In Italia facciamo troppi film
Negli ultimi quindici anni sono più che raddoppiati, mentre gli incassi complessivi sono diminuiti: il problema è che molti, più che dei film, sono «delle feste di compleanno»
di Gabriele Niola
I film che sono usciti al cinema in Italia sono passati da 355 nel 2009 a 736 nel 2023, più del doppio, senza un corrispettivo aumento dei cinema o del totale degli incassi annuali. Questo ha portato molte persone a vari livelli dell’industria del cinema italiano a sostenere più volte negli anni che produciamo troppi film, una tesi diventata una costante di incontri, dibattiti ed eventi professionali destinati a produttori, distributori o esercenti. A tutti i livelli c’è accordo sul fatto che in Italia escano in sala troppi film: molto di questo aumento è dovuto alla crescita dei film italiani in circolazione, alimentata da tanti elementi che si sono concentrati e hanno creato storture nel mercato, riconosciute come tali e da tempo dallo stesso ministero della Cultura, che è il principale finanziatore del cinema italiano.
Una delle prime volte in cui venne lamentato in maniera ufficiale l’eccesso di produzione di film italiani, e quindi un eccesso di film distribuiti nei cinema, fu nel 2012, quando Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema (allora come oggi), disse durante un convegno che «troppe persone vogliono fare film: 110 film italiani prodotti in un anno sono troppi. Il sistema non riesce ad assorbire questi numeri». Faceva riferimento al fatto che non c’è posto a sufficienza nei cinema perché tutti questi film possano avere uno sfruttamento sufficientemente lungo. Cosa particolarmente vera all’epoca, quando l’estate era per i cinema un periodo con incassi bassissimi, e solo parzialmente attenuata oggi che sono aumentati. Rispetto ad allora però i film italiani usciti nel 2023 sono stati 348.
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La principale conseguenza negativa di una sovrapproduzione è infatti il posto nelle sale cinematografiche e la possibilità di rimanerci a sufficienza. Se escono molti film significa che ogni settimana arriva un numero molto alto di nuove uscite che hanno prenotato un certo numero di schermi in cui essere proiettate. Questo fa sì che quelli usciti in precedenza vengano “smontati” (termine con cui si identifica il momento in cui una sala cinematografica smette di programmare un certo film) rapidamente.
Tuttavia il fatto che negli ultimi due decenni i film rimangano nei cinema sempre meno tempo non è dovuto solo a questo, ma è iniziato molto tempo prima che la distribuzione di film in Italia crescesse, ed è anche dovuto alla maniera in cui i film sono stati promossi a partire dagli anni ‘90. Più o meno da quegli anni si punta molto su titoli sempre più grandi e costosi, e quindi sempre più su film come grandi eventi. In questo modo la novità, cioè il film appena uscito che arriva sostenuto da una grande promozione, è sempre più redditizia di ciò che è già in programmazione da due o tre settimane. Facilmente quindi prende il suo posto.
In seguito a quella prima lamentela sulla quantità di film prodotti (fatta dal soggetto che allora come oggi è il principale produttore e co-produttore di film in Italia), nel 2013 all’evento per distributori ed esercenti Giornate Professionali di Riccione fu ribadito che i film distribuiti erano troppi. Nel 2017 Nicola Borrelli, direttore generale per il cinema e l’audiovisivo presso il ministero della Cultura, disse: «Abbiamo stabilito probabilmente un record europeo» parlando dei film italiani portati in sala quell’anno, 208 (quasi il doppio rispetto a quando Del Brocco si era lamentato cinque anni prima), e promettendo che la nuova norma sul cinema, che sarebbe effettivamente stata promulgata quell’anno e nota come Legge Cinema, avrebbe aiutato in quel senso.
Così non fu. Solo l’anno successivo Francesco Rutelli, presidente dell’ANICA (l’associazione di categoria di produttori e distributori), lamentava «troppi film concentrati in un periodo troppo breve, solo otto mesi» facendo riferimento al problema dell’estate. Quattro anni dopo, nel 2022, fu Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema di Venezia, a sostenere che in Italia si facciano troppi film (quell’anno sarebbero stati 251 i film italiani a essere distribuiti, molti dei quali prodotti negli anni precedenti e non usciti nel periodo della pandemia). E l’anno scorso Benedetto Habib, produttore per Indiana, ha detto agli Incontri di cinema d’essai di Mantova (il principale evento di settore per i cinema d’essai): «Ci sono troppi film».
