L’organizzazione dei centri per migranti in Albania è un caos

La struttura amministrativa che dovrà seguirli dall’Italia è ancora molto indietro: Meloni dice che apriranno il 1° agosto, ma non sembra possibile

L'hotspot costruito dal governo italiano al porto di Shengjin, in Albania (AP Photo/Vlasov Sulaj)
L'hotspot costruito dal governo italiano al porto di Shengjin, in Albania (AP Photo/Vlasov Sulaj)
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Non si sa ancora quando dovranno aprire i centri per migranti che l’Italia sta costruendo da mesi in Albania: la data iniziale, quella del 20 maggio, è stata posticipata più volte e al momento sembra esserci confusione anche all’interno del governo. Intanto è stato aumentato l’organico del tribunale civile e delle commissioni territoriali di Roma, che con l’apertura dei centri dovranno gestire un notevole carico di lavoro aggiuntivo. Anche su questo però le informazioni sono scarse e nemmeno gli uffici sanno quando inizieranno le procedure, né come funzioneranno: tutto insomma è molto caotico.

La costruzione dei centri era stata annunciata lo scorso novembre dalla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal suo omologo albanese Edi Rama: il progetto prevede che l’Italia costruisca e gestisca in territorio albanese tre strutture dove dovrebbero essere portate migliaia di persone migranti dirette in Italia dal mar Mediterraneo. Meloni ha spiegato più volte che l’obiettivo è alleggerire la pressione sul sistema di accoglienza italiano, inadeguato e pieno di problemi, e allo stesso tempo dissuadere i migranti e quindi ridurre le partenze dai paesi del Nord Africa. Tutto sarà finanziato dall’Italia e gestito da personale italiano.

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I centri avrebbero dovuto aprire il 20 maggio scorso, ma questa data è stata posticipata a causa di ritardi e problemi con la costruzione delle strutture, che a fine maggio erano ancora molto indietro. A giugno, durante una visita in Albania, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva annunciato che i centri avrebbero aperto il 1° agosto, ma negli ultimi giorni alcuni giornali hanno detto che tutto è stato spostato al 10 agosto. Sembra ci sia un po’ di confusione anche all’interno del governo: un portavoce della presidenza del Consiglio ha detto al Post che la data del 1° agosto è confermata, mentre un portavoce del ministero dell’Interno ha detto di non poter «formalizzare una data precisa».

Gennarino De Fazio, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Uilpa, conferma che l’apertura dei centri è slittata a una data non ancora definita: dice che inizialmente 12 agenti di polizia penitenziaria sarebbero dovuti partire per l’Albania a fine luglio, ma tutto è stato posticipato almeno alla seconda metà di agosto a causa di ritardi nei lavori. Gli agenti della penitenziaria dovrebbero gestire un carcere con 20 posti costruito appositamente dall’Italia nel caso in cui qualche migrante dovesse essere messo in custodia cautelare mentre è trattenuto nei centri. Sono già stati selezionati, dice De Fazio, e al momento stanno seguendo un corso di formazione. Non è chiaro quando partiranno.

Un’immagine dell’hotspot costruito dall’Italia nel porto di Shengjin, in Albania (AP Photo/Vlasov Sulaj)

Fin da subito sono stati sollevati diversi dubbi sulla solidità dell’accordo, soprattutto a livello giuridico. Dovrebbero essere portati in Albania solo i migranti maggiorenni, maschi e in buona salute soccorsi dalle autorità italiane (quindi dalla Guardia Costiera, dalla Guardia di Finanza o dalla Marina Militare, ma non dalle ong) al di fuori delle acque territoriali dell’Italia o di altri stati membri dell’Unione Europea. Una volta arrivati in Albania dovrebbero essere identificati in un hotspot costruito appositamente nella città costiera di Shengjin, e da lì dovrebbero essere trasferiti a Gjader, nell’entroterra, dove è in corso la costruzione di un centro di prima accoglienza e di un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) con circa mille posti complessivi.

Per finire in questi centri i migranti dovranno provenire da paesi considerati “sicuri”, ossia dove il governo italiano ritiene che l’ordinamento democratico e i diritti della popolazione siano rispettati. Le loro domande d’asilo dovrebbero essere esaminate con una procedura accelerata che può durare al massimo 28 giorni, ed è molto probabile che alla fine vengano rifiutate. Mentre aspettano l’esito della domanda d’asilo, i migranti potranno essere trattenuti in stato di detenzione amministrativa nei centri che il governo italiano sta costruendo in Albania.

