
Oltre ai metodi già utilizzati, ci sono poi le ipotesi su quello che Maduro potrebbe fare per influenzare il risultato elettorale. Una di queste è che il governo possa rinviare il voto, magari dichiarando un’emergenza nazionale. Secondo i giornali internazionali il presidente potrebbe usare come pretesto le tensioni nella Guayana Esequiba, la regione della Guyana che Maduro pianifica di annettere da mesi.
Anche le ultime elezioni che si sono tenute nel 2018, quando Maduro era già in carica da cinque anni, non erano state libere. All’epoca infatti il regime aveva escluso i candidati che avevano più consensi: il presidente potrebbe rifarlo, anche se manca poco alle elezioni. Per esempio se Piattaforma unitaria democratica (il principale partito dell’opposizione) venisse messo fuori legge, Maduro potrebbe dichiarare invalida una quota consistente dei voti a González.
Oppure Maduro potrebbe direttamente truccare il voto elettronico: è un’ipotesi plausibile perché lo ha già fatto in passato. Secondo gli osservatori indipendenti, al referendum dello scorso dicembre sull’annessione della Guayana Esequiba avevano votato circa tre milioni di persone; il regime aveva diffuso un dato gonfiato, di 10,4 milioni di persone. Nel 2017 era stata l’azienda che aveva fornito le macchine per il voto elettronico a dire che il risultato di un altro referendum era stato manipolato.
«Gli autocrati adorano indire elezioni, che continuano a essere fonti di legittimazione politica, sia all’estero che in patria», ha spiegato Steven Levitsky, co-autore del libro Come muoiono le democrazie: «Se sai di essere impopolare, e Maduro sa di esserlo, allora devi impedire un’elezione veramente competitiva se vuoi restare al potere».
L’opposizione, nelle dichiarazioni pubbliche, sembra comunque fiduciosa. «Se tutti i voti saranno contati, vinceremo nettamente», ha detto Machado in un’intervista al Financial Times. La coalizione di González si sta organizzando per mandare 600mila persone nei seggi a controllare eventuali irregolarità.
I suoi dirigenti hanno qualche speranza che Maduro possa addirittura accettare una sconfitta: per questa ragione González ha promesso che non ci saranno ritorsioni nei confronti dell’opposizione e chiama Maduro «presidente», a differenza di altri esponenti e attivisti che non lo considerano un presidente legittimo. Maduro finora ha però sempre dato dei «fascisti» agli avversari e prospettato una «guerra civile» qualora perdesse le elezioni.