Negli Stati Uniti le società che gestiscono prigioni private sperano in Donald Trump
Al contrario di Joe Biden, l’ex presidente americano ha spesso promosso leggi a favore delle prigioni che accolgono detenuti per profitto, garantendo loro grossi guadagni
di Niccolò Martelli
Uno dei primi atti di Joe Biden da quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti è stata la firma di un ordine esecutivo, cioè una misura con cui coordina le attività del governo Federale, con cui chiedeva al dipartimento di Giustizia statunitense di non rinnovare i contratti con le prigioni private federali, ossia penitenziari federali gestiti da società private. L’ordine esecutivo del 26 gennaio 2021 stabiliva che il sistema di carcerazione statunitense fosse troppo costoso e non rendesse più sicura la società. «Per ridurre i livelli di carcerazione», si leggeva nel documento, «dobbiamo ridurre gli incentivi a incarcerare basati sul profitto, eliminando gradualmente la dipendenza del governo federale dalle prigioni gestite da privati».
Tre anni e mezzo dopo l’insediamento di Biden, le prigioni private federali non ospitano più alcun detenuto. L’ordine esecutivo firmato da Biden a inizio mandato non aveva però il potere legale di essere applicato ad altre agenzie come l’Immigration and Customs Enforcement (ICE), cioè l’agenzia governativa che si occupa della sicurezza dei confini. Dal 2021 il numero di persone detenute dall’ICE è cresciuto del 153 per cento e a settembre dello stesso anno il 79 per cento dei detenuti sotto la custodia di ICE si trovava in prigioni private. A luglio del 2023 la percentuale di detenuti in carceri private dell’ICE era salita al 90,8 per cento: attualmente sono circa 38 mila persone.
L’ordine esecutivo che Biden firmò nel 2021 non aveva potere legale neanche sulle prigioni private statali. Ventotto dei cinquanta stati che compongono gli Stati Uniti hanno tuttora detenuti in prigioni private. Secondo l’organizzazione non governativa Sentencing Project, che si occupa dei diritti delle persone in carcere, nel 2022 quasi 91mila detenuti su 1,2 milioni erano in prigioni private.
Una ragione per cui i governi hanno adottato il modello delle prigioni private è quella di usarle per le persone che hanno commesso reati minori come quelli legati alle droghe, che rappresentano un numero rilevante nella popolazione carceraria – i dati di luglio 2024 del Federal Bureau of Prisons mostrano che più del 44 per cento dei detenuti nelle carceri federali ha commesso reati legati alle droghe. Un altro motivo per cui i governi ricorrono alle prigioni private è legato ai costi: i grandi investimenti necessari per la costruzione di nuove carceri sono affidati ad aziende private, alcune delle quali sono peraltro quotate in Borsa.
Il modello di carcere privato, che non è presente in Italia, è apparso negli Stati Uniti per la prima volta nel 1844 in Louisiana: nove anni dopo l’inaugurazione di “The Walls”, come fu chiamato, lo stato della Louisiana stipulò un contratto di gestione con l’azienda privata McHatton-Pratt & Company perché non riusciva più a sostenere i costi di mantenimento carcere. La prigione privata è quindi un penitenziario che, per ottenere un guadagno, incarcera le persone che hanno commesso un reato. La differenza principale con le carceri pubbliche è che mentre queste sono amministrate direttamente da un’istituzione pubblica, le prigioni private stipulano un contratto con un governo: le carceri private ricevono quindi un compenso per ogni persona detenuta che viene trasferita nelle loro strutture private. Solitamente, un governo decide di ricorrere a questa soluzione quando il costo per mantenere un detenuto in una prigione pubblica è maggiore di quello sostenuto per tenere un detenuto in un penitenziario privato.
A rendere conveniente la gestione di un carcere privato c’è anche il fatto che negli Stati Uniti il 13esimo emendamento della Costituzione statunitense autorizza i gestori delle carceri, sia pubbliche che private, a sfruttare il lavoro dei detenuti, che molto spesso è lavoro forzato. Di fatto i detenuti costituiscono forza lavoro a basso costo per le imprese statali correttive che producono prodotti venduti ad altri enti pubblici. Secondo un report del 2022 condotto dalla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Chicago, nel solo stato della California, tra il 2020 e il 2021 i beni prodotti dai detenuti sono stati venduti per 191 milioni di dollari.
Queste dinamiche incentivano le prigioni private a risparmiare sul trattamento dei detenuti e del personale carcerario. Uno degli ultimi studi sull’argomento è stato pubblicato nel 2004 e mostrava come i detenuti fossero generalmente meno sicuri nelle carceri private di quanto non lo fossero in quelle pubbliche: i casi di aggressioni tra detenuti erano più del doppio nelle prigioni private, a causa anche del minor numero di agenti penitenziari presenti nelle carceri private.
Le condizioni di permanenza all’interno delle prigioni private sono infatti complicate anche per le guardie penitenziarie. Le guardie penitenziarie che lavorano in prigioni private vengono pagate meno di quelle che lavorano in carceri pubbliche e cambiano lavoro con maggiore frequenza di quanto non facciano le guardie penitenziarie di prigioni pubbliche.
Le società di prigioni private beneficiano quando le leggi sulle condanne e sulla carcerazione sono più severe perché i governi cercano di ridurre il sovraffollamento facendo uso di carceri private. Anche per questo, le società che gestiscono le prigioni private spendono ogni anno milioni di dollari in attività di lobby per esercitare pressione sugli Stati e sul governo federale.
Quando Donald Trump venne eletto presidente degli Stati Uniti nel novembre 2016, le più grandi società di prigioni private statunitensi registrarono risultati economici straordinari in Borsa: le azioni della società di carceri private più grande del Paese, CoreCivic, aumentarono del 43 per cento, mentre quelle dei loro concorrente GEO Group del 21 per cento. Questi risultati non comuni erano dovuti al fatto che, in campagna elettorale, Trump aveva promesso un maggior ricorso alle prigioni private. Durante il suo mandato da presidente, Trump promosse politiche contro l’immigrazione che portarono a un forte aumento dei migranti detenuti: questo ha favorito le società di prigioni private, che gestivano il 73 per cento dei centri di reclusione per migranti. Nel 2017, il primo anno di amministrazione Trump, CoreCivic e GEO Group ricevettero 82 milioni di dollari complessivi in più dal Governo Federale per servizi legati alla detenzione dei migranti rispetto all’ultimo anno del mandato di Barack Obama.
Dopo i tentativi dell’amministrazione Biden di ridurre l’influenza delle prigioni private nel sistema carcerario statunitense, c’è il rischio che un eventuale secondo mandato di Trump possa tornare invece a favorirle. Il giorno dopo la pessima performance di Biden al dibattito elettorale contro Trump sulla rete televisiva americana CNN, le azioni di CoreCivic e GEO Group sono cresciute più del 6 per cento.
Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.