I Verdi europei hanno scelto il male minore
A differenza del 2019 hanno votato per Ursula von der Leyen e sono stati decisivi per rieleggerla presidente della Commissione Europea, senza però essere convinti del tutto delle sue proposte
I Verdi sono stati decisivi per la rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’Unione. Votandola, sono entrati di fatto nella maggioranza che esprimerà la nuova Commissione e che già includeva tre gruppi: i Popolari di centrodestra, i Socialisti di centrosinistra e i liberali di Renew. È stata una cosa molto commentata perché cinque anni fa – nell’anno delle grandi mobilitazioni per il clima, quando i Verdi ottennero un risultato migliore di quest’ultimo – i partiti ecologisti parte del gruppo dei Verdi decisero di non sostenere la candidatura di von der Leyen. I media hanno calcolato che l’abbiano sostenuta 45 dei 53 europarlamentari dei Verdi (ma non quelli delle delegazione francese, che si è opposta): non ci sono certezze, però, perché il voto era segreto.
Il riposizionamento dei Verdi è dipeso principalmente dagli impegni che von der Leyen ha preso con loro, oltre che dalla volontà comune di evitare una maggioranza diversa al Parlamento Europeo, allargata ai partiti di destra ed estrema destra: una possibilità di cui si era parlato per mesi.
Prima del voto von der Leyen aveva fatto una specie di campagna elettorale incontrando i vari gruppi di cui cercava il sostegno, con l’eccezione dei due nuovi gruppi di estrema destra: i Patrioti per l’Europa e l’Europa delle nazioni sovrane (ESN). Secondo il sito Politico Europe, la presidente avrebbe puntato su un programma che fosse accettabile sia per i partiti più conservatori della sua coalizione sia per gli ambientalisti: «Ha messo nel programma alcune proposte green, inquadrandole come misure per far crescere l’economia, e ha rimandato al futuro gli inevitabili scontri».
Per esempio, il piano per ridurre del 90 per cento le emissioni dell’Unione Europea entro il 2040 viene indicato all’interno di un provvedimento chiamato Clean Industrial Deal, che si riferisce quindi all’“industria pulita”: non viene usato il termine “green”, che compariva invece nel Green Deal annunciato cinque anni fa. La transizione ecologica viene in generale presentata come un modo per ridurre i prezzi dell’energia.
Un altro esempio dell’equilibrismo di von der Leyen riguarda il divieto di vendere nuove automobili a benzina o diesel dal 2035, contestato da diversi partiti del suo gruppo (i Popolari). Giovedì in aula la presidente ha citato la necessità sia di abbandonare i combustibili fossili sia di usare e-fuel, cioè combustibili non derivanti da fonti fossili e prodotti con tecnologie alimentate con fonti rinnovabili (quest’ultimo è un pallino dei Popolari, così come del partito di von der Leyen, i Cristiano-Democratici tedeschi).
Nel documento programmatico di von der Leyen del 2019 la prima priorità era il Green Deal, l’ambizioso insieme di leggi sul clima che fu poi presentato nel corso dell’ultima legislatura. In quello di quest’anno gli impegni ecologici sono più diluiti nelle varie sezioni, ma ne rimangono. Per dare un’idea: la parola “clima” ricorreva 19 volte nel documento del 2019, stavolta 22. Non sarà semplice per la presidente riuscire a non scontentare nessuno degli alleati quando si tratterà di indicare come la Commissione intende realizzare questi obiettivi.
Giovedì la co-presidente dei Verdi europei, Terry Reintke, ha parlato esplicitamente di «una maggioranza europeista di quattro gruppi», confermando l’ingresso del suo gruppo in quella che gli scorsi anni era stata chiamata “maggioranza Ursula” ed era formata da tre gruppi.
Dopo le ultime elezioni, i Verdi avevano appoggiato da subito l’idea di un “cordone sanitario”, cioè un impegno tra i partiti a non allearsi con l’estrema destra. Lo hanno fatto prima del voto e subito dopo: già la notte delle elezioni Reintke ha detto che «non è mai stato così importante avere una maggioranza stabile europeista e democratica al Parlamento Europeo», invitando i Popolari a escludere esplicitamente qualsiasi accordo con le destre. Per questo i partiti progressisti hanno ritenuto una loro vittoria la conferma di von der Leyen con una maggioranza allargata agli ecologisti e un programma sensibile alle loro istanze.
«C’è stato un forte lavoro di mediazione per fare in modo che nel programma ci fossero finanziamenti per il contrasto alla crisi climatica», ha detto Cristina Guarda, eurodeputata italiana di Europa Verde: «Non potevamo lasciare i passi in avanti fatti negli scorsi cinque anni in mano a persone che hanno intenzione di distruggere il Green Deal o che normalizzano la violazione di diritti fondamentali».
«È stata una decisione tutt’altro che facile», ha detto Lena Schilling dei Verdi austriaci, che è anche la più giovane europarlamentare eletta a giugno: «C’era il rischio che un candidato alternativo a von der Leyen potesse spostare ancora più a destra il programma, con obiettivi climatici ancora meno ambiziosi». Secondo Schilling il programma è «un buon inizio», ma non contiene impegni sufficienti sulla biodiversità e la tutela della natura.
Anche Guarda ha spiegato che i Verdi hanno votato a favore, nonostante proposte su immigrazione e sicurezza «troppo securitarie», dopo aver analizzato «le conseguenze di un voto negativo»: cioè un secondo tentativo di von der Leyen di ottenere la fiducia con un programma più orientato a destra, oppure – appunto – un candidato o una candidata presidente «ancora meno dialogante e ostile alle nostre lotte».
Nell’ultima fase dello scorso mandato infatti alcuni provvedimenti ambientali, come la Nature Restoration Law, erano stati ridimensionati o abbandonati da von der Leyen in una concessione ai Popolari dopo le proteste degli agricoltori. Una ipotetica maggioranza che includesse partiti di destra ma non i Verdi (e probabilmente neppure i Socialisti) sarebbe probabilmente andata in questa direzione. Un’alleanza tra Popolari ed estrema destra, oltre a non avere i numeri, era però ritenuta impraticabile anche per una serie di rivalità nazionali tra i partiti di questi gruppi.
La delegazione italiana ha una certa autonomia rispetto al resto della nuova maggioranza, ha ricordato Guarda. Per esempio, giovedì i Verdi si sono divisi sulla risoluzione che, tra le altre cose, ha confermato l’appoggio militare ed economico all’Ucraina «per tutto il tempo che sarà necessario». La maggior parte degli eurodeputati dei Verdi ha votato a favore – insieme a Popolari, Renew e Socialisti – mentre alcuni si sono astenuti e Guarda ha votato contro insieme agli altri eurodeputati italiani del gruppo, di Alleanza Verdi e Sinistra.
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