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Le procedure relative all’autorizzazione della detenzione amministrativa e all’esame delle domande di protezione internazionale dovrebbero essere svolte dalle autorità italiane: in particolare la questura di Roma dovrebbe avere il compito di emettere i decreti di trattenimento amministrativo per i migranti che sbarcheranno in Albania, che poi dovrebbero essere convalidati dalla 18esima sezione del tribunale civile di Roma, quella competente sull’immigrazione.

Uno degli l'ingressi all'area in cui il governo italiano sta costruendo le strutture di accoglienza e trattenimento e Gjader, nell'entroterra albanese (Foto Il Post)

Uno degli ingressi all’area in cui il governo italiano sta costruendo le strutture di accoglienza e trattenimento a Gjader, nell’entroterra albanese (Foto Il Post)

Per far fronte al maggiore carico di lavoro previsto in seguito all’apertura dei centri, è previsto un ampliamento dell’organico della 18esima sezione. Al momento però i giudici aggiuntivi non sono ancora entrati in servizio, e anzi non si sa nemmeno quanti saranno. Inoltre, nel caso in cui il carico di lavoro continui a risultare ingestibile, è stato stabilito che i decreti di trattenimento potranno eccezionalmente essere convalidati anche dai giudici assegnati alle altre sezioni del tribunale, che però non si occupano quotidianamente di immigrazione e quindi non conoscono i dettagli delle procedure. Dovranno seguire corsi di formazione accelerati, ma anche questi non è chiaro quando cominceranno.

Dopo la convalida del trattenimento è la commissione territoriale di Roma a dover esaminare le domande di asilo presentate dai migranti in Albania. Le commissioni territoriali, che sono venti in tutto (una per regione, a loro volta divise in sezioni), fanno parte del ministero dell’Interno e hanno il compito di stabilire se una persona migrante debba o meno ricevere una forma di protezione internazionale, cioè se possa vivere e ricevere accoglienza in Italia. È un lavoro estremamente difficile e delicato, che dovrebbe essere svolto da funzionari qualificati. Anche in questo caso però con ogni probabilità non sarà così.

L’accordo stipulato con l’Albania prevede che possano essere formate fino a cinque nuove sezioni nella commissione di Roma, dove al momento ce ne sono due. È quindi stata autorizzata l’assunzione di 45 nuovi funzionari che si occuperanno di valutare le domande. Secondo le stime del Servizio bilancio dello stato, le assunzioni costeranno 1,8 milioni di euro nel 2024 e 2,2 milioni all’anno per il 2025 e il 2026.

A metà maggio il ministero dell’Interno ha assegnato 38 nuovi funzionari alla commissione territoriale di Roma, a cui ne sono stati aggiunti altri 7 a fine mese, per un totale di 45. I funzionari non sono stati selezionati in base alle loro competenze in materia di immigrazione, ma sono stati ripescati tra gli idonei delle graduatorie di vecchi concorsi pubblici. I primi 38, per esempio, avevano partecipato a un concorso indetto nel 2021 per assumere personale al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail). Sono quindi persone che non è detto abbiano le competenze e la formazione necessarie per esaminare in modo efficace le domande di protezione internazionale. «Questo sta causando dei problemi», dice Adelaide Benvenuto, sindacalista della CGIL per il settore della funzione pubblica. Il motivo è che il personale ha bisogno di essere formato: ma su temi così «delicati e complessi», dice ancora Benvenuto, «non si può trasmettere velocemente».

Essendo stati ripescati da graduatorie vecchie ormai di due anni, non tutti i 45 funzionari selezionati dal ministero dell’Interno sono entrati in servizio: molti non hanno accettato l’incarico, magari perché nel frattempo avevano trovato un lavoro, e altri hanno lasciato dopo aver capito cosa avrebbero dovuto fare. Benvenuto dice che al momento nella commissione territoriale di Roma sono state formate due nuove sezioni che si occuperanno esclusivamente delle pratiche dell’Albania. Delle 45 persone teoricamente selezionate, 11 sono arrivate circa un mese fa e altre sette erano arrivate il 16 luglio. Altre cinque persone dovrebbero entrare in servizio il 29 luglio: in totale quindi 23 persone dovrebbero occuparsi delle domande di protezione internazionale presentate in Albania.

Inoltre le due nuove sezioni sono state allestite negli uffici del ministero dell’Interno, dato che negli uffici in via dei Santi Apostoli, dove hanno sede le due già funzionanti, non c’era abbastanza spazio. «La situazione è in divenire e ci sta costando moltissimo lavoro», dice Benvenuto, sia perché la formazione è complessa sia perché l’organico è precario, con molte persone che arrivano e se ne vanno di frequente.