E ora che succede?
Sarà la convention di Chicago a scegliere chi sostituirà Biden, dal 19 agosto: ma sappiamo già quale sarà la candidatura più forte
di Francesco Costa
Il ritiro di Joe Biden dalla campagna elettorale per le elezioni presidenziali statunitensi del 5 novembre lascia il Partito Democratico senza un candidato, a quattro mesi dal voto e in una situazione molto complicata nei sondaggi, mentre il Partito Repubblicano ha appena scelto Donald Trump a una convention che è stata anche uno show di ottimismo e unità.
Il Partito Democratico ha delle regole per questo tipo di circostanze, e specificamente per sostituire un candidato alla presidenza per cause di «morte, rinuncia o grave disabilità». Joe Biden non era ancora formalmente il candidato del partito: quella decisione spetta alla convention, un grande congresso che si riunirà a Chicago dal 19 al 22 agosto. Sarà la convention quindi a scegliere chi candidare al suo posto.
Alla convention partecipano quasi quattromila persone tra funzionari, dirigenti e attivisti del partito, tutti eletti a gennaio con le primarie che avevano visto Biden trionfare praticamente senza avversari. La decisione di Biden di ricandidarsi aveva tenuto alla larga dalla competizione tutti i politici con curriculum e ambizioni tali da giustificare una candidatura alla Casa Bianca. Questi delegati ora saranno liberi di decidere per chi votare. La decisione andrà presa a maggioranza assoluta.
– Guarda anche: Cosa sono (e come funzionano) le CONVENTION americane
Allo stesso modo, chiunque vorrà candidarsi potrà farlo, anche se non ha partecipato alle primarie. Contestualmente al suo ritiro, Joe Biden ha annunciato di voler sostenere la candidatura alla presidenza della sua vice Kamala Harris, a questo punto sicuramente la favorita: il fatto che faccia parte dell’amministrazione, che fosse già di fatto candidata a queste elezioni seppure con un altro ruolo e che abbia il sostegno di Biden dovrebbe unire la grande maggioranza del partito, desideroso di concentrarsi sugli sforzi per battere Trump.
Inoltre, Harris potrebbe usare facilmente le risorse e infrastrutture già a disposizione del comitato Biden. Ma potrebbe non essere interessata a un’incoronazione, non fosse altro che per ragioni di immagine, e potrebbe essere sfidata anche solo da candidati apertamente di minoranza desiderosi di dare voce e visibilità a una causa o una corrente ben precisa.
Normalmente alle convention si prendono decisioni soprattutto cerimoniali, formali: è innanzitutto un’occasione per il partito e il candidato di presentare progetti e idee al paese. Stavolta invece le decisioni saranno decisioni vere: per esempio anche quella del nuovo candidato alla vicepresidenza. Non è detto che il voto avvenga contestualmente a quello per la nuova persona da candidare alla vicepresidenza, anche se è plausibile che Kamala Harris voglia annunciare il suo vice prima della convention, così da ottenere i consensi di un pezzo più ampio del partito.
I nomi che circolano sulla stampa sono soprattutto quelli di alcuni governatori del Partito Democratico in stati politicamente rilevanti, alcuni molto emergenti: Andy Beshear, 46 anni, governatore del Kentucky eletto e poi rieletto in uno stato molto Repubblicano; Josh Shapiro, 51 anni, governatore della Pennsylvania; Roy Cooper, governatore del North Carolina; Wes Moore, governatore del Maryland; Mark Kelly, senatore dell’Arizona, ex astronauta e marito di Gabrielle Giffords, ex deputata che si salvò miracolosamente dopo che fu colpita alla testa in un attentato nel 2011.
Nella politica statunitense l’identità di candidati ed elettori conta parecchio: salvo Moore, sono tutti uomini bianchi. Harris sarebbe la seconda donna dopo Hillary Clinton a essere candidata alla presidenza per un grande partito; la prima donna nera candidata per un grande partito. Dovesse vincere, sarebbe la prima donna a diventare presidente nella storia degli Stati Uniti d’America.
Negli Stati Uniti il processo elettorale è regolato da molte leggi, anche per quanto riguarda le primarie di partito; il Partito Repubblicano, che nelle ultime settimane aveva chiaramente segnalato di preferire la conferma della candidatura di Biden, potrebbe decidere di far causa ai Democratici in alcuni stati e invalidare la candidatura di chi sostituirà Biden. La maggior parte degli esperti di questioni costituzionali non pensa però che i ricorsi possano andare da qualche parte: i partiti non decidono i candidati fino alle convention e per questo in tutti gli stati americani c’è ancora tempo per presentare i documenti ufficiali per le candidature.
L’ultima volta che un candidato si era ritirato così tardi nella campagna elettorale era il marzo del 1968. Il presidente Lyndon Johnson aveva rinunciato alla rielezione viste le grandi contestazioni causate dalla guerra in Vietnam e le conseguenti divisioni nel partito. I Democratici avevano vissuto una convention molto turbolenta – sempre a Chicago, per coincidenza – caratterizzata anche da proteste e scontri per le strade, finendo per scegliere il vice Hubert Humphrey che poi avrebbe perso contro Richard Nixon.