Breve storia del braccialetto elettronico in Italia
È stato introdotto nel sistema penale italiano più di venti anni fa per ridurre il sovraffollamento nelle carceri, ma il suo uso è diventato consistente solo negli ultimi anni
di Francesca Senatore
Il braccialetto elettronico (che anche se si chiama così è più spesso una cavigliera) è uno strumento che permette di sorvegliare a distanza la persona a cui viene fatto indossare. In Italia viene imposto dalla magistratura a persone che si trovano agli arresti domiciliari in attesa di processo e alle persone condannate a una pena di reclusione non superiore ai tre anni, per le quali viene quindi introdotta la possibilità di poter scontare la pena detentiva al di fuori del carcere. Le misure di controllo elettronico avrebbero dovuto contribuire a ridurre il sovraffollamento delle carceri, e le possibilità d’uso del braccialetto elettronico sono state successivamente ampliate fino a renderlo anche uno strumento di prevenzione di reati connessi alla violenza di genere. Tuttavia, negli anni si sono susseguite polemiche sui costi e malfunzionamenti dei braccialetti e sui loro limitati effetti sul sistema penitenziario.
In Italia il braccialetto elettronico è stato utilizzato per la prima volta nel 2001, applicato in via sperimentale ai detenuti agli arresti domiciliari nelle città di Roma, Milano, Napoli, Bologna e Reggio Calabria. Il riferimento normativo era la legge 4 del 19 gennaio 2001, che introduceva le misure di monitoraggio elettronico per i soggetti in stato di arresto o detenzione domiciliare: inizialmente il giudice poteva proporre l’uso del braccialetto elettronico e la persona interessata doveva dare il consenso all’uso.
Nel 2003 il Ministero degli Interni aveva approvato una convenzione con Telecom per la fornitura di 2000 dispositivi di monitoraggio elettronico. I primi dispositivi funzionavano in modo piuttosto rudimentale: non erano ancora dotati di GPS ma trasmettevano un segnale alla centralina installata nell’abitazione, collegata tramite rete telefonica alla sede operativa più vicina dei Carabinieri o della Polizia di Stato, che dava l’allarme nel caso di superamento del perimetro stabilito.
Dal 2013 la funzione del braccialetto elettronico è stata estesa a strumento di contrasto alla violenza di genere, venendo impiegato per monitorare le persone verso cui il giudice aveva disposto l’allontanamento dalla casa familiare. I braccialetti elettronici erano stati aggiornati con il GPS (un sistema di geolocalizzazione satellitare) ed erano quindi in grado di comunicare la loro posizione in tempo reale, permettendo alla polizia di verificare che chi lo indossava non si avvicinasse alle aree interdette (per esempio un quartiere o un’abitazione).
Uno dei passaggi fondamentali verso un maggiore uso dei braccialetti elettronici è poi stata la legge 47 del 2015, che ha disposto che le procedure elettroniche di controllo venissero sempre applicate, salvo nei casi in cui il giudice non le ritenga necessarie. Prima del 2015 il braccialetto elettronico era quindi considerato un’eccezione, da quel momento avrebbe dovuto diventare la norma.
Con la legge “Codice Rosso” del 2019 – che rendeva più severe le pene per la violenza domestica e di genere – l’uso del braccialetto elettronico come sistema di controllo fu rafforzato: i nuovi dispositivi anti-stalking funzionano con un sistema di tracciamento di prossimità per cui alla vittima di aggressione viene consegnato un dispositivo in grado di rilevare la presenza dell’aggressore nelle vicinanze e mandare un allarme al Centro Elettronico di Monitoraggio per avvisare le forze di Polizia.
Nonostante le ampie possibilità d’uso, l’utilizzo del braccialetto elettronico negli anni è stato scarso fino al 2020, quando con il decreto Cura Italia le condizioni per la detenzione domiciliare sono state rese più accessibili proprio ricorrendo al monitoraggio elettronico.
Da quel momento in poi l’impiego del braccialetto elettronico è stato più frequente, con 2.808 braccialetti attivati nel 2021, 3.357 nel 2022 e 5.695 alla fine del 2023.
Negli ultimi anni ci sono state diverse polemiche intorno all’uso del braccialetto elettronico; prima tra tutte quella sui costi, che nel 2012 furono giudicati dalla Corte dei Conti come decisamente elevati. Più di recente, in seguito alle sempre più numerose applicazioni del braccialetto elettronico nelle misure anti-stalking (1.018 a novembre 2023), le discussioni hanno riguardato i malfunzionamenti dei dispositivi e i rischi per le vittime di violenze.
Uno dei casi più gravi è quello che ha portato alla morte di Concetta Marruocco, una donna di 53 anni uccisa dall’ex marito Franco Panariello, sottoposto a sorveglianza con un braccialetto elettronico risultato poi difettoso. Nel momento in cui Panariello era riuscito a entrare nella casa dell’ex moglie, il braccialetto non aveva allertato le forze dell’ordine, intervenute in ritardo a causa del malfunzionamento del dispositivo.
In Italia i braccialetti elettronici sono stati d’aiuto soprattutto nel ridurre il numero di persone presenti nelle carceri in attesa di processo, permettendo loro di aspettare la sentenza definitiva nella propria abitazione. I dati riportati dal ministero della Giustizia, aggiornati al 30 giugno 2024, evidenziano la presenza di 6.202 condannati non definitivi su un totale di 61.480 persone detenute: rimane ampia la porzione di popolazione carceraria non coinvolta in questa forma di sorveglianza.
Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.