Dividendo i film distribuiti tra italiani e non italiani si nota che negli ultimi quindici anni i secondi sono cresciuti di un po’ più della metà (passando da 240 a 388), mentre quelli italiani sono triplicati passando da 115 nel 2009 a 348 nel 2023. Tutto con un forte incremento nell’ultimo anno, in cui si è passati da un totale di 500 film distribuiti a un totale di 736, un aumento quindi quasi del 50% in un solo anno. L’anno prossimo potrebbero anche diminuire, perché le oscillazioni dipendono da diversi fattori (ci vuole come minimo un anno per fare un film a partire dalla concezione fino a che non è pronto e spesso alcuni, sebbene pronti, non escono subito ma aspettano il momento per loro migliore), ma c’è una generale tendenza all’aumento.
In molti, compresa la direzione cinema del ministero, danno la colpa ad alcune falle della norma del 2017, che invece di limitare le produzioni con scarse ambizioni e poche possibilità in sala, nei festival o all’estero, le ha alimentate. In Italia infatti le principali forme di finanziamenti ai film, a parte il credito d’imposta che spetta a tutti i film che rientrano in certi parametri, sono di due tipi (e si possono ricevere entrambi), selettivi e automatici: quelli automatici vengono assegnati in base a un punteggio che dipende dai risultati dei film precedenti (risultati in termini di incassi, di selezione a festival internazionali e vendite all’estero); quelli selettivi sono assegnati da una commissione in base a criteri qualitativi.
Questa forma di finanziamento che viene dallo stato non può superare il 50% del totale del budget di un film (il resto viene da privati, quindi produttori, investitori o soggetti come canali televisivi o piattaforme), tranne nei casi di film “difficili”, nei quali si può anche andare oltre il 50%. Con questa definizione si intendono: documentari, opere prime o seconde, opere di giovani autori, cortometraggi e poi opere di animazione o dal costo inferiore a 2,5 milioni di euro o distribuite in meno di 20 sale che vengano definite da una commissione di esperti «non in grado di attrarre risorse finanziarie significative dal settore privato».
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La categoria dei film “difficili” o comunque di quelli più piccoli è quella che è aumentata di più. Secondo il rapporto ANICA del 2023 solo il 29,5% dei 736 film distribuiti quell’anno è stato proiettato in più di 50 sale, numero minimo che identifica una distribuzione che dia delle speranze di incasso (il numero massimo, per avere un’idea, lo registrò Tolo Tolo di Checco Zalone e fu di mille sale) o almeno di creare un passaparola che possa portare a un aumento dei cinema in cui si viene programmati. L’anno precedente quella categoria di film erano il 43%, molti di più, e nel triennio 2017-2019 (prima della pandemia) costituivano il 50% del totale. Da questo si capisce che l’aumento di film è costituito in buona parte da opere con scarsissime speranze di un incasso significativo. Sempre Nicola Borrelli disse nel 2017 a proposito dell’aumento di film che «portare il pubblico in sala non sembra una preoccupazione degli operatori».
Questi film sono di molte tipologie diverse. Per esempio alcuni sono a carattere regionale, cioè pensati intorno ad attori che hanno una presa solo nella propria regione; altri sono film con attori di piccola fama. Non si tratta comunque di successi, nemmeno locali, ma di film che ambiscono a un passaggio molto veloce nei cinema per poi arrivare in noleggio o sulle piattaforme. Se infatti un film è passato in sala, anche per poco, il suo prezzo aumenta. Queste produzioni, come ricorda spesso Andrea Occhipinti, fondatore della casa di produzione e distribuzione Lucky Red, occupano posti nella cartellonistica e nelle sale, e riducono possibilità e spazi levandoli a film che invece un risultato vogliono realmente farlo. In un convegno sulla vita dei film italiani all’estero arrivò a definire molti dei film che si fanno in Italia «più che dei film, delle feste di compleanno», intendendo come siano a uso e consumo di chi li fa e delle persone a loro vicine.
