Emmanuel Macron ha ottenuto una prima vittoria nel nuovo parlamento francese
Durante la prima seduta è stata confermata presidente la sua candidata Yaël Braun-Pivet, grazie all'appoggio compatto della destra
Giovedì in Francia è iniziata ufficialmente la 17esima legislatura dell’Assemblea Nazionale, la camera bassa del parlamento, dopo lo scioglimento del 9 giugno deciso dal presidente Emmanuel Macron a seguito dei risultati delle europee e della convocazione di elezioni legislative anticipate. I primi lavori sono cominciati in un contesto complicato dal punto di vista politico, dato che non c’è una maggioranza, non c’è un nuovo governo e quello uscente è incaricato di gestire solo gli affari correnti.
All’ordine del giorno della prima sessione c’era l’elezione del nuovo o della nuova presidente dell’Assemblea Nazionale. La coalizione di Macron (centrista), che al secondo turno era stata la seconda più votata dopo il Nuovo Fronte Popolare (sinistra), è riuscita a ottenere una prima importante vittoria: in serata, infatti, Yaël Braun-Pivet (che fa parte di Ensemble pour la République) è stata rieletta presidente dell’Assemblea con 220 voti, grazie al sostegno compatto della Destra Repubblicana, il nuovo nome dei Repubblicani dopo la rottura con quello che formalmente è ancora il loro presidente, Eric Ciotti, che prima delle elezioni si era alleato con l’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen.
L’elezione di Braun-Pivet e l’alleanza che l’ha permessa sono state molto criticate soprattutto dal Nuovo Fronte Popolare: Jean-Luc Mélenchon ha parlato di una «forzatura democratica» e altri deputati di sinistra di «un’alleanza contro natura» denunciando soprattutto il fatto che chi è stato sconfitto alle legislative ha dimostrato di voler continuare a governare e a presiedere l’Assemblea Nazionale.
Braun-Pivet è stata rieletta alla terza votazione quando era necessaria solo una maggioranza semplice e non assoluta, con 220 voti contro i 207 ottenuti dal suo principale rivale, il comunista André Chassaigne, candidato unico del Nuovo Fronte Popolare. C’è riuscita sia perché altri candidati si sono ritirati, come il candidato della Destra Repubblicana, Philippe Juvin, sia grazie al voto decisivo dei 17 ministri del governo dimissionario del primo ministro Gabriel Attal, che sono stati eletti anche deputati.
Che i 17 ministri-deputati potessero votare è stata una questione molto contestata nei giorni scorsi, sia dalla sinistra che dall’estrema destra. Ed è stata al centro di una forte polemica tra giuristi.
L’articolo 23 della Costituzione francese vieta infatti a una persona di essere allo stesso tempo parte del governo e deputato, ma se il principio di incompatibilità è stabilito dalla Costituzione, i suoi termini sono fissati dalla legge. Ed è sulla legge che sono state date differenti interpretazioni. L’opinione più diffusa è comunque quella che Macron e Attal, consentendo ai loro ministri-deputati di votare, non abbiano commesso alcuna irregolarità, ma abbiano comunque forzato la mano. Diversi deputati del Nuovo Fronte Popolare hanno annunciato che presenteranno un ricorso al Consiglio costituzionale proprio per far esaminare la legittimità di questa votazione.
L’elezione della presidenza dell’Assemblea Nazionale è stata molto seguita dai giornali francesi, e non solo: perché avrebbe mostrato gli equilibri tra i tre principali blocchi politici che compongono il nuovo parlamento e la propensione dei vari gruppi a dividersi o a restare uniti; e perché potrebbe essere determinante per la scelta del futuro o della futura prima ministra e per i negoziati tra i partiti per la formazione di un nuovo governo.
La nuova Assemblea Nazionale è suddivisa in tre grandi blocchi politici contrapposti tra loro ed è una situazione inedita per la Quinta Repubblica, iniziata alla fine degli anni Cinquanta con l’approvazione della settima Costituzione repubblicana, quella in vigore ancora oggi: c’è il Nuovo Fronte Popolare (NFP, di sinistra, con 182 deputati), c’è la coalizione Ensemble, centrista, di Macron (con 168 deputati) e c’è l’estrema destra del Rassemblement National (RN) e dei suoi alleati (143 deputati).
La coalizione di Macron e la Destra Repubblicana (47 seggi) non hanno i numeri per governare da soli, e a ciascun blocco manca almeno un centinaio di seggi per arrivare alla maggioranza, cosa che di fatto rende improbabile l’approvazione di leggi tramite la ricerca di volta in volta di un sostegno esterno (o dell’astensione) di un partito di opposizione.
