Il Prime Day di Amazon va benissimo e malissimo

Le vendite aumentano ogni anno, ma gli sconti sono sempre più irrisori e il costo per i lavoratori e l'ambiente sempre più alto

(AP Photo/Richard Vogel)
(AP Photo/Richard Vogel)
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Questa settimana c’è stato il decimo Prime Day, la ricorrenza di sconti e promozioni che Amazon fa ogni anno dal 2015 per gli iscritti al proprio servizio di consegna veloce Prime. Inizialmente era davvero un “day” perché tutti gli sconti si concentravano in un giorno; poi nel 2017 cominciò ad allungarsi a 30 ore, nel 2018 a 36 e infine nel 2019 diventò un evento di due giorni, come è ancora oggi.

Pur essendo pensato solo per gli iscritti a Prime, negli anni il Prime Day è riuscito ad affermarsi come una ricorrenza commerciale universale non molto diversa dal Black Friday: molti negozi online, anche in Italia, hanno infatti cominciato ad approfittare della presenza e dell’attenzione delle persone online in quei giorni per fare sconti a loro volta.

Amazon ottenne inizialmente grande attenzione perché proponeva effettivamente alcuni grossi sconti, cosa che però negli ultimi anni è diventata sempre più rara. Come viene spesso fatto notare, le promozioni continuano a essere rilevanti di numero, ma sono poche quelle davvero vantaggiose e molti sconti invece sono a guardar bene dei finti ribassi. Parallelamente a questa generale scontentezza, il Prime Day si è affermato come l’esempio più lampante dell’insostenibilità del modello di Amazon, sia dal punto di vista ambientale che dei diritti dei lavoratori, suscitando ogni anno sempre le stesse tensioni e critiche. Tutto questo comunque senza ricadute sul fatturato, che al contrario sembra continuare a crescere.

Wirecutter, il sito di recensioni di prodotti del New York Times, inizia il suo articolo sui consigli per il Prime Day scrivendo che «la maggior parte degli sconti fa schifo». The Hustle parla di questa ricorrenza come del giorno in cui «gli americani sostituiranno le inutili cuffie wireless scontate del 40 per cento che avevano acquistato durante lo stesso evento dell’anno scorso con nuove schifosissime cuffie wireless scontate sempre del 40». Per la rubrica sul Washington Post in cui dà consigli per gestire le finanze personali la giornalista Michelle Singletary ha scritto un articolo intitolato «Il Prime Day è soprattutto un buon affare per Amazon, non per te».

Sull’Atlantic Ian Bogost ha fatto notare come gli sconti del Prime Day siano sempre più un’accozzaglia senza molto senso: «oggi svende dei dispositivi Amazon Echo, bibite prebiotiche, integratori alimentari in polvere, spazzolini elettrici e racchette da pickleball tra un’infinità di altri prodotti. Non c’è logica». Oltretutto all’inizio Amazon concentrava i propri sconti solo in due momenti dell’anno, nei giorni del Prime Day e del Black Friday, a novembre, mentre da qualche anno le ricorrenze promozionali sono diventate più frequenti e distribuite in più mesi, rendendo i già piccoli ribassi di prezzo ancora meno eccezionali.

– Leggi anche: Come non abboccare agli sconti ingannevoli di Amazon

Nonostante questo i due giorni di Prime Day del 2024 sono stati la ricorrenza con più prodotti venduti e più fatturato di sempre. Amazon non fa sapere la cifra totale delle vendite per il Prime Day, ma secondo Adobe Analytics, azienda di analisi di dati specializzata in shopping online, i soldi spesi dagli utenti su Amazon sarebbero stati 12,7 miliardi di dollari nel 2023 e quest’anno potrebbero essere stati più del 10 per cento in più (attorno ai 14 miliardi).

