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  • Martedì 16 luglio 2024

Nike è rimasta indietro

Mentre si diffondeva la moda della corsa e delle scarpe da ginnastica la più grande azienda di abbigliamento sportivo ha puntato sulle cose sbagliate lasciando spazio a piccoli concorrenti

(AP Photo/David Duprey)
(AP Photo/David Duprey)
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A giugno Nike ha presentato i dati sulle vendite degli ultimi mesi, che non sono andate particolarmente bene: dopo due decenni di crescita costante, nell’ultimo trimestre sono state più o meno uguali a quelle dello stesso periodo dell’anno scorso, e negli ultimi 12 mesi sono state appena l’1 per cento in più dell’anno prima. Dopo la pubblicazione di questi dati l’azienda ha registrato un crollo in borsa di oltre dodici punti percentuali e il Financial Times ha scritto che «se non si tiene conto della pandemia e della crisi finanziaria globale del 2009, questo potrebbe essere il risultato peggiore dell’azienda dal 1999».

È una notizia abbastanza sorprendente perché oltre a essere l’azienda di abbigliamento sportivo più famosa al mondo, Nike è stata a lungo la più importante in un settore, quello delle scarpe da corsa, che dalla pandemia in poi è stato tutt’altro che in crisi. In questi giorni sono usciti diversi articoli che analizzano il rallentamento dell’azienda, che sarebbe dovuto ad alcune scelte sbagliate, oltre che a una competizione senza precedenti.

La crisi delle vendite di Nike è abbastanza recente ma non esattamente una novità. Lo scorso dicembre l’azienda aveva già annunciato un taglio dei costi di 2 miliardi di dollari (il fatturato quest’ultimo anno è stato di 51 miliardi), che aveva portato a una serie di licenziamenti anche di figure storiche all’interno dell’azienda.

Dal 2020 l’amministratore delegato è John Donahoe e in questi ultimi anni la strategia di marketing di Nike per quanto riguarda le scarpe si è concentrata meno sull’innovazione di tecnologie e materiali e più su campagne di marketing che facessero leva su scarsità e nostalgia. Ultimamente Nike aveva infatti puntato soprattutto su nuovi modelli di proprie sneakers storiche, come le Air Force e le Air Jordan, o da collezione, ma anche sulla proposta di scarpe in edizione limitata e collaborazioni con marchi di lusso.

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È un approccio che l’azienda ha riconosciuto essere stato poco lungimirante, tanto che di recente ha fatto sapere che taglierà sulle Air Force 1 e su altre scarpe storiche, e punterà invece su prodotti più innovativi. Dalla pandemia in poi infatti il mercato delle scarpe sportive è cambiato e cresciuto moltissimo, con l’aumento delle persone che hanno cominciato a usarle per correre, ma anche per via dei moltissimi che hanno cominciato a usarle nella vita quotidiana semplicemente per la loro comodità. L’aumento dell’interesse per questo tipo di scarpe, non necessariamente belle ma comode e funzionali anche per chi ha problemi di postura o ai piedi, ha premiato però soprattutto le aziende che hanno investito sullo sviluppo di nuovi modelli e nuove specifiche tecniche.

Oltre a marchi grandi e storici come Adidas, che potrebbe aver chiuso il suo trimestre più profittevole degli ultimi tre anni, di questo momento hanno approfittato soprattutto due aziende di scarpe da corsa più piccole e che fino a poco tempo fa erano sconosciute ai più. Una è la svizzera On, le cui scarpe si sono diffuse moltissimo negli Stati Uniti a partire dal 2020, e la cui visibilità è cresciuta grazie al tennista Roger Federer, che ne è azionista dal 2019. E l’altra è la francese Hoka (comprata da Deckers Brands nel 2013), che si distingue per le suole voluminose, sporgenti e molto comode, e ha la fama (mai dimostrata) di fare le migliori scarpe per prevenire infortuni durante la corsa. Nell’ultimo anno il valore delle azioni di Deckers Brands e On è cresciuto rispettivamente del 103 per cento e del 44 per cento, mentre quello di Nike è calato del 17.

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Negli ultimi anni Nike ha anche gradualmente ritirato i propri prodotti dai negozi di molti rivenditori di scarpe e abbigliamento sportivo multimarca, con l’obiettivo di concentrare le vendite nei propri negozi e nel proprio e-commerce, per abbattere i costi degli intermediari e guadagnare di più. A questo proposito l’azienda aveva detto di aver mantenuto la collaborazione solo con 40 catene di rivenditori, tra cui per esempio Foot Locker. In un momento in cui la concorrenza cresceva però scomparire del tutto dagli scaffali di molti rivenditori si è rivelato un errore.

Secondo una ricostruzione del Wall Street Journal, Nike avrebbe fatto lo stesso errore anche trascurando i gruppi di corsa che in molte città degli Stati Uniti sono diventati partecipatissimi dopo la pandemia. Marchi di scarpe come On, Hoka, ma anche New Balance e Asics, hanno rappresentanti distribuiti in modo capillare, che contattano i gruppi, si presentano ai raduni, fanno provare le scarpe e distribuiscono gadget o bevande. Negli ultimi anni Nike sembra invece aver disinvestito da questo tipo di operazioni di marketing territoriale, e anche dove è rimasta presente è stata comunque superata dall’approccio più aggressivo degli altri marchi.

In questa situazione di rallentamento, Nike sta puntando molto sulla visibilità che le daranno le Olimpiadi che inizieranno a Parigi alla fine di luglio, tanto che ha detto di aver investito in questa edizione più che mai in precedenza. Nike vestirà infatti atlete e atleti statunitensi di tutti gli sport, ma anche le squadre di atletica di Canada, Cina, Kenya, Germania e Uganda.

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I modelli di scarpe che si vedranno alle Olimpiadi però sono di fascia alta, superiori ai 200 dollari, e quindi non ideali per trainare l’aumento delle vendite che Nike spera di alimentare. Per questo, in occasione delle Olimpiadi, ha presentato anche un nuovo modello di Pegasus con un prezzo tra i 100 e i 200 dollari che verrà messo in vendita al pubblico nel 2025 e dovrebbe essere una dimostrazione della nuova spinta dell’azienda a trovare soluzioni innovative. Le Pegasus Premium hanno infatti una suola particolarmente “elastica”, data da una composizione nuova di ammortizzatori ad aria e schiuma che vanno dal tallone alla punta delle dita. Oltre a questo Nike ha recentemente presentato una linea di scarpe con tecnologia Air progettate con l’intelligenza artificiale e insieme ad atleti di fama internazionale come il calciatore francese Kylian Mbappé, e ha fatto sapere che tra luglio e agosto sarà presente a Parigi con una serie di eventi al centro Pompidou.

Oltre ad aver ammesso i propri errori e aver dichiarato l’intenzione di cambiare approccio, Nike ha recentemente anche preso alcuni provvedimenti concreti. La scorsa settimana ha fatto sapere di aver assunto nuovamente Tom Peddie, storico dirigente dell’azienda che era andato in pensione nel 2020. Nella posizione in cui è stato messo Peddie dovrà risolvere il problema della distribuzione e riprendere i rapporti con i rivenditori esclusi negli ultimi anni: quello che Business of Fashion ha definito «il problema di Nike più facile da risolvere». L’altro problema, più difficile da risolvere, è quello di «offrire più prodotti che le persone vogliano comprare»: per questo Nike ha invece da poco assunto Tim Hamilton, fino a poco fa dirigente di The North Face, come vicepresidente del dipartimento di abbigliamento maschile.

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