Cosa è andata a fare Giorgia Meloni a Napoli
Ha firmato il protocollo d'intesa per la riqualificazione dell'ex area industriale di Bagnoli, un atto più che altro formale per ribadire l'impegno del governo nel costoso progetto
Lunedì mattina la presidente del Consiglio Giorgia Meloni era a Napoli per firmare il protocollo di intesa per la riqualificazione dell’ex area industriale di Bagnoli. È un atto più che altro formale, utile a ribadire l’impegno del governo in uno dei progetti più costosi e complessi finanziati negli ultimi anni con fondi pubblici, ma che si trova ancora in una fase iniziale (i cantieri non sono partiti). Nelle ultime settimane proprio in merito ai fondi (1,2 miliardi di euro) c’era stato un confronto piuttosto polemico tra il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e il ministro per le cosiddette Politiche di coesione Raffaele Fitto. Anche lunedì mattina De Luca ha criticato il governo, e poi si sono aggiunte le proteste di molti abitanti della zona di Bagnoli secondo cui il progetto è stato poco discusso con la cittadinanza e soprattutto è in forte ritardo.
I primi progetti di recupero dell’area di Bagnoli, in effetti, risalgono a trent’anni fa. L’ex area industriale si trova nella periferia occidentale della città e si affaccia sul mare nella baia di Pozzuoli. Nel 1994, un anno dopo la chiusura dell’acciaieria dell’ILVA, furono stanziati i primi 400 miliardi di lire, circa 390 milioni di euro di oggi. I lavori iniziarono, ma il cantiere si interruppe dopo pochi mesi a causa di problemi legati alla stabilità del suolo. Nel 1996 venne creata la società Bagnoli Spa che smantellò la maggior parte degli edifici. Dopo sei anni di lavori, tuttavia, era stato completato soltanto il 30 per cento delle bonifiche delle strutture.
Da quando si iniziò a discutere del recupero, il problema principale è sempre stato la bonifica della cosiddetta “colmata a mare”, una vasta superficie di 195mila metri quadrati riempita di cemento e scarti dell’altoforno, realizzata alla metà degli anni Sessanta per far fronte alla necessità di ampliare lo stabilimento siderurgico. La colmata fu realizzata riempiendo il tratto di mare compreso tra i due pontili a servizio dello stabilimento. Al di là di qualche ricognizione commissionata per capire quanto sia inquinato quel tratto di mare, nessuno è mai intervenuto sulla colmata, nonostante sia stata rilevata la presenza di amianto, arsenico e mercurio.
Nel 2002 il comune affidò la riqualificazione a una società creata appositamente, Bagnoli Futura. Il progetto prevedeva tra le altre cose la realizzazione di un parco, di una spiaggia, di un “parco dello sport”, di infrastrutture per la ricerca e di strutture adatte alla ricezione dei turisti. Come spesso accade per i piani così grandi e ambiziosi, già nelle prime fasi emersero problemi amministrativi, ritardi, ricorsi, blocchi dei fondi e tentativi di ridimensionare le previsioni per limitare tempi e costi. Furono riqualificati alcuni spazi, ma le nuove strutture non furono mai aperte e in poco tempo vennero di fatto abbandonate.
Nel 2011 ci fu un primo sequestro di terreni legato alle mancate bonifiche e nel 2013 21 persone tra dirigenti di enti locali e di Bagnoli Futura vennero indagate dalla procura di Napoli, con l’accusa di disastro ambientale.
Nel 2019 Invitalia, società partecipata dallo Stato a cui era stata affidata la gestione del recupero, organizzò un concorso internazionale di progettazione poi vinto dalla proposta chiamata “Balneolis”, presentata da dodici società tra studi di progettazione architettonica, urbana e paesaggistica. È prevista la realizzazione di un parco naturale, con la rimozione della colmata a mare per unire la costa alla collina; una zona chiamata “bosco produttivo” con il recupero delle coltivazioni arboree e delle specie autoctone; e un parco urbano vicino al quartiere residenziale e alle nuove costruzioni.
