I minatori di criptovalute che rubano l’energia elettrica al Paraguay

Il paese ne ha tantissima, grazie a una delle centrali idroelettriche più grandi al mondo, ma molti ne approfittano illegalmente per alimentare i computer necessari per le transazioni

La diga di Itaipù, tra Paraguay e Brasile (João Saplak/Pexels)
La diga di Itaipù, tra Paraguay e Brasile (João Saplak/Pexels)
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Il Paraguay è un paese sudamericano grande più o meno quanto la Francia. Sta tra Bolivia, Brasile e Argentina, conta circa 7 milioni di abitanti e non ha un settore industriale particolarmente sviluppato. Quello che ha, però, è una gigantesca centrale idroelettrica sul fiume Paranà, costruita insieme al Brasile tra il 1970 e il 1984: è alimentata dalla diga di Itaipù, tra quelle che producono più energia al mondo. Grazie a un accordo del 1966 (che l’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha provato a cambiare segretamente, senza riuscirci) il Paraguay è quindi un paese ricchissimo di energia elettrica che non sa bene come impiegare. In base all’accordo, quella che avanza viene venduta a prezzo di favore al Brasile, che ha un territorio molto più vasto di quello del Paraguay, prima che a qualsiasi altro paese.

Negli ultimi anni, il fatto che il Paraguay metta a disposizione così tanta energia elettrica (prodotta peraltro da fonti rinnovabili) a prezzi molto bassi, ha attirato l’attenzione dei miner, gli estrattori – o per meglio dire gestori – di criptovalute. Queste persone – talvolta individui, ma sempre più spesso aziende – hanno bisogno di moltissima energia per ottenere nuovi bitcoin, per via dei numerosi e complessi processi di calcolo richiesti ai computer per gestire la criptovaluta. Il Paraguay mette a disposizione quell’energia a prezzi molto bassi, e da qualche anno ha approvato una legge in base a cui permette ai miner di usarla liberamente, in cambio del pagamento di una tariffa fissa all’ANDE, la società energetica statale.

Ci sono circa 50 aziende che pagano questa tariffa fissa. Decine di altre persone, invece, scelgono semplicemente di rubare l’elettricità: dal 2019 a oggi l’ANDE ha individuato e fatto chiudere almeno 70 “crypto farm”, centri di server e computer in costante attività nascosti in capannoni, fabbriche abbandonate e altri container. Secondo l’ANDE, i miner senza licenza rubano ogni anno l’equivalente di 60 milioni di dollari di energia elettrica.

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Il problema più grande, come spiega l’Economist, è che la rete elettrica del paese è sempre più sovraccarica: «Asunción, la capitale, soffre di regolari blackout, che portano il cibo a marcire e gli impiegati a cuocere negli uffici nel caldo subtropicale». Il 10 luglio scorso il Senato del paese ha approvato una legge che permette di condannare i “ladri di energia” a pene massime di 10 anni.

Il Paraguay, però, ha un problema di corruzione della polizia, e quindi capita raramente che i miner illegali vengano effettivamente puniti. La stessa ANDE in passato ha dovuto indagare su crypto farm installate illegalmente da propri ingegneri: a maggio la polizia ha sequestrato più di 2.700 computer tra capannoni e camion parcheggiati a meno di tre chilometri dalla sede della società.

Molti cittadini, comunque, non sono d’accordo nemmeno sulle politiche che vanno incontro ai bisogni dei miner legali. Nel 2022 Mercedes Canese, ex viceministra delle Miniere e dell’Energia, aveva detto al Paìs che il governo non stava affatto guadagnando dalla situazione attuale, dato che le tasse pagate dai miner legali per le licenze portavano meno soldi rispetto a quelli che si sarebbero guadagnati vendendo lo stesso quantitativo di energia al Brasile. «Perché dovremmo dedicare tutta quell’energia a un settore che non produce nulla di tangibile né crea lavori, soprattutto nel contesto della crisi climatica? [Le criptovalute] sono solo asset finanziari, non generano ricchezza per i nostri cittadini».