Si vota in Ruanda, Paul Kagame punta di nuovo a superare il 90% dei voti
Cioè il risultato che il presidente ruandese ha ottenuto nelle ultime tre elezioni, che come quella di oggi non sono state né libere né democratiche
Oggi in Ruanda si vota per le elezioni presidenziali e per rinnovare 53 degli 80 seggi della Camera dei deputati, la camera bassa del parlamento. Le elezioni non sono libere e ci si aspetta che Paul Kagame, che controlla di fatto il paese dal 1994 ed è presidente dal 2000, stravinca con percentuali superiori al 90 per cento dei voti, come successo alle ultime tre presidenziali. Negli anni Kagame ha cercato di presentarsi ai governi stranieri come un alleato affidabile e uno dei pochi leader africani in grado di garantire un certo grado di stabilità nel paese che guida. Allo stesso tempo ha governato in maniera autoritaria, reprimendo l’opposizione e limitando di parecchio la libertà di stampa e di espressione.
Alle ultime presidenziali, nel 2017, Kagame disse di avere vinto con più del 98 per cento dei voti; nel 2010 con il 93, nel 2003 con il 95: nessuna di queste fu una elezione libera né regolare. I risultati del voto di oggi verranno comunicati sabato 20 luglio, ma considerati i precedenti, e considerato che le condizioni non sono cambiate, ci si aspetta che Kagame ottenga anche questa volta più del 90 per cento dei voti.
Kagame, che oggi ha 66 anni, prese il potere in Ruanda dopo il drammatico genocidio del 1994 compiuto dalla maggioranza della popolazione, di etnia hutu, nei confronti della minoranza dei tutsi. Allora Kagame era al comando delle milizie tutsi riunite nel Fronte Patriottico Ruandese (FPR), che deposero il governo degli hutu e misero fine al massacro. Fu eletto presidente per la prima volta nel 2003, ma fino al 2000 era stato ministro della Difesa e vicepresidente ed era già considerato il leader di fatto del paese.
Nel 2015 Kagame convocò un referendum per modificare la Costituzione e poter rimanere ancora in carica nonostante il limite dei due mandati consecutivi, che aveva già svolto. Il testo fu approvato con il 98 per cento dei voti, e di nuovo non fu un voto libero né regolare.
Il referendum prevedeva una riduzione a cinque anni di ciascun mandato (dai sette precedenti) e confermava il limite dei due mandati successivi: prevedeva però che i due mandati si iniziassero a calcolare da questa elezione. Significa che Kagame potrebbe svolgere altri due mandati quinquennali da presidente e rimanere così al potere fino al 2034.
Nemmeno la campagna elettorale per le elezioni di oggi in Ruanda è stata libera: Kagame è stato l’unico candidato a cui era permesso farla. L’attuale presidente, commentando le percentuali così alte con cui ha sempre vinto le elezioni, ha detto durante un comizio: «C’è qualcuno che pensa che prendere il 100 per cento non sia democrazia. Ci sono molti [leader] che vengono eletti con il 15 per cento… Quella è democrazia? Come?».
«Le elezioni sono come una partita di calcio in cui l’organizzatore scende in campo, sceglie gli altri avversari, ordina al pubblico di assistere e ognuno conosce il vincitore in anticipo ma deve comportarsi come se fosse una partita vera», ha spiegato a BBC News l’ex presidente del parlamento ruandese, Joseph Sebarenzi, che lasciò il paese nel 2000 a seguito di alcuni contrasti con il governo già allora controllato da Kagame.
Kagame ha infatti vietato di partecipare alle elezioni i candidati più noti dell’opposizione, tra cui l’attivista Diane Rwigara e Victoire Ingabire. Ha invece permesso di candidarsi a Frank Habineza e Philippe Mpayimana, due politici minori dell’opposizione che nel 2017 presero insieme poco più dell’1 per cento dei voti.
Habineza fa parte del Partito verde democratico, il cui vicesegretario nel 2010 venne assassinato. Mpayimana si presenta da indipendente ed è un ex giornalista. Numerosi partiti, oltre al Fronte Patriottico Ruandese (FPR) del presidente, sono confluiti sulla candidatura di Kagame: né Habineza né Mpayimana hanno serie possibilità di vincere, né tantomeno di prendere percentuali significative di voto.
In passato Kagame è stato accusato di aver ordinato l’omicidio di diversi esponenti dell’opposizione. Il suo governo sostiene le milizie ribelli del “Movimento per il 23 marzo” (M23) nella Repubblica Democratica del Congo, con il Ruanda cui confina, e ha inviato tra i 3mila e i 4mila soldati a combattere insieme a questi guerriglieri contro l’esercito regolare del Congo, rischiando un allargamento della guerra nel resto della regione.
Negli ultimi anni si è parlato del Ruanda anche per il controverso piano dei precedenti governi britannici, guidati dai Conservatori (destra), che avrebbero voluto trasferire forzatamente nel paese africano i richiedenti asilo. Il piano era stato fermato più volte dai ricorsi legali ed è stato infine abrogato dal nuovo primo ministro Keir Starmer, dei Laburisti (sinistra), già durante la sua prima conferenza stampa, ormai due settimane fa. L’accordo con il Regno Unito era servito a Kagame per cercare di presentare il suo paese come “Svizzera dell’Africa”, un’espressione che ricorre a livello giornalistico nonostante siano documentate le violazioni dei diritti umani compiute dal suo governo, tra le quali sparizioni forzate e omicidi.
In virtù di questo accordo, il governo britannico aveva già versato al Ruanda circa 220 milioni di sterline (262 milioni di euro) senza che fosse avvenuto un solo trasferimento di persone migranti. Recentemente le autorità ruandesi hanno detto che non hanno intenzione di restituire quei fondi.
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