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Infatti nello stesso periodo in cui crescevano i film distribuiti non sono aumentati gli incassi totali dell’annata. Tra il 2007 e il 2019 (ultimo anno prima che la pandemia da COVID-19 cambiasse l’abitudine di andare al cinema e quindi gli incassi) il totale annuale del box office italiano ha oscillato intorno ai 600 milioni di euro, con alcune annate poco sopra e altre poco sotto, a seconda dei film usciti. Non c’è però nessuna relazione tra le oscillazioni degli incassi e gli aumenti o i cali del numero di film distribuiti. Più film quindi non significa più incassi, anzi significa meno incassi per un numero maggiore di film.
Sui 736 lungometraggi del 2023, sempre secondo il rapporto ANICA che attinge ai dati Cinetel (l’ente che rileva gli incassi nelle sale), solo 92 film hanno incassato più di un milione di euro (cifra identificata come un traguardo minimo per la maggior parte dei film), contribuendo all’86% del totale del box office annuale. Nel triennio 2017-2019 invece erano stati 372 i film a superare un milione di euro di incasso, su un totale di 519 usciti. La categoria più danneggiata è stata quella dei film con un incasso medio-alto (tra i 10 e i 20 milioni di euro), calati del 60% tra il triennio 2017-2019 e il 2023. Sempre meno film quindi concentrano su di sé gli spettatori, e il numero crescente fa sì che incassino tutti sempre meno. Anche perché tra il 2011 e il 2023 i cinema (intesi come strutture) sono aumentati molto meno dei film, cioè del 14%, e il totale degli schermi (cioè le singole sale, che possono essere più di una per cinema) del 7%.
Se quindi la nuova norma sul cinema, insieme agli investimenti delle piattaforme di streaming, ha creato fino a un anno fa una situazione di grandissima crescita per tutto il settore, arrivato alla piena occupazione (cosa che ha fatto molto lievitare i costi dei film), non c’è stata una corrispondente crescita delle sale sul territorio che abbia consentito di poter assorbire e distribuire questi film, i quali passano rapidamente al cinema per arrivare poi in noleggio o in streaming. La ragione principale per la mancata crescita del numero di sale è che a fronte dell’aumento di film non c’è stato un aumento proporzionale dell’interesse del pubblico. Questo è stato vero specialmente per i film italiani, che raramente nascono con ambizioni commerciali ma più spesso festivaliere e che anche quando vengono pensati con l’obiettivo di incassare poche volte sono in grado di farlo, escluse eccezioni come nel caso di C’è ancora domani di Paola Cortellesi.
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A chiedere cambiamenti e a lamentarsi sono più che altro produttori grandi, che sentono danneggiate le loro possibilità di guadagno dai film che fanno, a causa del gran numero di uscite dal loro punto di vista senza speranze commerciali. Questo però non significa che non esista in Italia una più che legittima produzione e distribuzione di film che per loro natura sono piccoli (perché opere prime, perché nati non commerciali, perché indirizzati a un pubblico specifico come può essere quello dei documentari). Ma anche questa categoria di film, in cui per esempio rientrano quelli di Alice Rohrwacher, di grande successo in tutto il mondo ma dai piccoli incassi, è danneggiata da quelli che ne hanno le medesime dimensioni ma non lo stesso intento né le stesse ambizioni di interessare a qualcuno.
Borrelli promette interventi correttivi che ora, anche per iniziativa del ministro Gennaro Sangiuliano, che si è spesso pronunciato contro i film senza spettatori finanziati dallo stato, sembra possano arrivare, insieme a un annunciato taglio dei finanziamenti. Stando a quanto più volte detto dai rappresentanti del ministero e della direzione cinema, le novità dovrebbero fare in modo che i finanziamenti vadano a chi li deve avere, senza levare fondi alle opere prime o ai film piccoli e con poche speranze di incasso che tuttavia hanno una vita festivaliera o vendite internazionali importanti. Soprattutto, come già disse Borrelli nel 2022, «senza che questo vada a danneggiare nuove società» che per loro natura non possono da subito aspirare a budget elevati, selezione nei festival o vendite importanti, ma hanno bisogno di aiuti per lavorare in un settore in cui, visto il costo di un film, la barriera all’ingresso è più alta che altrove.