Per ora l’elezione di Yaël Braun-Pivet ha confermato la logica dei tre blocchi, ma con una novità. Nell’estrema destra, come nella sinistra e nella coalizione di Macron, tutti i partiti hanno dimostrato la loro solidità. André Chassaigne, candidato unico del Nuovo Fronte Popolare, ha ottenuto 200 voti al primo turno, sette in più rispetto alla somma dei quattro partiti che compongono la coalizione. Sébastien Chenu, del Rassemblement National, ha ottenuto i 142 voti del proprio blocco, composto dal Rassemblement National e dalla formazione dei Repubblicani di Eric Ciotti. La novità è invece l’intesa tra l’area macronista e la Destra Repubblicana. Quest’ultima ha parlato della rielezione di Braun-Pivet come di una propria vittoria e in cambio del sostegno dato ha avanzato al primo ministro dimissionario Attal una serie di richieste su alcune importanti nomine future: la vicepresidenza dell’Assemblea Nazionale, che si voterà venerdì 19 luglio, e la presidenza della commissione Finanze che sarà decisa sabato.
Martedì 16 luglio Macron aveva accettato le dimissioni del primo ministro Gabriel Attal e degli altri ministri del governo uscente, che però rimarranno in carica per i cosiddetti “affari correnti” fino alla nomina di un nuovo governo.
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Nessuno sa quando Macron nominerà un nuovo primo ministro. Solo lui ha il potere di farlo, ma non ha né l’obbligo di scegliere qualcuno o qualcuna del gruppo che ha ottenuto più seggi all’Assemblea Nazionale (la coalizione della sinistra, in questo caso), né un limite di tempo. Il presidente sembra non avere fretta, dice Le Monde, preferendo contare per ora su un governo dimissionario che potrebbe restare in carica almeno fino alla fine delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi che inizieranno il prossimo 26 luglio a Parigi; forse addirittura fino all’apertura della prossima sessione ordinaria dell’Assemblea Nazionale, prevista per martedì 1 ottobre.
Nessun testo giuridico regola quel che un governo dimissionario può o non può fare. Un governo responsabile della gestione degli affari correnti ha comunque poteri limitati e, in linea di principio, non può adottare misure di natura politica. Ma a causa dei pochi precedenti non sarà semplice stabilire un confine tra ciò che è politico e ciò che non lo è. Secondo il costituzionalista Dominique Rousseau tutto dipenderà dalla discrezionalità del Consiglio di Stato, che ha il compito di giudicare le attività del potere esecutivo.
Un governo incaricato di occuparsi degli affari correnti, e dunque dimissionario, non può inoltre essere rovesciato da una mozione di sfiducia: resta da vedere se e quanto Macron deciderà di prolungare questa instabilità.
In assenza di un nuovo governo e in presenza di un tripartitismo quasi perfetto saranno imprevedibili e incerti sia l’assetto della nuova Assemblea Nazionale che la distribuzione degli incarichi al suo interno che, in molti casi, dipendono dalla definizione di chi formerà una maggioranza e di chi siederà invece all’opposizione. Oltre alla nomina del presidente dell’Assemblea, la formazione dei vari gruppi politici e la composizione delle commissioni permanenti potranno fornire una prima indicazione sugli equilibri di potere tra i principali tre blocchi politici che compongono il parlamento.
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Uno dei passaggi che si preannunciavano più complicati era quello della formazione dei gruppi parlamentari. Per poterne formare uno occorrono almeno quindici deputati e la nuova Assemblea ne avrà undici: un record. A partire dalla riforma costituzionale del luglio del 2008 è poi previsto che ciascun gruppo, per vedersi riconosciuti dei diritti specifici come il tempo di presa di parola in aula, debba dichiarare la propria appartenenza alla maggioranza, all’opposizione o debba dichiararsi minoritario, un gruppo cioè che non è né di opposizione né di maggioranza o che è di maggioranza ma poco numeroso.
In assenza di un governo, non era chiaro in base a cosa si sarebbero definiti i gruppi; così come non era chiaro rispetto a chi e a che cosa sarebbero stati all’opposizione, se al gruppo che ha più deputati o se al governo degli affari correnti. Ieri, durante le dichiarazioni dei vari gruppi, ha prevalso la seconda opzione: su undici gruppi otto si sono dichiarati opposizione, dunque tutti eccetto i tre che fanno parte del blocco presidenziale e del governo. A causa della palese instabilità politica è possibile che nei prossimi mesi ci saranno diversi movimenti e passaggi dei gruppi da maggioranza a opposizione o viceversa e che l’assetto definitivo dell’Assemblea rimarrà a sua volta mutevole.
Dalla qualificazione di ciascun gruppo come maggioranza, opposizione o minoritario dipende anche l’attribuzione di alcune funzioni importanti dentro l’Assemblea che saranno decise in questi giorni: uno dei tre incarichi di questore o la presidenza della commissione Finanze, che spetta all’opposizione. La Destra Repubblicana si è dichiarata di opposizione, ma la sua alleanza con il campo governativo per la rielezione di Braun-Pivet rende ora piuttosto confusa la situazione.