I suicidi in carcere continuano a essere un problema
Il loro numero sta aumentando e dipende dalle pessime condizioni di molte carceri italiane, dal sovraffollamento e dalla mancanza di servizi ritenuti essenziali
di Laura Frittelli
Dall’inizio dell’anno fino al 13 di luglio nelle carceri italiane si sono suicidate 55 persone. Se il tasso dei suicidi si mantenesse costante anche nei prossimi mesi, entro la fine dell’anno si supererà il record del 2022, quando si suicidarono 85 persone, il dato più alto degli ultimi 30 anni.
Questi numeri dimostrano quanto sia grave la situazione delle carceri in Italia, luoghi dove non vengono rispettati i diritti fondamentali delle detenute e dei detenuti. Lo dimostra anche il fatto che il tasso dei suicidi nella popolazione libera sia molto più basso rispetto a quella carceraria. Alcuni dei dati più recenti risalgono al 2021 e sono stati pubblicati da ISTAT: le persone libere che si sono suicidate sono state 0,7 ogni 10.000, mentre per i detenuti questo tasso è decisamente più alto, 10,6 ogni 10.000.
Secondo l’ultimo rapporto annuale di Antigone, associazione che si occupa della tutela dei diritti delle persone che si trovano in carcere, tra il 2023 e il 2024 le carceri con il maggior numero di suicidi sono state quelle di Roma Regina Coeli, di Terni, di Torino e di Verona: in ciascuna ci sono stati 5 suicidi. Il 28 febbraio di quest’anno alcuni rappresentati di Antigone hanno visitato il carcere maschile di Regina Coeli, che in quel periodo registrava un tasso di affollamento pari al 181,5%, tra i più alti in Italia.
La situazione all’interno di Regina Coeli mostra in modo piuttosto evidente quali siano i problemi alla base di un così alto numero di suicidi: il sovraffollamento, pessime condizioni igieniche, scarsa assistenza psicologica e sanitaria. L’alto numero di detenuti ha ripercussioni su tutta la vita all’interno del penitenziario e sul suo funzionamento. Dal rapporto risulta che non sono garantiti in tutte le celle 3 m² calpestabili per ciascun detenuto, standard minimo previsto da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
Nella settima sezione del carcere gli ambienti comuni, utilizzati per svolgere attività, sono stati trasformati in celle per accogliere nuovi detenuti. La settima sezione ospita i detenuti più difficili da gestire e i nuovi arrivati: proprio lì nel 2023 era stato registrato il tasso più alto di suicidi di tutto il carcere. Le celle sono piccolissime e ospitano 2 o 3 persone su dei letti a castello. Il WC e il lavandino sono in stanze adiacenti alla celle ma senza privacy. Le finestre sono piccole, entra poca luce naturale e il ricambio d’aria è difficile. Solo nel terzo piano ci sono le docce. In questi spazi angusti e con pessima igiene, i detenuti della settima sezione passano 23 ore al giorno.
Nella seconda sezione c’è il reparto psichiatrico con 19 posti letto che al momento della visita di Antigone erano tutti occupati. La condizione del reparto psichiatrico è molto critica, le stanze hanno un solo pezzo d’arredamento: il letto. Qualsiasi effetto personale (compreso il cibo) viene appoggiato per terra.
Le stanze sono singole o doppie, e le condizioni igieniche sono pessime. Le attività proposte a chi si trova in reparto sono: pranzare una volta a settimana insieme ai tecnici della riabilitazione psichiatrica, un’attività teatrale il martedì, la visita di volontari il sabato. Per quanto riguarda la sanità nel carcere, rispetto al passato c’è una significativa diminuzione degli accessi di specialisti. Prima entravano regolarmente l’infettivologo, il gastroenterologo, lo pneumologo e l’ortopedico, mentre adesso per poter essere visitati da questo tipo di specialisti è necessario uscire dal carcere, cosa che è ovviamente molto complicata e lunga. Tutto questo rende il carcere di Regina Coeli un posto assai complicato, in cui i diritti garantiti dalla legge non vengono rispettati: è un luogo di abbandono, alienazione, violenza e sofferenza. Sono queste le condizioni che spiegano un così alto numero di suicidi.
Nelle carceri italiane una delle categorie più a rischio di suicidio sono le donne, che rappresentano il 4,2% della popolazione carceraria. Il numero assoluto di donne che si sono suicidate è naturalmente minore rispetto a quello degli uomini (nel 2023 si sono suicidate 4 donne e 66 uomini) ma in proporzione il tasso di suicidi nella popolazione carceraria femminile è più alto che in quella maschile: 16 ogni 10.000 donne contro 11,8.
Questo dato si spiega con le condizioni a cui sono sono sottoposte le donne in carcere, peggiori rispetto a quelle degli uomini. Nel 2023 le detenute erano 2.392, di queste 599 ospitate negli unici quattro penitenziari esclusivamente femminili, le restanti nelle sezioni a loro dedicate nei carceri maschili. Essendo quindi concentrate in pochi punti del territorio, per le detenute è più difficile ricevere visite da parte dei familiari: gli spostamenti e il pernottamento in un’altra città possono essere una spesa gravosa per le loro famiglie, spesso in condizioni di difficoltà economica.
Inoltre, sempre perché sono poche, alle donne non vengono attivati percorsi di reinserimento nel mondo del lavoro, ma non possono nemmeno partecipare a quelli fatti per gli uomini perché per legge nelle carceri italiane i detenuti di sesso diverso vengono tenuti separati. L’allontanamento dal contesto familiare e l’impossibilità a partecipare alle stesse attività previste per gli uomini rendono le donne marginalizzate e alienate.
In risposta alla situazione d’emergenza degli istituti penitenziari, e in particolare al sovraffollamento, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto chiamato “Carcere sicuro”, che prevede tra le altre cose l’istituzione di nuove comunità per accogliere alcune tipologie di detenuti (chi ha quasi finito di scontare la pena, persone tossicodipendenti, chi ha commesso reati lievi) e ad assumere 1000 unità nel corpo della polizia penitenziaria. Il decreto inoltre semplifica le procedure di concessione della libertà anticipata, aumenta il numero di telefonate da 4 a 6 al mese.
Secondo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sono misure che risolveranno il problema del sovraffollamento e di conseguenza quello dei suicidi, ma per molte associazioni che si occupano di carcere e di diritti dei detenuti non sarà un provvedimento risolutivo. Il decreto presentato da Nordio non tocca i problemi principali del carcere, per esempio la carenza di personale sanitario, educatori, mediatori, psicoterapeuti. Assumere solo poliziotti non basta, dicono le associazioni: aggiungo che le telefonate garantite dovrebbero essere una al giorno, non una ogni cinque, e che a un detenuto dovrebbe essere permesso di entrare in una struttura solo se lo spazio vitale gli è assicurato.
Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.
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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.