Le violente proteste in Bangladesh, spiegate
Sono cominciate come proteste studentesche contro il sistema di assegnazione degli impieghi nel settore pubblico, ma negli ultimi giorni si sono allargate e sono state duramente represse dal governo
Da circa due settimane in Bangladesh sono in corso grosse manifestazioni antigovernative. Sono iniziate all’interno dei principali campus universitari del paese come proteste studentesche pacifiche contro il sistema di assegnazione degli impieghi nel settore pubblico, considerato da molti discriminatorio e non meritocratico. Negli ultimi giorni si sono però espanse ad altre fasce della popolazione e sono diventate più violente, anche a causa di una dura repressione da parte delle autorità: si stima che più di 100 persone siano morte negli scontri con la polizia, 50 solo nella giornata di venerdì. Centinaia di persone, inclusi membri di spicco dell’opposizione e attivisti per i diritti umani, sono state arrestate.
Negli ultimi giorni la soppressione del dissenso da parte del governo guidato dalla prima ministra Sheikh Hasina è ulteriormente aumentata: mercoledì ha ordinato la chiusura di tutte le scuole e delle università fino a data da destinarsi, mentre venerdì ha schierato l’esercito a sostegno della polizia e ha imposto un blocco ai servizi internet e di telefonia mobile e un coprifuoco.
All’inizio della settimana a Dacca, la capitale, gli studenti hanno bloccato strade e ferrovie. Ci sono stati anche scontri con la polizia in molte parti del paese. Secondo un rapporto della polizia citato dalle televisioni nazionali, venerdì i manifestanti hanno attaccato un carcere nel distretto centrale di Narsingdi, liberando oltre 850 detenuti e dando fuoco alla struttura. Sabato sono stati invece segnalati episodi sparsi di incendi dolosi in alcune parti del paese.
La partecipazione a queste proteste è così ampia che vi stanno prendendo parte anche molte donne e soprattutto studentesse universitarie, che per legge anche prima dell’inizio degli scontri non avevano il permesso di uscire dai propri dormitori dopo le 21.
La protesta degli studenti era iniziata in modo pacifico circa due settimane fa all’Università di Dacca: riguardava il sistema di quote degli impieghi pubblici riservate ai familiari dei reduci della guerra di indipendenza dal Pakistan del 1971, in vigore dal 1972. In Bangladesh ogni anno circa 3mila posti di lavoro sono aperti a circa 400mila laureati, ma moltissime persone che provano a ottenerli rimangono escluse: gli impieghi nel settore pubblico sono molto ambiti perché ben compensati e stabili.
Questo sistema era stato sospeso nel 2018 con un ordine del governo dopo partecipate proteste in tutto il paese. All’inizio di giugno una corte aveva però dichiarato illegale l’ordine del 2018, dopo averlo esaminato su richiesta delle famiglie dei reduci, e ha stabilito che il 30 per cento dei posti di lavoro pubblici spetta a loro. Secondo gli studenti questo sistema è discriminatorio e dovrebbe essere sostituito con una maggiore meritocrazia. La Corte Suprema ha sospeso la sentenza in seguito a un ricorso del governo e ascolterà il caso domenica 21 luglio dopo aver accettato di anticipare l’udienza, prevista inizialmente per il 7 agosto.
Nel frattempo, però, le proteste si sono allargate ad includere delle rivendicazioni più genericamente antigovernative, a partire da una delle principali critiche dei manifestanti al sistema delle quote. Gli studenti infatti sostengono che questo sistema favorisca principalmente i sostenitori della Lega Awami, il partito di Hasina, cioè quello che guidò il movimento per l’indipendenza dal Pakistan.
Nonostante sotto la guida di Hasina negli ultimi 15 anni il Bangladesh sia diventato una delle economie più in rapida crescita al mondo, questa crescita non si è tradotta in posti di lavoro per gli studenti laureati. Il Bangladesh è uno dei paesi più popolosi al mondo, abitato da più di 160 milioni di persone, e si stima che i giovani in cerca di lavoro siano circa 18 milioni. La stessa Hasina, che è la prima ministra più longeva della storia del Bangladesh, nel tempo è diventata una figura molto contestata. Nonostante abbia sempre combattuto le dittature militari e si sia sempre impegnata a promuovere politiche a favore delle donne e delle fasce più povere della popolazione, secondo le opposizioni e anche secondo diverse organizzazioni internazionali nei suoi quindici anni di governo Hasina si sarebbe piano piano trasformata da leader della lotta per la democrazia in una delle sue principali minacce.
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