Negli ultimi mesi, per via dei costi e dei ritardi, Invitalia ha suggerito al comune di Napoli di procedere con le bonifiche senza la rimozione delle sostanze inquinanti, ma con una soluzione più rapida e meno costosa: non rimuovere la colmata a mare, ma sigillarla per evitare che la piastra di cemento rilasci inquinanti nel mare. Secondo le stime, infatti, la rimozione completa costerebbe 650 milioni di euro contro i 370 della sola sigillatura. Il piano è stato sostenuto anche dal ministro Fitto. L’unica condizione richiesta per cambiare il progetto originale è che venga mantenuta la balneabilità dei tre chilometri di costa, uno degli obiettivi a cui tengono di più comitati e abitanti del quartiere.
Lunedì mattina Meloni ha promesso che i cantieri si concluderanno nel 2031 e che avranno un indotto occupazionale di 10mila persone tra dipendenti diretti e indiretti. «Ciò che non ha funzionato in questi dieci anni è che sono mancate le risorse», ha detto. «Su questo sito, a fronte di 2 miliardi e 280 milioni necessari a coprire il costo degli interventi di riqualificazione e risanamento, era stata messa a disposizione la cifra di 480 milioni: meno di un settimo di quanto necessario» (in realtà 480 milioni sono poco più di un quinto).
La cerimonia di lunedì mattina è stata l’occasione per un nuovo saluto tra Meloni e il presidente della Campania Vincenzo De Luca, con cui negli ultimi mesi ci sono stati scontri verbali piuttosto clamorosi. Tutto era partito da un fuori onda di De Luca che aveva dato della «stronza» a Meloni durante una manifestazione contro l’autonomia differenziata. Pochi giorni dopo, arrivata a Caivano per un’inaugurazione, Meloni aveva salutato De Luca presentandosi così: «Salve, sono la stronza della Meloni». Secondo quanto riportato da diversi giornali, lunedì mattina il presidente della Campania l’ha accolta presentandosi come «il civile De Luca» (dai video circolati online non si capisce bene cosa le dica).
De Luca è tornato però a criticare il ministro Fitto. «Diciamo che abbiamo mantenuto, se proprio dobbiamo fare un’osservazione, una coerenza rispetto a una tradizione molto diffusa da queste parti: c’è chi caccia i soldi e chi fa le cerimonie. Quindi ho voluto partecipare anche a questa bella cerimonia essendo il principale cacciatore di soldi». La battuta di De Luca si riferisce al lungo e aspro confronto tra la Regione e il governo sull’attribuzione dei fondi di coesione, fondi europei che hanno l’obiettivo di promuovere la crescita economica e ridurre le disuguaglianze all’interno dell’Unione.
Nel novembre dello scorso anno il parlamento aveva approvato una riforma voluta da Fitto che attribuisce a lui stesso più poteri rispetto al passato. Ora infatti è il ministero a definire le priorità, a programmare la distribuzione dei fondi e a firmare gli accordi con le Regioni. La riforma è stata molto criticata non solo dai presidenti del centrosinistra come De Luca, ma anche da diversi esponenti di centrodestra. In particolare De Luca lamenta la mancata assegnazione dei 6 miliardi che spetterebbero alla Campania, tenuti fermi da quasi un anno. Negli ultimi mesi Fitto ha sostenuto invece che la Campania fosse in ritardo nella spesa e nella definizione dei progetti. La Regione ha così presentato un ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR) e poi al Consiglio di Stato per avere i soldi: in entrambi i casi i giudici hanno dato ragione alla Regione.
Nelle ultime settimane era attesa solo la firma dell’accordo di coesione, l’ultimo passaggio per lo sblocco dei fondi, che tuttavia è in ritardo. «Ho detto a Fitto che non manca più nulla per approvare l’accordo di coesione», ha detto De Luca lunedì mattina. «Mi auguro che si concluda questo lungo calvario che abbiamo vissuto e che tiene bloccato tutto il comparto della cultura, dello spettacolo, le opere stradali che abbiamo previsto per i comuni, le opere di assetto territoriale». Durante la cerimonia Meloni ha fatto notare che i soldi stanziati per Bagnoli, 1,2 miliardi di euro, arrivano da fondi nazionali. In realtà, come dice anche De Luca, quei fondi fanno parte della quota che lo Stato trasferisce alla Regione.