Gli sconti del Prime Day infatti ricevono da sempre moltissima attenzione mediatica, e anche questa settimana sono stati segnalati e commentati dalla stragrande maggioranza dei giornali online statunitensi, ma anche italiani ed europei. C’entra in buona parte il fatto che Amazon ha il sistema di affiliazione più redditizio nel mondo degli e-commerce, e vi aderiscono ormai giornali, riviste, blog, siti, influencer e canali YouTube di ogni tipo e da tutto il mondo. In breve funziona così: questi “publisher” possono usare dei link tracciati all’e-commerce e guadagnare una piccola percentuale su tutti gli acquisti che le persone fanno dopo averci cliccato. Non importa peraltro che l’utente acquisti specificamente il prodotto linkato, la commissione viene assegnata in generale sugli acquisti cominciati con quella visita.

Le affiliazioni sono una delle fonti di guadagno su cui giornali e creatori di contenuti online hanno sperimentato di più negli ultimi anni, creando sezioni o testate apposta per recensire prodotti e consigliare acquisti inserendo i link tracciati (è quello che fa anche il Post nella sua sezione Consumismi) e questo fa sì che continuino a scriverne pur ammettendo che gli sconti non sono niente di che, ma andando comunque a spulciare quelli più interessanti per segnalarli e guadagnarci qualcosa. Per chi usa le affiliazioni infatti luglio è insieme a novembre e dicembre (i mesi del Black Friday e di Natale) il periodo in cui si concentrano i maggiori guadagni, ed è difficile decidere di rinunciarci.

Da anni però il Prime Day – come anche Amazon in generale – si porta dietro anche le molte critiche di associazioni, sindacati e organismi che si occupano di diritti dei lavoratori. Anche in questi due giorni di sconti, in cui gli acquisti raggiungono il loro massimo, infatti, Amazon promette ai propri clienti il servizio di consegna veloce in giornata, il giorno dopo o due giorni dopo al massimo. Questo significa ritmi molto più intensi per i lavoratori, sia nei magazzini che nei servizi di logistica.

Secondo l’associazione di sindacati statunitense Strategic Organizing Center (SOC) l’anno scorso nella settimana del Prime Day c’erano stati 1066 infortuni gravi nelle sedi di Amazon: il numero più alto di tutto l’anno e di molto superiore alla media, che è di 691 a settimana. Quella degli infortuni è una questione di cui Amazon è al corrente da anni ma che secondo la ricostruzione di Vox non sembra essere particolarmente migliorata, almeno da quando nel 2021 Jeff Bezos, allora ancora CEO dell’azienda, pubblicò una lettera d’impegno a ridurre il tasso di infortuni e malattie e far diventare la sua azienda «la più sicura al mondo dove lavorare». Amazon comunque dice  che dal 2019 ha ridotto «del 28 per cento il nostro tasso di incidenti registrabili (che comprende tutto ciò che richiede più del primo soccorso di base) negli Stati Uniti e del 75 per cento il nostro tasso di incidenti risultanti in giorni di assenza dal lavoro (che comprende solo gli infortuni più significativi che costringono un dipendente a perdere almeno un giorno di lavoro)».

L’altra questione è quella dell’impatto sull’ambiente. La rivista americana di tecnologia e imprese Fast Company ha riassunto in questi giorni che «le dimensioni del Prime Day sono intrinsecamente incompatibili con la salute del pianeta». Nel 2022 Greenly, una società di consulenza che misura e attiva soluzioni per la riduzione delle emissioni delle aziende, aveva calcolato che solo il Prime Day aveva provocato 1,2 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica: più o meno quanto emettono in media in un anno 68mila abitanti statunitensi. A tutto questo si aggiunge il costo ecologico, molto più difficile da quantificare, dato dal fatto che, per come viene comunicato, il Prime Day  spinge di fatto migliaia di persone a fare acquisti di cui non hanno davvero bisogno, facendo crescere la domanda per certi prodotti, e quindi le attività di produzione e il loro impatto dannoso sull’ambiente.

Ovviamente non è una cosa che vale solo per Amazon né solo per il Prime Day, ma questa ricorrenza è un caso abbastanza estremo: sia per le sue dimensioni che perché, come ha detto a Fast Company J. B. MacKinnon, giornalista esperto di questi temi, il Prime Day, a differenza del Natale, è «una nuova gigante frenesia di consumo che abbiamo messo nel calendario» intenzionalmente e «non ha nessuna ragione se non quella di comprare più cose… È davvero un festival del consumismo».