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  • Domenica 14 luglio 2024

L’indagine sul presunto spionaggio politico contro Podemos, in Spagna

Il caso risale a quasi dieci anni fa: l'allora governo conservatore di Mariano Rajoy è accusato di avere spiato con mezzi illegali parlamentari del partito di sinistra

Il leader di Podemos Pablo Iglesias e altri membri del partito festeggiano il risultato elettorale del dicembre 2015 (AP Photo/Emilio Morenatti)
Il leader di Podemos Pablo Iglesias e altri membri del partito festeggiano il risultato elettorale del dicembre 2015 (AP Photo/Emilio Morenatti)
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Negli ultimi giorni la stampa spagnola si sta occupando di una storia piuttosto grossa di spionaggio politico risalente a quasi dieci anni fa, su cui sta indagando l’Audiencia Nacional, un importante tribunale che ha sede a Madrid e che si occupa di reati molto gravi, per esempio legati al terrorismo. Il caso riguarda il presunto spionaggio svolto tra il 2015 e il 2016 da figure apicali della Policía Nacional spagnola per conto del ministero dell’Interno contro parlamentari del partito di sinistra Podemos. In quegli anni il governo era guidato dal primo ministro Mariano Rajoy, del Partito Popolare (PP, conservatore), mentre Podemos era entrato per la prima volta in Parlamento rompendo il tradizionale bipolarismo spagnolo.

Del caso si sta occupando soprattutto il quotidiano El País, che ha potuto vedere alcuni documenti dell’indagine.

Per capire il caso bisogna anzitutto partire dal contesto, quello delle elezioni spagnole del 2015, dalle quali uscì un parlamento molto frammentato. Il Partito Popolare guidato da Rajoy, che veniva da anni di impopolari riforme di austerity, ottenne il maggior numero di voti ma non la maggioranza dei seggi; i socialisti del PSOE furono il secondo partito più votato, seguiti da Podemos e dai liberali di Ciudadanos. Per la prima volta in decenni si sarebbe dovuto formare un governo di coalizione, ma non c’erano accordi pre-elettorali tra i partiti.

Iniziò quindi una fase di consultazioni, che culminò in nuove elezioni nel giugno 2016 e in un secondo governo Rajoy. È nel contesto di questo risultato elettorale incerto che il ministero dell’Interno – ancora guidato del governo reggente – avrebbe dato inizio a quella che la stampa spagnola descrive oggi come la guerra sucia (guerra sporca) del Partito Popolare: tramite mezzi illeciti, il PP avrebbe cominciato a cercare informazioni potenzialmente dannose per la reputazione dei propri avversari politici, per indebolirli e assicurarsi di rimanere al governo.

L'ex primo ministro spagnolo Mariano Rajoy (Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images)

Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy nel 2017 (Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images)

L’inchiesta giudiziaria è iniziata a febbraio in seguito a una denuncia di Podemos, ma è legata a una serie di inchieste precedenti che coinvolgono esponenti della polizia e dell’ex governo Rajoy. È partita da alcune conversazioni avvenute su WhatsApp tra l’allora viceministro dell’Interno, Francisco Martínez, e il commissario di polizia Enrique García Castaño, capo dell’Unità operativa centrale.

In questi scambi Martínez chiedeva a Castaño di cercare «attentamente» qualcosa di «losco» sul conto dei parlamentari di Podemos. Castaño rispondeva di aver trovato poco o nulla e Martínez insisteva: «Bisogna guardarli uno per uno. Ovviamente lasceremo delle tracce», aveva avvertito il commissario in risposta alle pressioni del ministro.

Nei mesi che seguirono sul database della polizia vennero effettuate 6.903 ricerche sul conto di almeno 55 dei 69 parlamentari eletti quell’anno da Podemos. Alcuni erano noti politici del partito: c’era inevitabilmente il leader del movimento Pablo Iglesias, ma anche il segretario politico Íñigo Errejón e la portavoce in parlamento Irene Montero. Furono coinvolte anche decine di altri deputati meno conosciuti. Il parlamentare su cui si concentrarono più ricerche (900 in totale) fu il responsabile delle Finanze e della Trasparenza, Segundo González García.

Ci sono ancora diversi aspetti poco chiari sul caso.

Non si sa per esempio se le ricerche illecite, perché condotte senza un mandato, proseguirono anche oltre il 2016 (il giudice ha dovuto circostanziare la richiesta al periodo 2015-2016); non si sa quanti agenti di polizia furono coinvolti (da un documento presentato dal tribunale sembrano essere stati 2.700 utenti, ma è un numero incredibilmente alto e considerato poco credibile); non si conosce nemmeno il contenuto preciso delle ricerche, anche se, sulla base delle banche dati che furono consultate più frequentemente, si può ipotizzare che riguardassero precedenti penali, eventuali arresti o detenzioni, ma anche informazioni su numeri di telefono o vetture intestate ai parlamentari.

Le inchieste giudiziarie in corso stanno rivelando anche altri aspetti della vicenda, ha raccontato il País. In quegli anni le persone nei ruoli apicali della Policía Nacional non si sarebbero limitate a ordinare di raccogliere in maniera illecita informazioni sui parlamentari di Podemos, ma avrebbero anche tentato, tramite mezzi illegali come ricatti ed estorsioni, di ottenere prove di un presunto finanziamento illegale allo stesso partito da parte del governo del Venezuela, che fino al 2013 era stato guidato da Hugo Chávez. Allora erano infatti molto noti e commentati i legami opachi tra Podemos e il governo del Venezuela.

Un altro sistema usato allora dalla polizia sarebbe stato quello di creare prove false contro Podemos passandole poi a giornali vicini alla destra spagnola affinché le diffondessero. Un caso piuttosto grosso fu quello risalente al 4 di maggio del 2017, quando Okdiario, giornale online di destra, pubblicò una notizia secondo la quale il governo venezuelano di Nicolas Maduro (il successore di Chávez) aveva dato 256mila euro a Pablo Iglesias tramite una banca dell’arcipelago caraibico Grenadine, considerato un “paradiso fiscale”. Quella notizia, come diverse altre simili, si rivelò poi falsa.