E quindi questo è J.D. Vance
Il candidato dei Repubblicani alla vicepresidenza ha tenuto il discorso più atteso nella terza serata della convention, e le cose che ha detto mostrano quanto sia cambiato il partito
di Francesco Costa
Alla terza giornata della convention del Partito Repubblicano statunitense a Milwaukee, in Wisconsin, il momento più atteso era sicuramente il discorso di J.D. Vance, annunciato lunedì come candidato alla vicepresidenza accanto a Donald Trump. Per Vance, che ha 39 anni, era innanzitutto un’occasione per presentarsi alla popolazione statunitense, che lo conosce ancora poco: salvo le persone molto interessate alla politica – e gli americani generalmente non lo sono – molti lo avranno sentito parlare stasera per la prima volta.
Vance è un senatore dell’Ohio ma la sua carriera politica è iniziata soltanto due anni fa, dopo che qualche anno prima era diventato un personaggio pubblico con il successo internazionale di un libro autobiografico: è il candidato alla vicepresidenza più inesperto dai tempi di Sarah Palin, scelta da John McCain alle elezioni del 2008, poi perse contro Barack Obama. Ma Vance è un personaggio molto distante da Palin, sia per toni che per cultura, per quanto entrambi abbiano idee di destra radicale e siano molto critici con il passato del proprio partito.
«Sono cresciuto in una piccola città dell’Ohio», ha detto Vance raccontando la complessa vicenda familiare della sua famiglia, molto povera e devastata dalle dipendenze. «Sono cresciuto in uno di quei posti accantonati e dimenticati dalla classe dirigente di Washington».
Un messaggio in linea con quello di Donald Trump – che quando vinse nel 2016 disse che avrebbe difeso «le persone dimenticate dal nostro paese» – ma espresso durante l’intero discorso rubando ai Democratici due parole che hanno contraddistinto il loro recente passato, quelle su cui Barack Obama costruì la sua candidatura: speranza e cambiamento, hope and change.
Tradito in qualche passaggio dall’emozione e dall’inesperienza, Vance è sembrato parlare più al pubblico del palazzetto che a quello a casa: anche se ha saputo improvvisare qualche buona battuta, non è stato un discorso particolarmente intenso o appassionante. Sul piano politico, però, è stato un discorso duro e per certi versi rivelatorio dei cambiamenti attraversati nell’ultimo decennio dal Partito Repubblicano statunitense: e la candidatura alla vicepresidenza lo mette in prima fila per la successione a Trump, che sia tra pochi mesi o quattro anni.
«Quando ero in quarta elementare», ha detto a un certo punto, «un politico di carriera di nome Joe Biden sosteneva il NAFTA», un contestato accordo commerciale con Canada e Messico che Vance ha definito «un brutto accordo che spedì in Messico tanti ottimi posti di lavoro. Quando ero appena entrato al liceo, un politico di carriera di nome Joe Biden fece un accordo commerciale con la Cina che distrusse altri posti di lavoro. E quando stavo per uscirne, Joe Biden sostenne la disastrosa invasione dell’Iraq. Nella mia piccola città e in moltissime altre uguali, i posti di lavoro se ne andavano e i ragazzini venivano mandati in guerra».
È vero che Biden sostenne sia il NAFTA che l’accordo con la Cina che – inizialmente – la guerra in Iraq: ma è vero soprattutto che queste tre iniziative furono promosse e condotte innanzitutto dai Repubblicani, a lungo il partito più favorevole al libero mercato e all’interventismo militare, più che dai Democratici. In più di un’occasione è sembrato che Vance parlasse anche a un pezzo del suo partito.
L’establishment dei Repubblicani è preoccupato dalle posizioni protezioniste di Vance in economia e isolazioniste in politica estera, ma la trasformazione del partito si è già compiuta, e Vance ha ricevuto molti applausi dai delegati. «Su ognuno di questi temi, è capitato che un investitore immobiliare newyorkese di nome Donald J. Trump avesse ragione fin dall’inizio», ha detto, «mentre Biden aveva torto».
Quando ha parlato di economia, Vance è stato ancora più duro, e ha detto alcune frasi che potrebbero essere state pronunciate da un politico di sinistra radicale. «Abbiamo bisogno di un leader che non sia manovrato dalle grandi aziende ma che risponda ai lavoratori, che siano sindacalizzati o meno», ha detto Vance. «Un leader che non si venda alle multinazionali ma che difenda le aziende americane. Abbiamo finito di essere asserviti a Wall Street. Ci impegneremo per i lavoratori».
È un messaggio contraddittorio con molte delle cose che Trump ha poi fatto davvero nel corso del suo mandato – dall’opposizione all’aumento del salario minimo fino ai tagli alle tasse per i più ricchi – ma che i Repubblicani rivendicano apertamente, forti anche della fiducia e dei voti che hanno ricevuto in questi anni dalla classe operaia che un tempo votava per i Democratici e oggi non più, soprattutto in posti come quello da cui viene Vance.
«Grazie alle politiche di Biden e degli altri politici di Washington», ha proseguito, «il nostro paese è stato invaso da merci cinesi di bassa qualità, da immigrati disposti a lavorare venendo pagati pochissimo e poi dal letale fentanyl, anche quello arrivato dalla Cina. Joe Biden ha sbagliato tutto e la mia comunità ne ha pagato il prezzo».
Come ogni altro speaker della convention, Vance non ha parlato di aborto: è un tema perdente per i Repubblicani, visto quanto sono impopolari le loro posizioni repressive. E ha parlato di immigrazione soltanto in chiave economica, sostenendo che contribuisca all’impoverimento degli americani. «Il costo assurdo delle case è il risultato di così tanti disastri della leadership americana. Posso dirvi esattamente com’è successo», ha detto Vance.
«I baroni di Wall Street hanno fatto schiantare l’economia. I costruttori sono falliti. Gli operai sono rimasti senza un lavoro. Le nuove costruzioni si sono fermate. L’esportazione dei posti di lavoro ci ha lasciato con stipendi stagnanti. Poi i Democratici hanno fatto sì che il paese venisse invaso dagli immigrati clandestini. Così i cittadini americani hanno dovuto competere per le poche case rimaste con persone che non dovrebbero nemmeno trovarsi qui».
Introdotto dalla moglie Usha, avvocata e figlia di immigrati indiani che ha generato gli unici mormorii della serata quando ha detto che sia lei che il marito sono vegetariani, Vance ha parlato anche di politica estera.
«Insieme faremo sì che i nostri alleati condividano con noi il fardello della protezione della pace: non ci saranno più regali ai paesi che tradiscono la generosità dei contribuenti americani». Un riferimento chiaro alla necessità per l’Europa di provvedere da sé alla propria sicurezza, che lascia immaginare un disimpegno militare statunitense – dall’Ucraina e non solo – in caso di vittoria di Trump a novembre.
Prima che parlasse Vance, il programma dell’intera giornata era stato costruito attorno al contrasto tra la forza necessaria agli Stati Uniti per difendere i propri interessi in opposizione alla debolezza – secondo loro – del presidente Joe Biden. Uno dei momenti più intensi è stato l’intervento delle famiglie di sei soldati statunitensi morti durante il caotico ritiro dall’Afghanistan dell’estate del 2021.
La convention del Partito Repubblicano si concluderà domani con l’ultima giornata di lavori e infine il discorso col quale Donald Trump accetterà formalmente la sua terza candidatura alla presidenza degli Stati Uniti – e parlerà al paese per la prima volta dopo l’attentato di sabato 13 luglio. La convention del Partito Democratico si terrà in agosto a Chicago.