Chi sono e a cosa servono i peer supporter nelle carceri
Le persone detenute che seguono un corso di “peer support” possono aiutare e dare sostegno agli altri detenuti assistendoli nei periodi più difficili della detenzione
di Alice Santini
Da una decina di anni per migliorare le condizioni di salute mentale delle persone detenute alcune carceri hanno introdotto iniziative di “peer support”, letteralmente “sostegno tra pari”. I peer supporter sono detenuti che, dopo essere stati formati, diventano figure di riferimento per altri detenuti. L’iniziativa ha l’obiettivo di offrire un sostegno emotivo soprattutto nel momento dell’ingresso in carcere, spesso traumatico. Il peer supporter è in sostanza qualcuno che ci è passato, e può essere una guida nei momenti di spaesamento di chi è appena arrivato in una struttura.
Peer support è un termine generico che indica essenzialmente un sostegno tra persone con un’esperienza comune e viene utilizzato spesso per programmi tra colleghi, ma anche nelle scuole e nelle strutture sanitarie. Nelle carceri le prime proposte di questo tipo risalgono agli anni Novanta, in particolare nei paesi anglosassoni. Il Regno Unito è infatti uno dei paesi in cui queste pratiche sono state applicate di più, soprattutto grazie a progetti portati avanti dai Samaritans, ente di beneficenza per il supporto emotivo e prevenzione del suicidio. Nelle carceri italiane il peer support è stato introdotto nell’ultimo decennio, inizialmente focalizzandosi più sulle persone detenute con problemi di tossicodipendenza.
In carcere le iniziative di peer support hanno l’obiettivo di ridurre l’aggressività dei detenuti verso se stessi e gli altri, e di favorire la comunicazione per prevenire possibili episodi di violenza. I temi su cui generalmente si concentrano i programmi riguardano l’adattamento al carcere, l’abuso di sostanze e la salute mentale. I peer supporter sono fondamentali per spiegare ai nuovi detenuti regole della struttura, scritte o non scritte. Chiaramente, i supporter non si sostituiscono agli operatori professionisti, ma li affiancano attivamente per mediare potenziali situazioni di conflitto.
È complicato quantificare benefici o risultati delle iniziative di questo tipo, anche se le esperienze dirette di alcuni detenuti coinvolti sembrano essere positive sia tra i supporter che per i supported, cioè le persone che beneficiano del sostegno. Per la persona più fragile l’utilità consiste nella possibilità di confrontarsi con qualcuno che ha un’esperienza diretta dei suoi stessi problemi. In questo modo viene favorita la comunicazione e diminuiscono i rischi di isolamento. Al supporter, invece, l’iniziativa permette di valorizzare la propria condizione e “responsabilizzarsi”. L’inserimento di figure di peer support aiuta anche a creare maggiore senso di comunità all’interno del carcere e a rafforzare la collaborazione tra detenuti e operatori.
I progetti di peer support sono promossi in particolare nelle case circondariali, cioè dove sono detenute le persone in attesa di giudizio o condannate a pene inferiori ai 5 anni. Non è chiaro quante carceri in Italia abbiano progetti di questo tipo attivi perché non esiste un monitoraggio a livello nazionale. Inoltre, i corsi sono guidati da enti o associazioni esterni e possono leggermente variare in termini di obiettivi e modalità.
Nella casa circondariale di Civitavecchia, per esempio, il corso per diventare peer supporter viene offerto annualmente dal 2016 in collaborazione con l’ASL Roma 4. L’ultima edizione si è sviluppata attraverso nove incontri guidati da operatori delle aree sanitarie, psicologiche, SerD (Servizio per le Dipendenze patologiche), e della sicurezza. Tra più di 80 persone detenute che hanno fatto domanda per partecipare al corso, ne sono state selezionate 15. I partecipanti si sono confrontati su numerosi temi legati ai disturbi psichici e alle dipendenze, con l’obiettivo di imparare ad individuare possibili disagi e comunicarli alle figure sanitarie o di amministrazione.
Nella casa circondariale di Monza, invece, i corsi sono divisi in macro filoni differenti. Infatti, qui si può diventare peer supporter specificatamente per aiutare i detenuti appena arrivati in carcere o per offrire un sostegno quotidiano. Inoltre i supporter lavorano a coppie per distribuire il carico emotivo dell’esperienza. Un’altra particolarità è che i supporter sono a loro volta seguiti da un counselor, con cui hanno colloqui ogni quindici giorni.
Il carcere di Monza è un caso particolare perché ha un reparto psichiatrico dedicato, in quanto a più del 20 per cento dei detenuti è stata diagnosticata una malattia psichiatrica grave. Due peer supporter di Monza hanno recentemente parlato al convegno “Detenzione e Salute Mentale” organizzato da Zeroconfini Onlus, associazione che si occupa di aiutare i detenuti. Nell’incontro è stata sottolineata l’importanza del sostegno dal primo istante in cui si arriva in carcere: questo viene confermato anche da molti studi, che spiegano come i primissimi giorni nel carcere siano quelli con maggiore rischio suicidario.
Secondo il rapporto di Antigone, associazione per i diritti delle persone detenute, nelle carceri italiane quasi il 12 per cento dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave. Questo dato è aumentato dall’anno scorso, così come il numero dei suicidi in carcere, che nella prima metà dell’anno sono stati più di 50. I servizi psicologici a disposizione dei detenuti sono insufficienti, soprattutto considerando il sovraffollamento delle carceri. Gli ultimi dati, sempre dell’associazione Antigone, dicono che nelle carceri italiane lavorano 9,14 psichiatri ogni 100 detenuti e 19,8 psicologi ogni 100 detenuti.
***
Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.
Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.