Il caso dell’attivista curdo-iraniana detenuta da mesi in Calabria

Maysoon Majidi è stata arrestata con l'accusa di essere una scafista in circostanze molto dubbie: questa settimana ha chiesto aiuto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella

(AP Photo/Jeremias Gonzalez)
(AP Photo/Jeremias Gonzalez)
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Venerdì durante una conferenza stampa alla Camera alcuni deputati e associazioni per i diritti umani hanno letto la lettera che l’attivista e regista curdo-iraniana Maysoon Majidi ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella in cui chiede che la sua «situazione venga risolta con giustizia e umanità»: da quasi sette mesi Majidi è detenuta in Calabria con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dopo essere sbarcata a Crotone, ed è in attesa del processo che inizierà il 24 luglio. Majidi si dichiara innocente e da maggio ha iniziato uno sciopero della fame per protestare non solo contro queste accuse ma anche contro il rigetto della sua richiesta di ottenere gli arresti domiciliari in attesa del giudizio.

Come già successo anche ad altre persone migranti in Italia, Majidi è stata accusata di essere una cosiddetta “scafista”, cioè di aver guidato l’imbarcazione su cui si trovava trasportando illegalmente in Italia decine di altre persone. Quella di scafista è una categoria contestata e problematica dal punto di vista giuridico: nella maggior parte dei casi chi guida le imbarcazioni sono semplici migranti, ma in Italia vengono perseguiti come se fossero trafficanti di esseri umani, cioè le persone che organizzano materialmente i viaggi. Negli ultimi mesi la storia di Majidi è stata descritta da molti giornali, associazioni per i diritti umani e politici come un esempio di un sistema di gestione dell’immigrazione non funzionante e che si accanisce sulle persone sbagliate e più fragili.

Majidi, che ha 28 anni, era stata arrestata dopo essere sbarcata a Crotone, in Calabria, il 31 dicembre 2023, al termine di un viaggio iniziato anni prima con la sua fuga dall’Iran, dove la minoranza curda di cui fa parte è perseguitata dal regime. Majidi aveva lasciato l’Iran nel 2019, dopo essere stata arrestata dal regime per via del suo attivismo e, secondo il suo avvocato, dopo aver subìto maltrattamenti e violenze in carcere. Insieme al fratello, come lei vittima di discriminazioni, Majidi si era rifugiata per qualche anno nel Kurdistan Iracheno, dove aveva continuato a fare attivismo soprattutto con l’associazione Hana, che si occupa di difesa dei diritti umani e che tra le altre cose ha avviato una campagna per chiedere la sua liberazione.

Majidi sarebbe partita verso l’Europa dopo che le era stato rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno in Iraq e dopo essere rimpatriata brevemente in Iran. Si sarebbe imbarcata insieme al fratello in Turchia, con un viaggio costato migliaia di euro e pagato dal padre, professore in Iran, e dopo cinque giorni di navigazione avrebbe raggiunto Crotone, dove poi era sbarcata ed era stata arrestata.

Al momento Majidi rischia fino a 16 anni di carcere, una multa di 15mila euro per ogni persona a bordo dell’imbarcazione su cui viaggiava (una settantina in tutto), e soprattutto il rimpatrio in Iran, cosa che secondo i suoi legali metterebbe a rischio la sua vita per via delle persecuzioni verso la minoranza curda. Questo anche perché il cosiddetto “decreto Cutro” del governo di Giorgia Meloni lo scorso anno ha introdotto pene assai più severe per le persone accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: prima rischiavano fino a 5 anni di carcere, ora da 10 a 30 anni.

Durante la conferenza stampa di venerdì si è parlato anche del caso di Marian Jamali, una donna iraniana di 29 anni arrivata a Roccella Ionica, in Calabria, il 26 ottobre 2023, dove fu arrestata con le stesse accuse rivolte a Majidi. Dopo diversi mesi di carcere a Jamali erano stati però concessi gli arresti domiciliari.

La procura di Crotone ritiene che Majidi fosse «l’aiutante del capitano» e che il suo compito fosse distribuire acqua e cibo sull’imbarcazione, mantenendo la calma a bordo. Questa accusa è stata formulata sulla base delle testimonianze di due persone, delle oltre settanta a bordo dell’imbarcazione, che i legali di Majidi definiscono inattendibili e che secondo molti sarebbero già state smentite. Succede spesso, dopo gli sbarchi, che qualcuno a bordo venga identificato dagli altri come la persona che conduceva il mezzo, e successivamente arrestato: spesso queste accuse si basano su testimonianze non opportunamente verificate, raccolte in modo sommario e frettoloso nelle procedure che seguono gli sbarchi.

– Leggi anche: Chi sono i cosiddetti “scafisti”

Alla conferenza stampa di venerdì la deputata Laura Boldrini, del Partito Democratico, ha detto che il fratello di Majidi ha rintracciato i due presunti testimoni, che avrebbero smentito le frasi agli atti e negato di averla accusata. A maggio anche la trasmissione televisiva Le Iene aveva intervistato, dopo averli raggiunti in Germania, due uomini che aveva indicato come i due testimoni: entrambi dissero di non aver mai accusato Majidi di essere stata alla guida dell’imbarcazione, condotta invece da un uomo turco.

Secondo Boldrini «questo caso è viziato da manipolazioni e traduzioni sbagliate e da queste affermazioni poi smentite. Il problema è che i due testimoni sono stati rintracciati facilmente da tutti tranne che dal tribunale di Crotone». Boldrini si riferisce al fatto che a metà maggio l’udienza per l’incidente probatorio (la procedura con cui viene acquisita una prova prima dell’inizio del dibattimento, perché per varie ragioni si ritiene di non poterlo fare in seguito) non si era svolta perché il tribunale di Crotone aveva detto che i testimoni erano irreperibili.

Boldrini, che ha seguito da vicino il caso di Majidi ed è anche andata a trovarla in carcere, ha detto che ha perso circa 15 chili e che oggi ne pesa meno di 40.

La procura di Crotone ha basato le accuse anche su un video, trovato sul cellulare di Majidi, in cui la si vede sorridere e guardare nella telecamera, mentre dice al padre che è in salvo e ringrazia il comandante della nave. Il suo avvocato Giancarlo Liberati sostiene che il video non sia sufficiente a incriminarla per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e che fosse semplicemente un segnale chiesto da chi aveva organizzato il trasporto per ottenere l’ultima rata del pagamento. L’avvocato ha detto inoltre alla Stampa che Majidi sarebbe in possesso della ricevuta di pagamento del viaggio, cosa che dimostrerebbe che era a bordo dell’imbarcazione come semplice migrante e non come organizzatrice del viaggio.